Potrebbe esserci una svolta, quindi, sul primo grande mistero della storia della Repubblica: l'uccisione dell'uomo che negli anni convulsi del dopoguerra fu protagonista della stagione controversa e sanguinosa del banditismo in Sicilia. Sollecitati dagli esposti di alcuni storici e dai dubbi del dottor Alberto Bellocco, il medico-legale che ha comparato le foto del cadavere del bandito, i pm di Palermo hanno deciso di vederci chiaro. E dissipare le ombre intraviste già da uno dei pionieri del giornalismo d'inchiesta, Tommaso Besozzi, che in un celebre pezzo dal titolo "Di sicuro c'è solo che è morto" tentò di smontare la tesi ufficiale, che voleva il re di Montelepre ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Per il cronista il bandito sarebbe stato tradito dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, morto poi avvelenato all'Ucciardone, e il suo corpo sarebbe stato fatto trovare, in un cortile di Castelvetrano, crivellato di colpi per rendere credibile la messinscena della sparatoria. Ora, però, sembra venir meno anche l'unica sicurezza espressa da Besozzi, che il cadavere lo vide con i suoi occhi, e cioè che Giuliano sia realmente stato ucciso.
Il corpo sepolto a Montelepre potrebbe essere quello di un uomo assai somigliante a Giuliano, un sosia, ucciso per permettere al bandito di fuggire dalla Sicilia. L'esame del Dna, dunque, darà le risposte attese per 60 anni. Risposte che non potrà più dare l'unico testimone che avrebbe potuto rivelare i retroscena dell'omicidio del bandito di Montelepre, l'avvocato Gregorio De Maria, proprietario della casa di Castelvetrano nel cui cortile venne trovato il cadavere. "L'avvocaticchio", come era soprannominato, è morto nel maggio scorso, a 98 anni, portando con sè nella tomba i segreti legati a un grande mistero della Repubblica.
Nel frattempo il sindaco di Montelepre, Giacomo Tinervia, dice di augurarsi "che nella bara ci sia veramente Giuliano. Lo spero per evitare illazioni che screditano quello che ha fatto lo Stato". "Ringrazio comunque i magistrati che hanno avuto coraggio - ha aggiunto il primo cittadino - e che vogliono riscrivere la storia. Qualunque sia, però, ricordiamoci sempre che qui è stato sconfitto il banditismo". Il sindaco ha polemicamente fatto notare che Montelepre "sconta" il fatto di essere il paese originario di Giuliano. "I turisti - ha concluso - vengono qui per lui e non per i nostri tesori artistici".
Di umili origini, con il padre costretto a emigrare negli Stati Uniti, nel 1943, ad appena 21 anni iniziò la sua latitanza quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasportava due sacchi di frumento gli vennero sequestrati il cavallo e il frumento. Tentò di allontanarsi ma i militari gli spararono sei colpi di moschetto. Un militare gli si avvicinò per dargli il colpo di grazia ma Salvatore Giuliano reagì uccidendo il giovane carabiniere con un colpo di pistola e da allora si diede alla macchia nascondendosi sulle montagne di Montelepre. Con l'accusa di proteggerlo vennero arrestati anche il padre e altri membri della sua famiglia. All'inizio del 1944 riuscì a liberare i suoi parenti e una parte di loro decise di allearsi con il bandito. Fu così che si formò la famosa banda di Salvatore Giuliano che trafficava, rubava e sequestrava persone. Ma a differenza di altri banditi, Giuliano aveva anche delle idee politiche. Ebbe dei contatti con il Movimento indipendentista siciliano ed entrò anche, spinto da esponenti dell'intelligence americana, nell'esercito volontario per l'indipendenza siciliana.
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