La beatificazione di Wojtyla e la teocrazia di Ratzinger
Dopo la proclamazione a beato di Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, non mi azzardo ad entrare nel merito specifico della causa di "beatificazione" poiché non dispongo di adeguate competenze su un argomento così ostico. Mi preme invece, esporre un giudizio storico sulla figura e sull'opera, senza dubbio vasta, articolata e complessa, di uno dei papi più longevi, controversi ed influenti nella storia della curia pontificia.
Di fronte all'imponente e insistente campagna di esaltazione mediatica condotta a reti unificate, confesso di aver provato un senso di fastidio. Ho avvertito l'impressione di un salto temporale a ritroso che ci ha trasportati all'epoca dello Stato pontificio e del papa-re. Non intendo sfidare l'ira cattolico-nazionale, ma vorrei provare ad esprimere un'opinione difforme rispetto al vento di conformismo neoguelfo che si respira sul fronte mediatico. In effetti, un papa che sin dall'avvio del suo pontificato ha rivelato notevoli e sorprendenti abilità nell'usare il potere dei media, si è confermato tale anche post mortem, quando gli è stata tributata un'apoteosi planetaria. Abbiamo assistito ad uno spettacolo di ipocrisia mediatica e mistificazione storica, ad una sbornia apologetica e filo-clericale, ad un martellante bombardamento volto a santificare ed osannare la figura del papa, vanificando ogni tentativo di analisi critica aperta e sincera. In un clima di fanatismo è quasi impossibile formulare una valutazione seria, onesta ed imparziale.
Bisogna analizzare con attenzione e senso critico i "successi" storici di Wojtyla. Il quale, almeno nelle enunciazioni di principio, seppe ergersi a paladino della "pace universale" in un momento difficile come il 1991, durante la prima guerra nel Golfo persico, quando le parole di aperta condanna del papa si imposero come una delle poche voci contrarie al conflitto, quando non era ancora apparso il movimento no-global, protagonista da Seattle in poi. Tuttavia, mentre il pontefice esecrava la guerra in Iraq, alcune banche cattoliche, ribattezzate non a caso "banche armate", finanziavano (e finanziano tuttora) l'esportazione di armamenti che sono all'origine dei numerosi conflitti nel mondo. Non bisogna dimenticare che il 1991 fu l'anno in cui, dopo la caduta del muro di Berlino e dei regimi incancreniti e burocratici dell'Est europeo, si affermò il "nuovo ordine mondiale", un assetto unipolare del mondo imperniato sulla superpotenza statunitense, un sistema imperiale che consacrò l'ascesa dei dogmi neoliberisti del "pensiero unico" e della "fine della storia". Nessuno dubita che il pontificato di Giovanni Paolo II sia stato segnato da eventi epocali come il crollo del "socialismo reale", alla cui causa ha fornito un apporto ideologico importante proprio Wojtyla, che nel contempo non ha lesinato critiche al cinismo immorale del mercantilismo, deplorando l'arroganza e l'ingerenza del capitalismo in una fase espansiva dell'economia di mercato. Ma un bilancio obiettivo e sereno sul suo pontificato non può ignorare la cifra ambigua che affiora da alcuni comportamenti e scelte del papa, ben sapendo che la sua voce è stata recepita soprattutto dalle masse dei dannati e diseredati che vivono nei continenti più poveri come l'Africa, non dai potenti che al suo funerale hanno versato lacrime di coccodrillo.
