L’ultima tappa nell’analisi del ciclo di gestione dei rifiuti riguarda dei processi e degli acronimi forse poco conosciuti, ma che comunque rappresentano una parte importante nello studio del ciclo dei rifiuti e delle possibili soluzioni applicabili.
Tritovagliatura e STIR: La tritovagliatura è sostanzialmente un operazione di trattamento dei rifiuti costituita da due parti separate ma complementari: la triturazione e la vagliatura. La prima fase, quella di triturazione, serve essenzialmente per ridurre il volume dei rifiuti e deve essere eseguita sia nella fase di selezione dei rifiuti che in quella di post-trattamento meccanico. La seconda, invece, quella di vagliatura ha lo scopo di separare i diversi tipi di materiale che compongono un determinato rifiuto. Ad esempio se si sta procedendo alla vagliatura di rifiuti indifferenziati grazie alla vagliatura è possibile dividere la parte più pesante, come metalli, legno, inerti e vetro, da quella più pesante come la carta , la plastica o le sostanze organiche.
La tritovagliatura viene eseguita presso gli Stabilimenti di Tritovagliatura ed Imballaggio dei Rifiuti (STIR), i quali, quindi, hanno l’importante compito di produrre combustibile CDR, il Combustibile Derivato dai Rifiuti, destinato agli inceneritori, e FOS, ovvero la Frazione Organica Stabilizzata, che invece può, senza alcuna conseguenza, essere depositata presso le discariche. Un ciclo “virtuoso”, questo, se venisse applicato nella maniera corretta, ma che a volte può subire delle distorsioni. E’ questo il caso della Campania, dove, a causa di una impiantistica falsata, gli STIR altro non sono che degli “imbustatori” di rifiuti che producono, piuttosto che FOS, un umido non stabilizzato che poi viene depositato nelle discariche.
Così in Campania le balle che escono dagli STIR non fanno altro che innalzare le temperature di combustibile, con la conseguenza di creare delle forti difficoltà agli impianti, mentre l’umido non stabilizzato finisce in discarica producendo percolato che rallenta notevolmente le fasi di scarico. Il tutto senza contare i deficit industriali che gli STIR mal gestiti finiscono con il creare e la saturazione delle stesse discariche che non sono capaci di far fronte ai rifiuti, mal “stabilizzati”, ivi depositati.
Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR): Il Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR), traduzione dell’acronimo inglese RDF (Refuse Derived Fuel), altro non è che un combustibile triturato secco che viene ottenuto grazie al trattamento degli RSU (i rifiuti solidi urbani), che solitamente vengono raccolti in grossi blocchi cilindrici che prendono il nome di ecoballe. Ne consegue che il CDR altro non è che il prodotto finale di un lungo e complesso processo, tecnicamente definito come “filiera di differenzazione, recupero e riciclo di rifiuti non pericolosi”. Tale processo prevede innanzitutto il recupero di tutto quel materiale che può essere riciclato, ovvero, materiale organico da avviare al compostaggio: carta, vetro, plastica, legno, alluminio e altri tipi di metalli. Tutto quello che resta finisce con l’essere trasformato in CDR mediante una serie di lavorazioni che permettono la stabilizzazione delle proprietà, evitando allo stesso tempo che si verifichino dei processi di frammentazione o di degrado. Ne segue che la produzione di CDR è una attività complementare ed integrata alla differenziazione dei rifiuti, visto che senza la separazione del materiale riciclabile non è possibile ottenere un combustibile dal potere calorifero ridotto, senza contare il mancato reimpiego di materiali come vetro e metallo nei rispettivi cicli produttivi. I CDR presentano numerosi vantaggi e potenzialità, soprattutto quando assumono la forma di CDR-Q, ovvero di Combustibile Derivato dai Rifiuti di Qualità. Questo prodotto, a differenza delle tradizionali ecoballe, permette di ottenere delle performance superiori sia per quanto riguarda potere calorifico che dal punto si vista dell’inquinamento.
Frazione Organica Stabilizzata (FOS): Si tratta di un compost che proviene dagli impianti di trattamento meccanico e che ad oggi rappresenta una quota significativa dei rifiuti urbani. In linea di massima il FOS non è un terriccio di buona qualità, vista la contaminazione determinata dalle microfrazioni di rifiuti impossibili da separare tra loro. Ecco perché il FOS viene solitamente avviato ad attività di gestione delle discariche, ovvero impiegato in usi come la ricopertura giornaliera e la ricopertura finale. In alcuni casi si era ipotizzato di poter utilizzare il FOS in attività agricole o per impieghi paesaggistici e di ripristino ambientale. Per molto tempo si è dubitato di questo possibile utilizzo del FOS, anche perché assenti o poco rilevanti erano i riscontri sugli effetti di apporti elevati di frazioni organiche selezionate, in miscele con inerti, per utilizzi di questo tipo. Queste obiezioni erano e sono senza dubbio fondate, sebbene non si possano non citare i numerosi studi oggi attivi per cercare di valorizzare un possibile impiego alternativo del FOS.
Ufficio Stampa
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