Ci sono svariati modi per prendere
confidenza con l’Egitto – ho già scritto, ad esempio, dell’escursione notturna sul
monte Sinai – ma la via maestra per afferrarne l’intima essenza è fluviale. La
crociera sul fiume Nilo non è solo un’esperienza indimenticabile per le
suggestioni che alimenta, è uno spettacolare viaggio nel tempo e una fuga nei territori
inesplorati dell’anima, alla ricerca del silenzio atavico che abbaglia e
rigenera. L’inno al Nilo, scritto
5.000 anni fa su un foglio di papiro, ci introduce a questa esperienza unica e
impagabile. “Salute a te, o Nilo che sei uscito dalla Terra, che sei venuto per
far vivere l’Egitto. È lui che irriga i campi, che è creato da Ra per far
vivere tutto il bestiame, che disseta il deserto, lontano dall’acqua. È lui che
fa divenire pieni i magazzini, che fa larghi i granai, che dà qualcosa ai
poveri, che fa nascere gli alberi secondo il desiderio di ognuno e non si ha
mancanza di essi”. Più che un’esperienza fluviale, navigare sul Nilo equivale forse a
un viaggio nel seno della Provvidenza.
Bisognerebbe avere la capacità di vivere questa
esperienza alla maniera di Gustave Flaubert, che nel 1849 risalì il Nilo fino
alla Nubia in compagnia dell’amico Maxime Du Camp, lasciandoci una fitta serie
di annotazioni e appunti rielaborati nel libro Viaggio in Egitto. La sua lettura è preziosa perché ci svela la
natura atemporale di un habitat che è immutabile malgrado il progresso. Come
lui, viaggiarono in Egitto Kipling, Loti e Thackeray. Per tacere dei tantissimi
avventurieri che vi cercarono fortuna e dei savants al seguito dell’esercito
napoleonico. Erano altri tempi, scanditi dalla visione romantica
dell’Oriente. Oggi, la navigazione sul Nilo non avviene più sulle feluche ma su
motonavi lussuose, raffinatissimi floating
hotels. Pur tuttavia, resta immutato il fascino antico del fiume
considerato il più lungo del mondo (anche se il suo primato è conteso dal Rio
delle Amazzoni). Solcare le sue acque, un tempo popolate di coccodrilli e
ippopotami e oggi ricche di persici giganti, significa dischiudersi a emozioni bucoliche.
Fin dall’antichità, Iteru (“il grande fiume” nella lingua degli egizi) è
un’incessante fonte di sostentamento per le popolazioni che vivono lungo le sue
sponde e di ispirazione per chiunque ne ammira la severa fisionomia e la
placida dinamica, tant’è che ci si sente appagati e a un tempo galvanizzati
alla sua vista. Che sia colpa del deserto e del sole più che dei riverberi
dell’acqua, il cui colore non è esattamente invitante? Lo storico greco Erodoto
ha scritto che “L’Egitto è un dono del Nilo”. Lo è ancora ma a questa prerogativa
va aggiunto il plus d’essere un’esperienza molto gratificante per i turisti e una
lezione di vita impareggiabile per i viaggiatori attratti dalla storia e dal mistero.
La crociera sul Nilo si svolge
prevalentemente tra Assuan e Luxor, due estremi in mezzo ai quali scorre la
storia di un paese che ha svolto un ruolo primario nella storia dell’umanità.
Di questa storia, il Nilo è padre e nutrice nello stesso tempo. Non sarebbe
esistito l’antico Egitto senza il Nilo, fulcro della vita politica, sociale e
spirituale di un popolo che ancora oggi ci affascina. Il Nilo fu così
importante per gli antichi egizi, come lo è per i fellahin odierni, che essi sentirono il bisogno di inventarsi un
dio preposto al controllo delle esondazioni annuali del fiume, ritenute
fondamentali per la vita stessa del Regno. Questa divinità si chiamava Hapi e
insieme al faraone era il responsabile delle inondazioni del fiume. Navigando
sul Nilo si ha come l’impressione che il dio Hapi sia ancora lì, nascosto da
qualche parte, all’ombra di una palma da dattero o di un fico sicomoro, oziando
come Oblomov. Il turista non si accorge della sua presenza ma lui si accorge di
tutti questi forestieri armati di macchine fotografiche e ride della loro
goffaggine e del mal di pancia che li assale e la cui responsabilità viene di
volta in volta assegnata all’acqua o a un generico faraone la cui maledizione
consiste appunto nel punire i turisti miscredenti con la dissenteria. In
effetti, a voler significare che il Nilo è considerato da sempre una via
mediana fra la vita e la morte, un divisorio fra l’Est, luogo di nascita e
crescita, e l’Ovest, cioè oltretomba, capita che la crociera sul Nilo si
trasformi in un purgatorio. Sul fatto che l’Est sia la vita e l’Ovest la morte,
rassegniamoci noi che siamo occidentali. Il dio Ra, il Sole che offre e
rigenera ogni giorno l’esistenza, nasceva a levante e moriva a ponente. Per
questo motivo, le tombe situate sulle rive del Nilo, nelle antiche necropoli
egizie, furono scavate tutte ad ovest del fiume. Per risorgere bisognava essere
sepolti sul versante del fiume che simboleggia la morte. Il ka (l’anima) del poveraccio il cui corpo
fosse stato sepolto tra le sabbie levantine avrebbe vagato per l’eternità.
