Il termine «consanguineità» rappresenta un antico errore del
linguaggio scientifico. Errore che è giunto fino a noi dall'epoca in cui si
riteneva che caratteri individuali, pregi e difetti, salute e malattie, al pari
delle sostanze nutritive e dei prodotti di rifiuto, fossero convogliati,
appunto, attraverso il sangue. E ciò spiega perché, ancora oggi, nel linguaggio
comune, sangue ed ereditarietà continuino ad essere parole e concetti
equivalenti.
Al di là di questa osservazione e mantenendo tuttavia l'uso
di detto termine, diciamo che oggi, per consanguineità, si intende tutto ciò
che è in comune fra i discendenti di un antenato comune: dal colore degli occhi
alla forma dei piedi, dalla predisposizione alla musica al genio matematico,
fino ad arrivare a comprendere in tale concetto - ed è questo ciò che più ci
interessa - anche malattie che affondano le loro radici nelle leggi della
ereditarietà. Ma l'unione fra consanguinei è da sconsigliare? Diciamo che la
risposta può essere diversa a seconda se il problema venga considerato da un
punto di vista statistico, oppure a livello di una singola famiglia. E poi, non
è detto che sempre, in tutti i casi, il frutto dell'unione fra consanguinei sia
negativo.
Ma, andiamo per ordine, cominciando dalla storia. Perché,
proprio dalla storia, potranno ricavarsi elementi per valutare i pochissimi,
eccezionali, pro e i numerosissimi e purtroppo frequenti contro che possono
presentarsi in questa circostanza.
E noto, tanto per cominciare da ciò che molti già sanno, che
i Faraoni d'Egitto usavano unirsi con le proprie sorelle e così i dignitari di
corte e, talvolta, anche gli appartenenti a classi inferiori. Il motivo di
questa consuetudine risiedeva nel fatto, almeno per quanto riguarda i Faraoni,
che essa consentiva la conservazione di quella che oggi sappiamo essere una
ipotetica «purezza» del sangue. «Purezza» che si traduceva, sì, nella concreta
possibilità che, da tali unioni, nascessero figli forniti di particolari doti
di bellezza e capacità intellettuali. Ma clie era all'origine anche di
innumerevoli tragedie le quali, a quel tempo, certo non trovarono spiegazione.
Perché, se è vero che la bellezza di Cleopatra è rimasta leggendaria, è anche
vero che non sapremo mai quanti esseri, figli di consanguinei, vennero al mondo
deformi o malati o morirono poi prematuramente perché dotati di scarse capacità
difensive.
In realtà le conseguenze, fauste o al contrario infauste,
che vengono a determinarsi nei figli dei consanguinei, non dipendono dalla
consanguineità in sé e per sé, ma dai fattori positivi o negativi che si
accumulano casualmente negli ascendenti.
La chiave di tale sorprendente constatazione venne fornita
dalle leggi che regolano la genetica e, in particolare, da quelle che,
attraverso il comportamento dei cromosomi, governano i caratteri ereditari.
Questi possono infatti portare con sé, oltre a qualità eccezionalmente
vantaggiose, altre parimenti eccezionali, ma così negative da non augurarsi a
nessuno.
Tutto merito o colpa dei cromosomi, dunque, potremmo dire. Giacché
questi contengono speciali elementi - denominati geni (vedi figura) - ereditati
dai genitori, che sono portatori delle diverse qualità di ciascun individuo.
Alcune qualità eccezionali - positive o negative - contenute nei geni stessi,
non risultano, però, sempre evidenti in colui o colei che ne è portatore o
portatrice, ma emergono drammaticamente in una coppia quando un determinato
gene di un genitore, portatore di una certa qualità, viene a unirsi con un
altro dell'altro genitore, portatore di identica qualità.
Se volessimo quantificare le probabilità di avere un figlio
dotato di qualità eccezionalmente buone o, al contrario, cattive, a seguito di
un ipotetico accoppiamento fra consanguinei, si avrebbero i seguenti risultati:
in caso di accoppiamento fra due gemelli monocoriali - cioè di due gemelli
definibili come «veri" gemelli, giacché questi hanno il 100 per cento di
geni in comune - 100 per cento di probabilità; se l'accoppiamento avvenisse,
invece, fra consanguinei di primo grado (genitore - figlio/figlia;
fratello-sorella), i geni in comune e le probabilità di cui sopra sono, invece,
del 50 per cento; nel caso di accoppiamento fra consanguinei di secondo grado
(nonno/nonna-nipote; zio/zia-nipote; fratellastro-sorellastra), i geni ma
comune e le probabilità scendono al 25
per cento.
E fin qui siamo, non diciamo nell'irreale, ma nel poco
probabile, visto anche che le unioni finora esaminate sono proibite dalla legge
di tutti i paesi civili. L'evento assume però maggiore importanza, perché abbastanza
frequente e non proibito dalla legge, quando si passa a unioni fra consanguinei
di terzo grado, quali quelle tra primi cugini. In tal caso, i geni in comune e
le già dette probabilità di eventi positivi o negativi sulla prole sono, sì,
ancora inferiori a quelli prima indicati a proposito delle consanguineità più
strette, ma sono pur sempre tante, perché pari a ben il 12,5 per cento.
Ovvio che, mano a mano che la consanguineità si allontana, i
geni in comune e le probabilità che nasca un Leonardo da Vinci o un
Frankenstein, si fanno sempre più remote. Ma esse, per quanto remota possa
essere anche la consanguineità di una coppia, non cessano mai di esistere. Ciò,
in quanto la consanguineità può risalire a lontani e ignorati ascendenti e,
quindi, le sue conseguenze possono interessare chiunque. "Possiamo dire,
infatti, che nessun essere umano è figlio dei suoi genitori, ma figlio di tutte
le mille generazioni che lo hanno preceduto. Basterà pensare che chiunque di
noi, se vogliamo riferirci per puro esempio a due diverse epoche storiche,
conta 64 antenati vissuti nel periodo della rivoluzione francese e ben 17
milioni di progenitori vissuti nel periodo delle Crociate. Non pochi, di certo,
imparentati fra loro.
