MEMORIA DEL WWF ITALIA
Con la presente memoria a codesto illustrissimo Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione il WWF Italia - nella sua qualità di Associazione Ambientalista riconosciuta con Decreto del Ministero dell'Ambiente 20 febbraio 1987 ai sensi della legge 8 luglio 1986 n. 349 e come tale a sostegno del referendum abrogativo in materia di energia nucleare -intende manifestare le proprie osservazioni, di fatto e di diritto, affinché l'originario quesito referendario in materia nucleare sia trasferito sui commi 1 e 8 dell'art. 5 del decreto legge n. 34/2011 come convertito con legge n. 75/2011.
1. Ricostruzione del quadro giuridico di riferimento
Con ordinanza del 6-7 dicembre 2010 l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta di referendum abrogativo in materia di nucleare.
Con sentenza n. 28 del 26 gennaio 2011 la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum avente ad oggetto "Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme".
Con la legge di conversione n. 75/2011 – che ha modificato l'originario art. 5 del decreto legge n. 34/2011 – è stato introdotto il nuovo art. 5 con rubrica "Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme".
Il nuovo testo dell'art. 5 - fatti salvi i suoi commi 1 e 8 - di fatto abroga tutte le disposizioni oggetto del referendum.
2. Mancato superamento dello spirito referendario
Si intende, in questa parte della presente memoria, esaminare la questione relativa all'eventuale incidenza degli effetti abrogativi contenuti nel nuovo art. 5 ("Abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari") al decreto legge del 31 marzo 2011, n. 34, come convertito con legge n. 75/2011, sulla richiesta di referendum abrogativo di cui al quesito "Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme".
La Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 68/1978 ha ben chiaro il fatto che "con la previsione e con la garanzia costituzionale del potere referendario non è conciliabile il fatto che questo tipico mezzo di esercizio diretto della sovranità popolare finisca per essere sottoposto – contraddittoriamente – a vicende risolutive che rimangono affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore ordinario: cui verrebbe consentito di bloccare il referendum, adottando una qualsiasi disciplina sostitutiva delle disposizioni assoggettate al voto del corpo elettorale".
Nella medesima sentenza la Corte costituzionale ha individuato nella "intenzione del legislatore" il parametro attraverso cui risolvere il problema circa i limiti entro i quali si può legittimamente verificare il blocco delle operazioni referendarie a causa degli effetti abrogativi prodotti con una novella normativa. Più precisamente, osserva il Giudice delle leggi: "Se l'"intenzione del legislatore" – obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte – si dimostra fondamentalmente diversa e peculiare, nel senso che i principi ispiratori sono mutati rispetto alla previa disciplina della materia, la nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria: in quanto non si può presumere che i sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all'abrogazione della normativa già in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel referendum quella stessa ulteriore disciplina.
Se invece l'"intenzione del legislatore" rimane fondamentalmente identica, (…) la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché diversamente la sovranità del popolo (attivata da quell'iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza".
Alla luce di questi insegnamenti della Corte costituzionale, per verificare se con la novella legislativa è stato in concreto superato lo spirito referendario ccorrerà:
- individuare il comune principio che si ricava dalle diverse disposizioni oggetto del quesito referendario "Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme" al fine di coglierne la ratio che ha ispirato il Comitato promotore;
- individuare "l'"intenzione del legislatore" – obiettivatasi nelle disposizioni legislative" di cui al nuovo art. 5 del decreto legge n. 34/2011 (come convertito con modifiche dalla legge n. 75/2011) e, successivamente, verificare se "i principi ispiratori sono mutati (o meno) rispetto alla previa disciplina della materia". Se sono mutati, allora la "nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria". Viceversa, se i principi ispiratori della novella sono invariati e identica rimane l'intenzione del legislatore, allora non può ritenersi superata la richiesta referendaria.
Sub a): la Corte costituzionale con la sentenza n. 16/1978 ha affermato che "il tema del quesito sottoposto agli elettori non è tanto formato (…) dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune principio che se ne ricava" e pertanto "la sostanza del quesito che i promotori ed i sottoscrittori di tali richieste propongono al corpo elettorale non è (…) costituita da un atto legislativo oppure da certi suoi singoli disposti; e l'abrogazione di essi non impone di concludere che le relative operazioni devono essere comunque bloccate (sent. n. 68/1978).
Il "comune principio" del quesito referendario in esame è stato individuato dalla stessa Corte costituzionale la quale, con la citata sent. n. 28/2011, ha affermato, in sede di esame dei requisiti di "omogeneità, chiarezza ed univocità", che "le disposizioni di cui si propone l'abrogazione, benché contenute in molteplici atti legislativi, sono tra loro strettamente connesse in quanto tutte accomunate dalla eadem ratio di essere strumentali a permettere la costruzione o l'esercizio di nuove centrali nucleari, per la produzione di energia elettrica. La matrice razionalmente unitaria di dette norme comporta che il quesito in esame incorpora l'evidenza del fine intrinseco dell'atto abrogativo, consistente nell'intento di impedire la realizzazione e la gestione di tali centrali, mediante l'abrogazione di tutte le norme che rendono possibile questo effetto".