“L’Egitto è tutto per me” ha
lasciato scritto Jean-François Champollion, l’uomo che ha decifrato i
geroglifici. Va da sé che l’Egitto e in particolare la crociera sul Nilo non
può fare questo effetto a noi, uomini e donne del XXI secolo a cui la
globalizzazione ha reso familiare l’intero ecumene. Eppure, poche esperienze di
viaggio riescono a incidere sull’animo come la navigazione sul Nilo, che è cosa
ben diversa da un soggiorno nelle località balneari del Mar Rosso o un tour col
torpedone nelle zone archeologiche del Paese. È chiaro che la visita di Giza
con le sue magnifiche piramidi o della Valle dei Re vale da sola un viaggio in
Egitto, ma limitarsi a ciò significa firmare un’incompiuta. Per capire la
cultura e lo spirito dell’Egitto (antico e moderno) bisogna navigare lentamente
sul Nilo e ammirare la lunga teoria di templi, casupole di fango, acacie e papiri
incisi sulle sue sponde come cammei. Abydos, Denderah, Esna, Edu, Kom Ombo.
Sono questi i nomi che restano scolpiti nel cuore. D’un tratto, si è tentati di
credere che la scenografia sia troppo cinematografica e quindi falsa. Ma non è
forse qui, a Tanis, nel “pozzo delle anime” gremito di serpenti, che Indiana
Jones finisce sepolto? Più che i
Predatori dell’arca perduta, i siti archeologici dell’Egitto hanno
conosciuto pittoresche generazioni di archeologi, studiosi e tombaroli che
hanno scavato in ogni dove, trasformando il sacro suolo del dio Ra, il Sole, in una
grande forma di Emmentaler. E non è sempre qui che Agatha Christie ha fatto
vivere all’ispettore Poirot una delle sue avventure più belle? In effetti, con
un po’ di fantasia, il turista potrebbe pensare di trovarsi a bordo del
battello Karnak e immaginarsi al
centro di intrighi avvincenti. Sulle navi da crociera non si rischia più
d’essere ammazzati e dire Karnak significa evocare un piccolo villaggio situato
sulle sponde del fiume poco distante da Luxor, una meta affascinante. A Karnak,
la Tebe degli antichi egizi, il secondo sito archeologico dell’Egitto dopo
Giza, sorge un complesso templare che lascia di sasso il visitatore. Anzi, di basalto,
come la stele di Rosetta. Tre recinti – uno dedicato al dio Amon, uno alla sua
sposa Mut e uno al dio Montu dalla testa di falco – ci ricordano che l’antico
Egitto ha anticipato la moda delle megaproporzioni. Bene disse Jean Cocteau:
“temevo il lato colossale dell’Egitto, invece i suoi colossi non sono smisurati
e non disturbano l’armonia di una terra proporzionata agli uomini. È una razza
di giganti e basta!”. L’armonia. È la vera chiave di lettura di un paesaggio
fatto di luce abbagliante, silenzi e grandezza segnata dall’oblio. I
viaggiatori più attenti sanno cogliere questa combinazione e trascurano il
resto. I monumenti si assomigliano tutti, come le anse del fiume. Ciò che
distingue l’esperienza è il volo pindarico della mente. Va pensiero, direbbe
Giuseppe Verdi. Basta chiudere gli occhi ed è come se il coro del Nabucco
soffiasse sulla sabbia dorata come il khamsin,
il vento del deserto che soffia per
cinquanta giorni.
“Ho gioito perché mi è stato concesso di toccare il
cielo. La mia testa ha trafitto il firmamento. Ho scalfito il ventre delle
stelle, ho raggiunto l’allegria, cosicché brillavo come una costellazione”. No,
non sono gli appunti poetico di un turista. È l’iscrizione posta sulla tomba di
Sarenput ad Assuan. Non sappiamo quale emozione o felicità lo indusse a dettare
un congedo dalla vita così emozionante. Amava forse osservare le stelle nel
cuore della notte? È una delle cose più belle e impagabili che il turista possa
concedersi durante la navigazione sul Nilo. È come se le stelle abbassassero il
capo e allungassero i loro raggi per fondersi con la terra, sprofondare nella
sabbia del deserto. La notte è magica in Egitto, molto più del giorno, e il
fiume produce una melodia d’arpa, resa vivace dal sottofondo del sistro, che incanta
e culla come una nenia. Attenzione, però, i suoni dell’Egitto sono così sottili
che occorre sapere cogliere le vibrazioni eteriche per udirli. Nello stesso modo,
occorre guardare col terzo occhio per cogliere le prospettive magiche che
sfuggono a chi ha fretta e non conosce la pazienza.
Sabr gamil, la pazienza è buona.
Questa frase ricorrente sulla bocca dei locali, la cui lunga tunica di cotone o
lana (galabiya) ne rivela la sostanziale semplicità, potrebbe essere non solo
la chiave di lettura ma anche il viatico di un viaggio sul Nilo. Qui, si impara
sopra ogni altra cosa il senso del tempo. Abituati come siamo a correre e
bruciare la nostra vita come fosse un fiammifero svedese, ci misuriamo con una
nuova prospettiva, anzi vecchissima. L’esistenza è precaria, l’unica cosa che è
sempre esistita e non finirà mai di scorrere al pari della vita, è il grande
fiume. Guai a non godersi la navigazione, a non sorridere e trovare il tempo
per sorseggiare ciò che ci accade durante il viaggio. Anche quando è nero e
bollente come il caffè o una tazza di té.
www.giuseppebresciani.com
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