Quando un contenuto di qualsiasi tipo arriva sul web, diventa inevitabilmente di dominio pubblico e spesso sfugge alla possibilità di rimuoverlo senza che lasci traccia. Un'indagine condotta da Kaspersky rileva che i giovani della Gen Z, sono meno attenti alla propria impronta digitale e alla privacy online. Questo studio ha evidenziato che l'83% dei consumatori vorrebbe poter cancellare in maniera permanente un post pubblicato in passato. Le interviste sono state realizzate da Censuswide a dicembre 2021 e hanno riguardato un campione di 8.519 utenti suddivisi per fasce d'età.
La difficoltà nel fermare certi contenuti, può generare in casi estremi, gravi fenomeni come il cyberbullismo e il revenge porn. Il revenge porn consiste nella pubblicazione sul web di foto e/o video intimi senza il consenso della vittima. Generalmente avviene dopo una condivisione privata e consensuale, detta "sexting", o in altri casi mediante sottrazione di contenuti dai dispositivi personali. Se ovviamente il sexting non costituisce reato, il revenge porn sì. La legge del 19 luglio 2019 n. 69 stabilisce che tali comportamenti sono reati punibili con la reclusione.
Il cyerbullismo, invece, letteralmente "bullismo in rete", fa riferimento a pesanti vessazioni e intimidazioni telematiche che un gruppo o singole persone attuano nei confronti di una vittima, attaccandolo sull'aspetto fisico, caratteriale, orientamento sessuale, questioni di genere, disabilità e tanto altro. Coloro che lo perpetuano sono solitamente convinti del fatto di agire in una dimensione di totale anonimato. Entrambi i fenomeni, hanno portato in alcuni casi a vere e proprie tragedie, basti pensare ai recenti fatti di cronaca italiana degli ultimi anni. Ma come tuteliamo la nostra privacy sui social network che usiamo quotidianamente? Per garantire il diritto alla privacy ci sono due strumenti fondamentali:
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la correttezza del trattamento dei dati.
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la possibilità dell'intervento da parte dell'interessato.
Chi utilizza i dati personali di un soggetto è tenuto infatti a rilasciare una informativa per illustrare le finalità e le modalità del trattamento dei dati, mentre il soggetto che conferisce i dati può verificare la correttezza del trattamento e, in alcuni casi, revocare il proprio consenso al trattamento.
Nell'applicazione di queste regole al mondo virtuale ci si scontra però con diverse problematiche poiché internet, per le sue particolari caratteristiche, pone una serie difficoltà nell'attuazione di forme di controllo precise.
L'idea di fondo che ha ispirato la normativa europea in materia privacy è quella che nell'odierna società dell'informazione la tutela dei dati personali non debba essere considerata come un ostacolo alla circolazione delle informazioni, ma come una delle regole utili ad un miglior funzionamento del sistema disciplinando e rendendo trasparente il flusso delle informazioni a garanzia e tutela degli interessati.
Già nel 2008, in occasione della Conferenza internazionale delle Autorità di protezione dei dati, settanta authority si sono riunite per fare il punto della situazione indicando delle raccomandazioni nei confronti dei fornitori dei servizi di social network:
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la trasparenza delle informazioni;
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il controllo da parte degli utenti sui dati che li riguardano;
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le impostazioni di default orientate alla privacy;
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il potenziamento delle misure di controllo al fine di impedire gli accessi abusivi ai profili-utente da parte di soggetti terzi, ad esempio mediante dispositivi di spidering;
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la semplificazione delle operazioni di recesso dal servizio;
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il previo consenso dell'utente affinché siano indicizzati i dati del proprio profilo.
A questo punto perciò è fondamentale parlare di diritto all'oblio. La società dell'informazione in cui viviamo è caratterizzata, appunto, alla gigantesca mole di informazioni che riesce a contenere e memorizzare dati che però diventano sempre più difficile dimenticare, perdere e anche far dimenticare. In seguito a questo fenomeno, la giurisprudenza in materia di privacy ha creato il diritto all'oblio che la Corte di Cassazione ha definito come ":
"Il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata." Si prevede, infatti, l'obbligo per i titolari (se hanno "reso pubblici" i dati personali dell'interessato, ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi "qualsiasi link, copia o riproduzione"
Ha un campo di applicazione più esteso di quello di cui all'art. 7, comma 3, lettera b), del Codice, poiché l'interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati, per esempio, anche dopo revoca del consenso al trattamento.
In realtà si tratta di un tema in continuo cambiamento poiché presuppone un costante allineamento tra interessi costituzionalmente protetti e la cronaca dall'altro, e va di pari passo con l'evoluzione veloce e costante di web, social network e tecnologie a essi connessi.--
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