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giovedì 22 marzo 2012

Cnr Telethon deficit intellettivo

 

 

 

 

 

 

 

 

POSSIBILE TERAPIA CONTRO LA DISABILITÀ INTELLETTIVA DI ORIGINE GENETICA

 

Ricercatori di Telethon e del Consiglio nazionale delle ricerche propongono un bersaglio farmacologico per ripristinare le funzioni cognitive 

 

 

Chiarito per la prima volta il meccanismo molecolare alla base del deficit di apprendimento e memoria riscontrato nei pazienti affetti da una forma genetica di disabilità intellettiva, quella legata al cromosoma X: a descriverlo sulle pagine di 'Neuron' è Maria Passafaro, ricercatrice dell'Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano e dell'Istituto Telethon, il cui  il 'programma carriere' è intitolato al premio Nobel Dulbecco recentemente scomparso.

Finanziato da Telethon e dalla Fondazione Mariani, questo studio dimostra per la prima volta l'importanza della proteina TSPAN7, alterata in questi pazienti, per un corretto traffico di uno dei più importanti 'messaggeri' del cervello, il recettore di tipo AMPA per il glutammato. "Questo neurotrasmettitore è coinvolto in numerose attività cerebrali, tra cui memoria e apprendimento", spiega Silvia Bassani, assegnista presso l'In-Cnr e prima autrice del lavoro. "Per esercitare il suo ruolo, però, è fondamentale che le cellule nervose siano in grado di captarlo correttamente, grazie ad appositi recettori situati sulla loro superficie. Come abbiamo dimostrato, nei pazienti affetti da disabilità intellettiva legata al cromosoma X il difetto genetico nella proteina TSPAN7 si traduce in un trasporto inefficiente sulla superficie dei neuroni di uno dei recettori del glutammato, quello di tipo AMPA. In altre parole, il recettore viene sottratto troppo velocemente dalla superficie e, di conseguenza, i messaggi mediati dal glutammato risultano ridotti". 

Alla luce di questi risultati, i ricercatori del Cnr proveranno a testare nel modello animale della malattia l'efficacia di alcuni farmaci nel mantenere il recettore in superficie più a lungo. "Ce ne sono almeno due, già utilizzati in ambito clinico, che potrebbero fare al caso nostro", prosegue la ricercatrice. "Se riusciremo a osservare in vivo un ripristino delle funzioni difettose a causa del difetto genetico potremo pensare di proporne l'utilizzo anche nell'uomo, per provare a stimolare un recupero delle capacità cognitive deficitarie. Per valutare una possibile efficacia terapeutica di queste sostanze ci vorranno almeno due anni, nei quali continueremo ad andare a fondo dei complessi meccanismi che regolano la comunicazione tra le cellule nervose e che sono fondamentali per chiarire come funziona il nostro cervello, sia in condizioni fisiologiche, sia in caso di malattia".

 

Roma, 22 marzo 2012

 

 

 

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