IL "FILOSOFO" GIUSEPPE CORONA AFFRONTA, IN QUESTO ARTICOLO, UNO DEI TEMI "CRUCIALI" DELLA VITA POLITICA ITALIANA.
Il direttore di www.notiziesindacali.com
OPINIONE PUBBLICA E CRISI DELLA POLITICA
di Giuseppe Corona
In democrazia la via maestra alle dimissioni di esecutivi sono le determinazioni delle assemblee elettive deputate al controllo e alla valutazione della loro attività: sfiducia attraverso voto o dimissioni di congruo numero di consiglieri o deputati.
Ora, in vero, sono proprio queste determinazioni che non hanno avuto luogo e, come su tante altre cose, si manca di interrogarsi sul perché. L'opinione pubblica, comunque espressa, non è stata capace di convincere le assemblee elettive ad attivare il loro legittimo potere di sfiducia.
Qualsiasi altra pretesa, in un sistema democratico, andrebbe e va considerata extraistituzionale e, detto in maniera forte ma appropriata, "eversiva".
Stupisce che questa elementare verità politica non conoscano tanti autorevoli opinion-makers, pur impancandosi essi a censori arcigni e severi dei vizi pubblici e a esperti delle cose politiche.
Sorge qui un problema: la qualità e la funzionalità di due fondamentali meccanismi di controllo e di censura dell'attività dei governi, l'uno, di tipo istituzionale, che riguarda l'intero paese, l'altro, della natura dell'opinione pubblica, questione più napoletana e meridionale.
Il meccanismo istituzionale, esaminato bene, rivela il difetto fondamentale che annichilisce il potere di controllo e di censura delle assemblee elettive regionali e comunali: due organismi, l'esecutivo e l'assemblea, la cui legittimità è di eguale derivazione, essere espressione diretta della volontà del corpo elettorale, tenuti insieme da un vincolo bronzeo per il quale anziché il motto "mors tua, vita mea", vale il contrario "mors tua, mors mea".
Quest'aborto istituzionale finisce per dare un enorme potere al sovrano e fa dell'assemblea una camera di anime morte contenta di funzionare, complice e succube, come luogo di scambio e compensazione. Se poi la spesa pubblica ha il carattere particolare che assume nel Mezzogiorno, è facile comprendere in mano a chi stanno le chiavi del sistema.
Non a caso in Sardegna è stato il presidente della Giunta regionale a sfiduciare la maggioranza e, con essa, l'intera Assemblea.
La ricandidatura di Soru non tanto a governatore quanto piuttosto a futuro avversario di Berlusconi, rivela di quali mostruosità e cinismi sia intrisa la vita pubblica italiana in virtù di nodi istituzionali irrisolti grazie a tentativi, ancora in corso, di conciliare l'inconciliabile: il parlamentarismo della prima Repubblica, con il suo sistema dei partiti, e la tendenza presidenzialistica della seconda, che il potere dei partiti seccamente limita.
Nel paese del presidenzialismo, gli U.S.A., esecutivo e assemblea sono nettamente separati nei destini e nelle funzioni.
Non pare che lì abbiano a soffrire democrazia, poteri di controllo e di censura, efficienza degli esecutivi, salute e influenza dell'opinione pubblica.
Anzi! Noi, sapientoni e colti, ci ostiniamo a snobbare poveri yankees grossolani e puerili!
Il costo di ciò è la scarsa qualità dell'opinione pubblica, specialmente, e per ragioni essenziali, nel Mezzogiorno e a Napoli.
Per quanto accademici di fama e di accertato curriculum, novelli Machiavelli, abbiano mostrato e svelato alle genti "di che lacrime grondi e di che sangue" lo "scettro" dei "regnatori", essi mancano di individuare i nodi della crisi politico-istituzionale.
Parte del problema e non sua soluzione, questi facitori dell'opinione pubblica non si accorgono che essa è stata cooptata in quell'enorme sistema di complicità che il connubio tra mostro istituzionale e gestione della spesa pubblica ha creato nel Mezzogiorno.
Non si capirebbe altrimenti il tono tra l'indignato e l'invettiva, il moralistico e lo scandalizzato, degli opinion-makers, fecondando in fondo la fatalistica attesa del miracolo o di un Masaniello.
Tutto si tiene, anche la tradizionale alleanza tra nobiltà e lazzaronismo.
Nessuno, saldamente nelle proprie funzioni, pensa a promuovere concretamente, nella situazione data, le condizioni politiche della caduta sempre più necessaria del sovrano, provvedendo a scongiurare che, come nel vecchio racconto, il nuovo re sia peggiore del vecchio.
Napoli, 29/01/09
Raffaele Pirozzi direttore giornaleonline"www.notiziesindacali.com"
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