Se ne conclude che, essendovi nell'albero genealogico di
ciascuna persona fin troppi consanguinei, meglio non moltiplicare il rischio.
Ad esempio, meglio quindi che giovani di belle speranze residenti in centri
isolati vadano a cercarsi il partner o la partner magari in capo al mondo, ma
non alla porta a fianco. E ciò perché, come sarebbe verificabile soltanto
consultando gli antichi registri delle parrocchie, è molto probabile che il
vicino o la vicina di casa o qualunque altra persona residente in quel centro
isolato gli (o le) sia consanguineo. E questo è proprio ciò che, per fortuna
molto più spesso in passato che oggi, capitava in tutti i piccoli centri,
allorché intere comunità nascevano e morivano nello stesso posto: sia per le
difficoltà delle comunicazioni, sia perché il nascere e il morire in uno stesso
luogo, veniva imposto dal tipo di vita della civiltà contadina, sia per una
naturale diffidenza che tutte le piccole comunità provano per il forestiero.
Come è provato dall'antico proverbio popolare, tuttora largamente citato e,
quindi, accettato «moglie e
buoi dei paesi tuoi».
Malattie genetiche
Età della partner e consanguineità, dunque, costituiscono
due problemi di non secondaria importanza che ciascuno, come abbiamo visto,
dovrebbe porsi quando decide di mettere su famiglia.
E, tuttavia, essi possono,. se almeno uno dei partner è
persona attenta alle questioni della salute, specie se queste riguardano la
progenie, essere risolti facilmente e, anzi, preliminarmente. Cioè, fin già
all'atto del primo incontro, allorché gli è già possibile sapere se la persona
che desta il suo interesse ha l’età giusta e non è consanguinea.
Ma esiste un altro grosso problema riguardante il futuro
della stirpe. Che ha, però, il non piccolo difetto di non poter essere risolto
in via preliminare. E che, anzi, comporta, per venirne a capo, indagini
pazienti, domande indiscrete e piccole inchieste. Tutte tendenti a scavare
nella storia del partner e della sua famiglia, per sapere se si sono presentate
in passato evenienze sospette. E, cioè, se in essa vi sono stati casi di
bambini nati morti o malformati.
Tale evenienza, peraltro, non costituisce - si badi bene -
evento raro. Tutt'altro. E, infatti, circa il 4 per cento delle gravidanze è
interessato dall'esistenza di una anomalia nei cromosomi del prodotto del
concepimento. Se non che, la maggior parte di queste anomalie - calcolata
intorno al 3,5 per cento delle gravidanze - determina effetti così devastanti
sulla formazione dell'embrione, da esitare in aborto. Ma non è da credere che
il rimanente 0,5 per cento sia poca cosa, perché, a conti fatti, tale
percentuale significa che un bambino su 200 nati vivi e affetto da una delle
tante malattie che derivano, appunto, da alterazioni dei cromosomi. Tra le
quali fa spicco, per la sua frequenza, la ben nota e già ricordata sindrome di
Down, più conosciuta, fino a qualche tempo fa, soltanto con il nome di
«mongolìsmo».
E poi, vi è la cosiddetta malattia del «grido di gatto» (un
caso su 5000 nascite); la sindrome di Patau (un caso su 6000 nascite); quella
di Edward (un caso su 8000 nascite); quella di Turner (che colpisce soltanto le
femmine, nella proporzione di un caso su 2500 nascite); la cosiddetta sindrome
della «superfemmina» (un caso su 1200 femmine) e tante altre ancora, le
principali delle quali, in totale, sono in numero superiore alla trentina.
All'elenco e alle probabilità di una malattia cromosomica,
si aggiunge poi la possibilità della comparsa di una malattia genica. La quale
- e questo lo abbiamo precedentemente già accennato - può emergere sia quando i
cromosomi di entrambi i genitori contengono lo stesso gene di una stessa
malattia, sia, in taluni casi, quando il gene di una malattia è collocato nel
cromosoma di un solo genitore.
Appartengono al primo tipo di malattie, ad esempio, la
talassemia (un caso su oltre 3000 nascite); la mucoviscidosi (un caso su oltre
3000 nascite); la fenilchetonuria (un caso su 10.000 nascite). Appartengono,
invece, al secondo tipo di malattie, ad esempio, il nanismo acondroplasico (un
caso su 10.000 nascite); la neurofibromatosi (un caso su 3000 nascite); la
sindrome di Ehler-Danlos (un caso su 600 nascite).
Indubbiamente, gran parte o forse quasi tutte le malattie -
sia cromosomiche che geniche - fin qui nominate, al lettore risultano
sconosciute. In definitiva, anzi, si potrebbe dire che, considerata la loro
relativa rarità, avremmo anche potuto fare a meno di nominarle. Tuttavia,
quello che che premeva mettere in luce, è il gran numero di affezioni dovute a
disordini ereditari. Numero che, negli anni, è andato sempre crescendo, dato il
continuo progredire delle tecniche di indagine diagnostica (
villocentesi e amniocentesi in testa più screening vari). Secondo dati recenti forniti dalla
Johns Hopkins University, in meno di 25 anni, tale numero si è moltiplicato di
otto volte. Sicché, tra malattie cromosomiche e geniche, oggi se ne contano più
di tremila: per l'esattezza, 3368.
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