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mercoledì 31 ottobre 2007
"Bamboccioni e googlizzati" di Alessandro Farulli
I trentenni, dice uno studio irlandese, hanno meno memoria dei loro genitori e la loro materia grigia rischia un precoce decadimento. E anche la capacità di critica e di discernimento viene demandata a Google...
di Alessandro Farulli
LIVORNO. Cellulari, navigatori satellitari e siti web: sono le moderne scorciatoie che ci aiutano a ricordare numeri di telefono, indirizzi e nozioni senza fare alcuna fatica e soprattutto senza usare la testa. E’ l’estrema sintesi degli studi di Ian Robertson, professore di neuroscienze al Trinity College di Dublino, di cui dà contezza oggi Repubblica. “Macchine che ci mangiano il cervello” (è il titolo forte del pezzo) e severa critica – con fior di argomenti – al web. Anche greenreport, quindi, è parte in causa e non è affatto un caso fortuito che la nostra rubrica Monitor del professor Enrico Falqui questa settimana indaghi proprio il tema in oggetto.
Partiamo da alcuni dati di fatto: da sempre l’uomo costruisce macchine che teoricamente dovrebbero aiutarlo e dopo averle realizzate demanda loro le funzioni per cui appunto le ha realizzate. Parlando di informazione, le macchine sono soprattutto gigantesche banche dati. Impossibili, umanamente parlando, da essere ‘tenute a mente’ da chiunque sia fatto di carne e ossa. Miliardi di miliardi di byte che servono per costruire informazioni. Ma mentre da una parte queste informazioni crescono a livelli supersonici e sono diffuse a grande velocità dai vari media, dall’altra appunto i cervelli si svuotano. Vasi comunicanti. Forbici che si allargano e analfabetismo di ritorno che aumenta.
Gli under 30, dice lo studio, hanno meno memoria dei loro genitori e la loro materia grigia rischia un precoce decadimento. Gli under 30, infatti, stanno togliendo al cervello - non si sa quanto consapevolmente - la funzione di archivio. Perché hanno a disposizione l’hard disk del pc, la pennina, il cd, la rubrica del telefono, il web. Ma come accade per chi smette di camminare, le gambe si atrofizzano e così il cervello se non viene utilizzato per bene, non solo perde la capacità di archiviare ma anche quella ancor più importante di discernere. Di compiere scelte sulla base di un’esperienza archiviata e acquisita. Che non sono quelle dettate dall’istinto (ma una mediazione di questo con la capacità critica) ed è quello che ci differenzia dagli animali.
Non manca dunque affatto l’informazione, semmai ce n´è in sovrabbondanza ma non la si sa decifrare e qui nasce il primo grande problema. Oggi la cultura (nel senso più ampio del termine) è sms. “I googled” è diventata una delle frasi più diffuse in Gran Bretagna e significa “l’ho cercato su google”. Come a dire che è da lì che principalmente ci si abbevera ed è quasi un certificato di veridicità. E lo si fa tra l’altro con quella espressione grammaticale che farebbe inorridire un qualunque insegnante di lingua inglese. Quando si perde la conoscenza della propria lingua o si cerca di semplificarla o di bypassarne sistematicamente le regole (vedi il congiuntivo in italiano) troppo spesso per pigrizia, più che per ragioni linguistiche significative, è sintomo di decadenza.
Non può essere un caso se Cesare De Marchi riflettendo (Corriere della Sera) sul futuro del romanzo sostiene che “le opere che resistono al tempo sono quelle in cui lo scrittore si è impegnato nella lingua”. Dice De Marchi: «Un romanzo come ‘Io non ho paura’ ti prende, indubbiamente, ma non hai voglia di rileggerlo: sono libri divorati senza soffermarsi sui dettagli in cui dovrebbe consistere la vera arte narrativa».
Anche nella letteratura, come nella lingua, come nell’informazione, l’approccio è quello del mordi e fuggi, o del semplifica e dimentica (quando comunque si legge, cosa che sappiamo essere sempre più rara tra i giovani). Così da una quantità di informazioni e fonti assai più vaste rispetto al passato, si arriva ad una confusione mai vista. Perché senza lo stock di conoscenze stratificate in anni di letture, approfondimenti e studi non si è in grado di sfruttare al meglio le macchine ma se ne è succubi. Ci viene tolta la spina dorsale della conoscenza e quindi ‘beviamo’ tutto quello che ci viene detto da un motore di ricerca che seleziona le informazioni in base ad algoritmi complicatissimi ma matematici, semplificando, in base a quante volte sono pubblicate o lette in rete.
Questo flusso di informazione che potrebbe dare – se indagato, approfondito, studiato, archiviato, selezionato, criticato – una fondamentale mano alla sostenibilità ambientale che ha proprio nella conoscenza la sua radice, rischia invece di mandarla in corto circuito. Senza capacità critica si è solo istinto e questo porta a non poter decodificare le complessità della vita di tutti i giorni. Così, non volendo chiamarsi fuori da questa discussione, greenreport non vuole affatto essere l’archivio della mente di nessuno, ma semmai stimolarne le capacità critico/mnemoniche con un punto di osservazione certamente criticabile, senza cioé nascondere che “ogni punto di vista è una……vista da un punto”.
Spegniamo la tv e accendiamo il cervello, dice uno slogan, ma il punto vero è saper usare questi strumenti per approfondire e divulgare le proprie conoscenze e non esserne vittime.
fonte: www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=10237
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