Eletto papa nel 1978, Wojtyła favorì l'ascesa dell'Opus Dei, una congrega occulta condannata dalla chiesa stessa, assegnandole ufficialmente un'autonomia giuridica nella Chiesa. L'Opus Dei, detta anche Octopus Dei, "la piovra di Dio", con un richiamo esplicito alla sua struttura mafiosa, controlla una catena mondiale di banche e di aziende. Il fondatore dell'Opus Dei, José María Escrivá de Balaguer, fu consigliere del dittatore spagnolo Francisco Franco, fu proclamato beato nel 1992 e canonizzato nel 2002 proprio da Wojtyła. Un papa che non ha esitato a stringere la mano di un boia come Pinochet durante la visita in Cile nel 1987, che ha condannato la "Teologia della Liberazione", l'unico serio e credibile movimento di militanza cattolica a favore della libertà e della giustizia sociale dei popoli oppressi dalle dittature in America Latina. Un papa che ha coperto le responsabilità vaticane nello scandalo del Banco Ambrosiano, in particolare del cardinale Paul Marcinkus, presidente dello IOR, la potente banca vaticana che il predecessore di Wojtyla, papa Luciani, in arte Giovanni Paolo I, aveva programmato di riformare, così come aveva in mente di aprire ufficialmente la Chiesa all'uso dei contraccettivi. Quando nel 1983 Marcinkus fu condannato per bancarotta fraudolenta e istigazione all'omicidio nel caso Ambrosiano, Giovanni Paolo II permise al reo di fuggire negli Usa e restarvi fino alla morte nel 1992. Inoltre, Wojtyla indignò l'opinione pubblica mondiale quando rifiutò di ricevere Rigoberta Menchù, premio Nobel per la pace per aver dedicato la sua vita alla lotta per i diritti degli indios messicani.
Insomma, Giovanni Paolo II è stato il monarca dell'unica autocrazia feudale e l'unica gerarchia piramidale tuttora esistente al mondo. Un regno scandito da decisioni equivoche e contrastanti. Sul piano della politica "estera" l'opera del papa è stata ispirata nelle dichiarazioni ufficiali da ideali evangelici, ma al di là delle chiacchiere menzognere e strumentali è stata discutibile, come sul fronte interno l'azione pontificia ha sancito in modo assolutistico e dogmatico posizioni di conservazione nel campo dei diritti al divorzio e all'aborto, in materia di costumi sessuali che sono abitudini interiorizzate dalla coscienza di milioni di donne e uomini che vivono nel mondo occidentale e professano una fede cattolica. E' innegabile che su temi di enorme rilevanza etica e civile, la linea della chiesa governata da Wojtyla sia stata apertamente miope ed incapace di adeguarsi alla realtà secolare dei costumi odierni. Giovanni Paolo II si è dimostrato tanto fermo e perentorio nell'escludere le donne dal sacerdozio quanto deciso a scagliarsi contro la contraccezione e l'uso del profilattico. Questa crociata ha coinciso con l'incremento esponenziale dei decessi per Aids nel mondo, specie in Africa.
Non si può fingere di non vedere le attuali posizioni del Vaticano e del clero contro-riformatore e preconciliare, il cui peso si estrinseca in termini di arroganza e di fariseismo che tradiscono rigurgiti neoguelfi ed attestano un processo di egemonia e di restaurazione clericale che sono tendenze intrinseche alla storia, alla cultura e alla società italiane. Un blocco di fattori politici e culturali hanno causato la resa della laicità e della democrazia nel nostro Paese, riconsegnato, semmai si fosse affrancato, nelle mani di una teocrazia cattolico-integralista il cui despota è Ratzinger, la mente strategica della reazione clericale. E' innegabile che l'avvento di Ratzinger ci abbia consegnato un papa oscurantista e retrogrado. I politici di professione, con ambizioni di carriera, rinunciano o esitano a fare simili affermazioni per non urtare la suscettibilità delle gerarchie ecclesiastiche e non perdere i consensi elettorali. Ma chi non persegue scopi elettorali sarebbe ipocrita se non denunciasse quella che è una realtà evidente, cioè che in Italia si è verificato un profondo regresso socio-culturale in senso illiberale. Non ha senso accettare, in nome di una democrazia bigotta, la sovranità e la volontà del popolo italiano, poiché questo non ha mai avuto l'occasione di manifestarsi liberamente avendo subito ingerenze che ne hanno condizionato o impedito il libero arbitrio, a causa di un regime che non è mai morto ed oggi è più forte e radicato rispetto al passato. Il potere clerico-fascista è risorto (semmai fosse defunto) più intollerante e arrogante che mai. Si avvalora un dato storico già sancito da Gramsci e ribadito da Pasolini: in Italia la sinistra laica, democratica e progressista, è politicamente minoritaria. Non a caso, per vincere le elezioni e battere una destra filo-clericale, populista e reazionaria, la sinistra è costretta a stringere alleanze con una parte del centro e dei cattolici moderati.
Lucio Garofalo
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