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martedì 18 novembre 2025

Palestina: Gli ulivi della discordia in Cisgiordania, la conquista silenziosa di Israele

Tra i territori contesi da Israele in Palestina dobbiamo annoverare la Cisgiordania territorio senza sbocco al mare sulla riva occidentale del fiume Giordano trovantesi nel Medio Oriente. Fa parte, assieme alla striscia di Gaza, dei territori palestinesi e della regione storico-geografica dell’originaria Palestina. Gli abitanti sono secondo il censimento del 2021, 2.949.246 e la superficie territoriale è di 5860 chilometro quadrati.

A partire dal 1993, con gli accordi di Oslo la regione è stata sottoposta a controllo misto da parte dello Stato di Palestina e di Israele. Ma nel 1995 a seguito di accordi in cui si concedeva l'amministrazione autonoma ai palestinesi su quei territori, Israele ritirò le sue forze militari da alcune aree della Cisgiordania, che vennero quindi divise in tre aree, con la creazione nel 1995 dell'Autorità Nazionale Palestinese. L’ultimo censimento Onu del marzo 2023 ha visto un processo di conquista silenziosa da parte di Israele per opera di Netanyahu che ha favorito la localizzazione di 279 colonie israeliane incentivando economicamente l’insediamento onde favorire la conquista di nuovi territori nella zona.

Le aree in questione sono 3, la prima (zona A) sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, la seconda la zona B e caratterizzata da un’amministrazione congiunta tra ANP e Israele, mentre la zona C è sotto il controllo israeliano. L'Area A comprende le città palestinesi, e alcune zone rurali di distanza da centri di popolazione di Israele nel nord (tra cui Jenin, Nablus, Tubas e Tulkarem), il sud (nei pressi di Hebron), e uno nel centro sud di Salfit. L'Area B aggiunge altre popolate aree rurali, molto più vicino al centro della Cisgiordania. L'Area C contiene tutti gli insediamenti israeliani, le strade di accesso utilizzato per gli insediamenti, zone cuscinetto (vicino a insediamenti, strade, aree strategiche, e in Israele), e quasi tutta la Valle del Giordano e il deserto della Giudea.

Le aree A e B sono a loro volta divise in 227 aree separate le une dalle altre da una dell’area C. La grande maggioranza della popolazione palestinese vive nelle zone A e B mentre la zona C ha visto la costruzione e la diffusione di insediamenti Israeliani con decine di villaggi e città della nuova West Bank. In tal senso Israele ha confiscato circa 2000 chilometri quadrati di terra palestinese violando la convenzione di Oslo del 1993 e costruendo nuovi insediamenti e strade riservate solo ai coloni. Gli atti di violenza nei confronti dei palestinesi sono all’ordine del giorno. Metodi comuni agli israeliani che possiamo considerare ormai una violenza di stato e fanno parte della strategia che vuole consolidare la terra palestinese della Cisgiordania.

Il diritto internazionale e la quarta convenzione di Ginevra hanno vietato alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile, naturalmente Israele non ha tenuto conto di tutto questo. Oggi sono stati trasferiti ben 700 mila coloni Israeliani che compiono con l’appoggio governativo attacchi, demolizioni di case, trasferimenti forzati e detenzioni arbitrarie nella zona. La rete di colonie, strade e infrastrutture costruite per i coloni ha frammentato il territorio palestinese, rendendo sempre più difficile per lo sviluppo economico e la coesione sociale.

Gli insediamenti israeliani e le infrastrutture associate coprono oggi oltre il 42% della Cisgiordania, e sorgono tutte su terreni sottratti con la forza e inutili sono state le risoluzioni ONU che hanno dichiarato illegali questi insediamenti. Uno dei tanti soprusi che continuiamo a vedere dopo la striscia di gaza sempre con l’obbiettivo di impoverire la popolazione palestinese compromettendo il tenore di vita con delle conseguenze a lungo termine. Campi di ulivi e frutteti vengono distrutti ed i pascoli vengono preclusi alla popolazione. I coloni nella loro barbaria si sono permessi di sradicare alberi di ulivo per favorire nuovi insediamenti. Possiamo considerare tutto questo una seconda gaza, perché Israele vuole comandare e conquistare territori come suo disegno Geopolitico di base.

