Intervista all'amministratore delegato Flavio Cattaneo della società pubblica Terna che possiede le infrastrutture elettriche: "I proventi delle attività non regolamentate vanno allo sviluppo delle infrastrutture. In cinque anni gli azionisti hanno avuto un ritorno del 161 per cento. I soci esteri sono al 34 per cento"
Non c'è un nuovo modello di business. C'è semplicemente un business che si aggiunge al nostro tradizionale ambito di operatività, che è quello di realizzare infrastrutture per il trasporto di elettricità che siano necessarie al Paese». All'indomani della vendita di Rete Rinnovabile Spa - la società del gruppo nel fotovoltaico - al fondo di private equity Terra Firma per poco meno di 700 milioni, e l'incasso di una plusvalenza effettiva di circa 200, il volto dell'amministratore delegato di Terna, Flavio Cattaneo, è decisamente soddisfatto.
E non soltanto per quello: guardandosi alle spalle, a cinque anni dal suo arrivo, Cattaneo, può vantarsi di numeri che parlano da soli: ricavi aumentati del 30 per cento, margine operativo lordo del 39 e utile netto del 159. Una performance che sembra aver premiato l'utility italiana molto più di altre. Il titolo ha prodotto un "total share holder return" (rendimento totale fra crescita dell’azione e dividendi erogati) del 161,7% dall'Ipo. La performance di Borsa è stata del 52,7% dal 1 novembre2005, mentre l'indice Dj delle utilities ha perso da allora il 3,9%. A livello europeo, tutti i principali concorrenti di Terna si sono dovuti accontentare o di performance a cinque anni negative o di poco sopra il 3-4 per cento. Soltanto l'inglese Pennon Group, che opera nel settore idrico, ha fatto meglio in Borsa (più 63,3%).
Dottor Cattaneo, com'è maturata questa operazione sul fotovoltaico?
«È semplice. Terna ha, oltre alla rete elettrica, anche delle sottostazioni e delle cabine, con ampie aree di rispetto tutt'intorno. Bene, abbiamo usato queste aree per metterci dei panelli solari e abbiamo fatto degli investimenti, concentrando questi asset in una società che abbiamo costituito e venduto in 10 mesi, realizzando una forte plusvalenza. Abbiamo fatto gli imprenditori raccogliendo i frutti di ciò che avevamo seminato».
Ci avete preso gusto? Nel senso che avete in mente di fare altri investimenti di questo tipo?
«Abbiamo molti altri terreni da utilizzare e abbiamo intenzione di continuare».
Dunque possiamo correttamente parlare di un nuovo modello di business per Terna: non più soltanto investimenti in infrastrutture in Italia ma anche una sorta di imprenditorialità libera: vogliamo definirla così?
«Sì, un ampliamento dell'esistente, però bisogna sempre ricordare che in quello che facciamo esistono delle regole, ed inoltre che in 5 anni abbiamo quadruplicato gli investimenti sulla rete».
Quali regole?
«Intanto ci innoviamo soltanto laddove possiamo cogliere delle opportunità nei settori che conosciamo. Io direi che più che prudenti siamo molto attenti . Ma c'è dell'altro. Il business non regolamentato produce utili che vengono sempre reinvestiti nel potenziamento della rete italiana, che è il nostro core business. Non ce ne dimentichiamo mai. Nel 2010 abbiamo investito un miliardo nella rete e quasi 5OO milioni nel fotovoltaico. In questi ultimi cinque anni gli investimenti totali di Terna hanno superato i 4miliardi».
A quanto ammontano le vostre riserve di capitale?
«A 2,5 miliardi. C'è inoltre un rapporto molto favorevole fra debita ed equity, pari a 1,5. E i debiti sono perlopiù a lungo termine. Siamo l'utility meno indebitata d'Europa e non abbiamo partecipazioni che si sono svalutate nel nostro bilancio».
Continuerete ad investire nel solare?
«Sì, ma non solo. Per questa prima operazione abbiamo utilizzato 80 siti, ma ne abbiamo 3OO».
Può anticipare qualcosa?
«No, perché le prossime iniziative saranno annunciate all'inizio dell'anno con il nuovo piano industriale».
Alcuni anni fa sembrava che Terna volesse diversificarsi anche all'estero. Poi avete venduto le attività in Brasile e ora l'estero non sembra più allettarvi tanto. Perché?
«Abbiamo venduto perché ci pagavano l'intera durata della concessione più un ulteriore premio e non aveva senso tenersi quella società. Il punto è che quando andiamo all'estero lo facciamo come imprenditori, quindi è indispensabile guadagnare non meno dì quanto guadagniamo in Italia con la nostra attività. Non possiamo e non vogliamo fare investimenti all'estero con i soldi della bolletta. Infatti utilizziamo i proventi non regolamentati. All'estero si può andare in diversi modi,ad esempio comprando una cosa piccola e facendola diventare grande, oppure valorizzando ciò che già esiste come abbiamo fatto con la partecipata brasiliana, che peraltro avevamo ereditato da Enelpower e che abbiamo poi sviluppato. Comunque tenga presente che la crescita organica vale molto di più; fare una cosa da soli o comprarla sono due cose molto diverse».
I numeri sull'andamento della società e sulla sua capacità di produrre reddito per gli investitori parlano da soli. Ma l'obiezione che si potrebbe fare è che è facile guadagnare con una concessione pubblica.
«Secondo noi non esiste un business aprioristicamente facile, occorre sempre fare le giuste scelte, ma questo lo devono giudicare gli altri. Bisogna vedere qual è stata la creazione di valore per gli azionisti e la crescita industriale. E senza un solo euro di finanziamento pubblico. Se gli azionisti continuano a comprare il titolo vuol dire che sono state fatte le scelte giuste. Gli azionisti esteri, ad esempio, sono aumentati».
Di quanto?
«Negli ultimi cinque anni sono saliti al 34%. Complessivamente, sono azionisti di Terna circa 3OO investitori istituzionali esteri».
Dica la verità, dottor Cattaneo, si trova meglio a Terna che alla Rai?
«Non commento mai le questioni della Rai da quando me ne sono andato. Sono contento di stare dove sto».
(Adriano Bonafede Affari&Finanza Repubblica 25 ottobre 2010)
(Fonte: Repubblica.it)
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