Sub b): l'"intenzione del legislatore" che lo ha ispirato nell'intervento di cui al nuovo art. 5 del decreto legge n. 34/2011, come modificato dalla legge di conversione n. 75/2011, è possibile desumerlo dai commi 1 e 8. Da questi, e in particolar modo dal comma 1, si evince che "intenzione del legislatore" non è quella di "impedire la realizzazione e la gestione di centrali nucleari", come nella ratio del quesito referendario, bensì quella di non procedere alla "definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare" in attesa "di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nazionale, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea".
Se l'"intenzione del legislatore" fosse stata, analogamente a quella del comitato promotore, di "impedire la realizzazione e la gestione di centrali nucleari" non si comprende la necessità dell'addendum di cui ai commi 1 e 8 dell'art. 5. In particolare, il comma 1 sembrerebbe introdurre una condizione sospensiva alla realizzazione di centrali nucleari anziché impedirne la loro realizzazione. Sospensione che trova conferma anche nelle dichiarazioni espresse dal ministro dello Sviluppo economico, on. Romani, in sede di intervento al Senato per la presentazione dell'emendamento n. 5.800 del Governo, di modifica dell'originario art. 5 del decreto legge n. 34/20111. In un passaggio dell'intervento parlamentare, il ministro ha affermato che "Un serio approfondimento sui profili di sicurezza della produzione di energia da fonte nucleare non può essere vincolato a termini temporali, in ogni caso predefiniti. Occorre predisporre le condizioni perché possa avvenire nel modo più sereno e proficuo".
Anche da ciò si desume che il Governo prima, mediante il proprio emendamento, e il Parlamento in sede di definitiva conversione del decreto legge poi, non hanno voluto escludere l'opzione nucleare ma solo sospenderne gli effetti. Risultato questo che l'Esecutivo aveva già realizzato con l'originario testo dell'art. 5 del decreto legge n. 34/2011 ("Sospensione dell'efficacia di disposizioni del decreto legislativo n. 31 del 2010"). Avrebbe semmai potuto ampliare l'arco temporale di efficacia della sospensione delle disposizioni sulla realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare.
Pertanto, l'intervento del Governo e del Parlamento ha, mediante l'abrogazione delle disposizioni oggetto di referendum, quale implicito fine esclusivamente quello di eludere le garanzie costituzionali a tutela del referendum quale tipico mezzo di esercizio della sovranità popolare.
Inoltre, non può non evidenziarsi l'assoluta pretestuosità del riferimento alle "decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea" posto a base della opzione dell'Esecutivo di non procedere "alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare" (comma 1 del nuovo art. 5). Infatti, non sussiste alcuna norma che attribuisca all'Unione europea il potere di imporre ad uno Stato membro di aderire all'opzione nucleare. Ciò è stato oggetto di analisi da parte della Corte costituzionale (cit. sent. n. 28/2011) nell'esaminare il profilo dell'eventuale contrasto del quesito referendario con uno specifico obbligo derivante da convenzioni internazionali. In particolare, ha osservato la Corte «che l'art. 2, lettera c), del Trattato EURATOM2 benché indichi che tra le sue finalità vi è quella di assicurare la «realizzazione degli impianti fondamentali necessari allo sviluppo dell'energia nucleare nella Comunità», precisa, infatti, che essa deve essere realizzata «nelle condizioni previste dal presente trattato». Tuttavia, quest'ultimo non contiene prescrizioni specifiche, che vincolino gli Stati ad installare centrali nucleari, o a non vietarle, e ciò neppure a livello di collaborazione nel quadro degli obiettivi dei Trattati, contenendo, invece, obblighi specifici in tema di ricerca e sicurezza. L'esatta identificazione dell'obbligo di cooperazione menzionato dall'art. 192 del Trattato richiede, inoltre, di tenere conto dell'evoluzione della disciplina in questione, da esaminare altresì nel contesto di quella più generale stabilita dall'Unione europea in materia di energia.
Al riguardo, assume rilievo la Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo e al Parlamento europeo, avente ad oggetto «Una politica energetica per l'Europa», del 10 gennaio 2007, la quale, al punto 3.8, dedicato al «futuro dell'energia nucleare», indica espressamente che «spetta ad ogni Stato membro decidere se ricorrere all'energia nucleare», pur precisando che, «qualora il livello di energia nucleare diminuisse nell'UE, questa riduzione deve assolutamente essere sincronizzata con l'introduzione di altre fonti energetiche a basse emissioni di carbonio per la produzione di elettricità». A tale proposito e a supporto di quanto testé affermato si veda la decisione di questi giorni del Governo tedesco che, in piena coerenza con le disposizioni comunitarie, ha deliberato di non prorogare l'esercizio di otto reattori nucleari ed ha stabilito il termine dell'anno 2020 entro cui tutti gli altri impianti nucleari dovranno cessare ogni attività.