Un motivo per pensare che l’ultima risoluzione ONU che ha approvato il piano di Pace nella striscia di gaza ha molte similitudini con quello che sta avvenendo in Cisgiordania. Israele ha violato la prima fase del piano più volte, circa 200 volte. Ma oggi si parla di cessate il fuoco. La fase due di cui tutti i media hanno parlato prevede chiaramente la conquista silenziosa dei territori della striscia di Gaza e l’invio di una Forza di stabilizzazione internazionale, guarda caso la creazione di un consiglio di pace è proprio presieduto da Trump. La nascita di un comitato tecnico palestinese per il disarmo di Hamas apre molti dubbi. Una generica costruzione di un possibile stato palestinese viene dettata ai margini della risoluzione che sembra non convenire a nessuno e specie ad Israele che dovrebbe cedere il controllo della stessa Cisgiordania.

Una guerra che in Cisgiordania continua incessantemente e gli Ulivi oggi rappresentano un bersaglio utile ad annientare la storia degli autoctoni. Le dichiarazioni dei palestinesi sono chiare: “Gli ulivi sono piante secolari, quando non millenarie, presenti in questo luogo da sempre. Sono alberi quasi sacri per noi palestinesi: ci tengono radicati alla terra e ne testimoniano la loro storica presenza. Oltre che essere un’importante voce della fragile economia locale-palestinese, sono quindi un forte simbolo di identità nazionale. L’intensificarsi degli attacchi agli uliveti da parte dei coloni nella Cisgiordania occupata è altrettanto simbolico e significativo. Il messaggio che la componente più estremista israeliana vuole fare arrivare ai palestinesi è netto: non vi vogliamo in questa terra perché è totalmente nostra, e della vostra identità e sussistenza non ci interessa granché”.

Le Nazioni Unite, dichiarano che nel mese di ottobre sono stati registrati il più alto numero di attacchi dal 2006, con oltre 260 episodi, una media di otto al giorno. L’ondata di violenze coincide proprio con la stagione della raccolta delle olive, quando i palestinesi si dirigono verso i loro terreni agricoli intorno alle città e ai villaggi. Le immagini che sono circolate sulla rete mostrano decine di uomini mascherati su una collina a est di Tulkarem, che attaccano un magazzino palestinese a Beit Lid e alcuni camion sono dati alle fiamme. Nel villaggio beduino di Deir Sharaf si possono vedere tende in fiamme, con grida di donne in sottofondo. Muayyad Shaaban, capo della Commissione per la Resistenza al Muro e agli insediamenti dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) ha affermato che gli attacchi fanno parte di una vera e propria campagna di “intimidazione e terrore”.

Questi continui attacchi alla popolazione alimentano nella popolazione palestinese un’insicurezza continua che mina le fondamenta delle istituzioni palestinesi. Una situazione che alimenta una grande disoccupazione ed il fallimento dei servizi con l’aggravarsi della povertà dei circa tre milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania. La spirale delle violenze da parte dei coloniverso i palestinesi aumenta la caduta della produzione di olio e l’economia della Cisgiordania si è ridotta del 17%.

Secondo i dati dell’Unione degli agricoltori palestinesi (Upf), circa il 60% degli olivicoltori non ha potuto raccogliere le olive sia nel 2023 che nel 2024. Quest’anno le previsioni sono ancora più critiche e si presume che la raccolta sarà impedita a 7 olivicoltori su 10. La persistente crisi fa sì che pochi olivicoltori abbiano fonti di reddito alternative. “L’impatto economico è molto negativo per tutti, ma c’è di più – osserva Abbas Milhem, direttore dell’UPF – l’ulivo per i palestinesi non è solo un albero. È una fonte di vita, una fonte di pace. Coltiviamo ulivi in Palestina da migliaia di anni. Fa parte della nostra cultura e della nostra esistenza”.

Il caso Cisgiordania naturalmente non è isolato e Israele sa bene che il processo geopolitico di conquista di territori passa sempre dalla violenza e dal processo di intimidazione delle popolazioni autoctone considerate indesiderate agli occhi degli ebrei.

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