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venerdì 5 ottobre 2007

ANNO NUOVO, SCUOLA NUOVA?

In questi primi giorni di settembre, dopo la lunga pausa estiva, presidi ed insegnanti hanno ripreso a lavorare, a discutere ed incontrarsi nelle sedute dei Collegi dei docenti, nelle riunioni delle commissioni tecniche, nei Consigli di Istituto ecc., per organizzare e progettare le attività didattico-curricolari ed aggiuntive relative al nuovo anno scolastico. Ovunque, nelle case e nelle scuole fervono gli ultimi preparativi per l'imminente avvio delle lezioni. Il ministro, alti dirigenti e funzionari scolastici, i presidi, nonché varie figure di esperti, gareggiano per lanciare qualche utile imput, per offrire consigli preziosi agli insegnanti, per imprimere un segno indelebile nella (labile) memoria collettiva del paese, per indicare ed illuminare la "retta via" a chi (eventualmente) l'avesse smarrita. Intanto, continuano ad essere alimentate campagne ideologiche assolutamente capziose e strumentali, cariche di pregiudizi, livori e malanimi piccolo-borghesi. In seguito ad incessanti e martellanti notizie demagogico-propagandistiche, che assumono toni ed accenti rancorosi  ed infamanti, è praticamente inevitabile che si scatenino polemiche astiose e velenose, e piovano accuse e giudizi screditanti sul corpo docente, già fin troppo mortificato, bistrattato e diffamato. Stiamo parlando di una categoria professionale che è chiamata ad assolvere il delicato e difficile compito istituzionale di educare ed istruire le future generazioni, di formare e preparare i cittadini del futuro, per cui meriterebbe maggior rispetto e considerazione. Invece è accusata di essere composta in gran parte da "nullafacenti", "fannulloni", "lavativi", "perditempo", "assenteisti", "ritardatari" ed altro ancora. Simili campagne ideologico-strumentali sul presunto "parassitismo" dei lavoratori statali non costituiscono affatto una novità; inoltre mi indignano, nella misura in cui celano interessi puramente affaristici e mercantilistici. Insomma, oltre al danno anche la beffa! Le retribuzioni salariali degli insegnanti italioti sono tra le più basse in Europa. Peggio di noi stanno solo i colleghi greci e portoghesi. Il governo in carica continua a prevedere e ad imporre pesanti tagli ai fondi e alle risorse per le scuole pubbliche (si pensi, ad esempio, alla vergognosa riduzione dell'organico relativo agli insegnanti di sostegno, a quelle fondamentali figure preposte all'integrazione e alla formazione dei più bisognosi tra i bisognosi, vale a dire i soggetti diversamente abili). Tutto ciò comporta ed arreca gravi danni al (già misero) budget finanziario riservato alla scuola pubblica, per dirottare i soldi (che ci sono) verso altre destinazioni. Si pensi alle sempre più ingenti sovvenzioni riservate agli armamenti militari e ai contributi statali regalati (in barba ai principi fondamentali della nostra Costituzione) alle scuole private, gestite da agenzie in gran parte asservite agli interessi dei poteri forti (il Vaticano, l'alto clero, le industrie belliche ed altri gruppi industriali privilegiati - leggi MaFiat - , le forze e le strutture economiche della borghesia imperialista, i soggetti legati alle cospicue rendite finanziarie ed altri gruppi sociali evasori e parassitari). Scuole elitarie riservate ai figli delle famiglie economicamente più ricche e benestanti. Ebbene, per quanto mi riguarda, io continuo e continuerò a seguire sempre il nobile principio politico-educativo sintetizzato nella celebre frase contenuta in "Lettera a una professoressa" scritta dai ragazzi della scuola di Barbiana "diretti" dal maestro don Milani: "Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali". Un concetto assai caro al sottoscritto, in quanto richiama una visione anomala ed anticonformista (diciamo pure antiborghese), ma sincera, della "democrazia" riferita alla scuola e al complesso e articolato ordinamento sociale. La nostra è una scuola di disuguali inserita e operante in una società sempre più disuguale, in contesti reali segnati da pesanti disuguaglianze e distanze materiali e sociali, destinate purtroppo a crescere (a forbice) e ad aggravarsi ulteriormente. Pertanto, dinanzi a simili, crescenti sperequazioni economico-sociali, di fronte ad allarmanti situazioni di grave disagio e bisogno materiale, riconducibili alle nuove povertà, rispetto alle istanze ed alle contraddizioni derivanti dai sempre più vasti fenomeni migratori provenienti dai paesi extracomunitari del Terzo mondo, la scuola non sembra minimamente attrezzata e preparata a fronteggiare tali richieste di intervento, anzitutto per ragioni di ordine finanziario già spiegate in precedenza. Ogni valida azione è affidata alla buona volontà, alle capacità, allo zelo spontaneo (altro che fannulloni!), all'iniziativa autonoma delle istituzioni scolastiche e dei lavoratori - docenti e non docenti - che operano nelle singole scuole pubbliche. La cosiddetta "democrazia" non può ridursi ad un'ipotetica, chimerica offerta di "pari opportunità", ovvero esplicarsi in un'arida ed insufficiente prassi di uniformità distributiva delle risorse, così come avviene nel modello finora adottato di welfare universalistico e indifferenziato. Al contrario, occorre rilanciare e rafforzare l'attenzione di tutti verso l' uguaglianza e la giustizia (re)distributiva del reddito sociale, intese in termini di equità sociale e redistribuzione delle ricchezze monetarie, possibili solo in un diverso assetto dello Stato sociale (e, dunque, dell'ordinamento statale medesimo) che sia in grado di fornire "a ciascuno secondo i propri bisogni" e chiedere ad ognuno "secondo le proprie possibilità". Il che significa rivoluzionare l'ordinamento sociale vigente, rivoluzionare e capovolgere l'idea e la prassi finora applicata e conosciuta di democrazia, di scuola e di Stato sociale, rivoluzionare l'esistente...

 Lucio Garofalo <garofaloluc@tiscali.it>


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