Inoltre, e con riferimento ad un più generale contesto, il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha inserito nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), il Titolo XXI, dedicato alla «Energia», il cui art. 194, paragrafo 2, attribuisce al Parlamento europeo ed al Consiglio l'adozione delle misure necessarie per conseguire gli obiettivi di cui al paragrafo 1, ma stabilisce che «esse non incidono sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico, fatto salvo l'articolo 192, paragrafo 2, lettera c)» (art. 194, n. 2). L'art. 192, paragrafo 2, lettera c), del TFUE, a sua volta, prevede che «il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni» può adottare «misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo» che, tuttavia, fino ad oggi non sono state adottate, con la conseguenza che la discrezionalità di ciascuno Stato membro dell'Unione europea, in ordine alla scelta di realizzare o meno impianti per la produzione di energia elettrica alimentati con combustibile nucleare, resta piena».
Da questa ampia ricostruzione del quadro normativo comunitario si può facilmente desumere che il nuovo comma 1 dell'art. 5 della legge n. 75/2011 non aggiunge nulla a quanto non sia oggi già previsto nella legislazione europea. L'Unione europea dunque non può incidere – fatta eccezione per l'aspetto relativo alla sicurezza – sulla scelta dello Stato membro di realizzare o meno impianti per la produzione di energia elettrica nucleare. Scelta che è riservata esclusivamente ad una opzione politica di ciascun Paese comunitario.
Dall'esame fin qui compiuto emerge in modo inequivoco come alla base della iniziativa del legislatore ci sia esclusivamente una sospensione anziché una rinunzia alla realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare. In altri termini, non viene superato dal Parlamento la ratio del quesito referendario di "impedire la realizzazione e la gestione di centrali nucleari".
Dunque non si rinviene quel "mutamento dei principi ispiratori" che, secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, giustificherebbe la sottrazione dell'esercizio diretto della sovranità popolare.
Si consideri, infine, che il nuovo comma 8 dell'art. 5 del decreto legge n. 34/2011, convertito con modifiche dalla legge n. 75/2011, consente un eventuale, futuro rilancio del nucleare senza l'adozione di uno specifico strumento normativo. È prevista, infatti, l'adozione della Strategia energetica nazionale (all'interno della quale il comma 8 non esclude l'opzione nucleare) mediante una decisione del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanete per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Anche da ciò si deduce una violazione dello spirito referendario. Infatti, questo avrebbe comunque richiesto, per l'eventuale rilancio del nucleare, un intervento di tipo normativo. Con il comma 8, viceversa, l'opzione nucleare potrebbe essere rilanciata esclusivamente mediante il ricorso ad uno strumento amministrativo.
3. Trasferimento della consultazione referendaria sulle norme sopravvenute
Considerato il mancato superamento della pretesa dei promotori del referendum in materia nucleare, è auspicabile che l'Ufficio centrale per il referendum, in sede di giudizio ai sensi dell'art. 39 della legge n. 352/1970, trasferisca la consultazione referendaria sui commi 1 e 8 dell'art. 5 del decreto legge n. 34/2011 come convertito con legge n. 75/2011.
Tale trasferimento appare conforme alla sentenza n. 68 del 1978 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 39 della legge n. 352/1970 nella parte nella parte in cui non prevede che "se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative".
Seguendo questo indirizzo giurisprudenziale, la consultazione referendaria deve pertanto essere trasferita sugli appena richiamati commi 1 e 8 dell'art. 5, i quali sono le uniche disposizioni che, come in precedenza evidenziato, non modificano "i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente".
Qualora si dovesse ritenere non normativamente consentito il trasferimento del referendum, anziché su tutte, solo su alcune delle nuove disposizioni legislative sopravvenute, l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione al fine di tutelare l'istituto referendario quale tipico mezzo di esercizio della sovranità popolare, dovrà sollevare questione di costituzionalità, ai sensi dell'art. 134 Cost., dell'art. 39 della legge n. 352/1970 nella parte in cui non consente di effettuare il referendum solo su una parte delle nuove disposizioni legislative.
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Per tutti questi motivi, voglia codesto spettabile Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione:
- traslare il referendum abrogativo sui commi 1 e 8 dell'art. 5 del decreto legge n. 34/2011 come convertito, con modifiche, dalla legge n. 75/2011;
- in subordine sollevare questione di costituzionalità, ai sensi dell'art. 134 Cost., dell'art. 39 della legge n. 352/1970 nella parte in cui non consente di effettuare il referendum solo su una parte delle nuove disposizioni legislative.
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