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martedì 27 marzo 2012

Meno sale, più salute, minor rischio d’ictus :le iniziative dell'Ausl di Forlì

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Da lunedì 26 a sabato 31 marzo 2012, in occasione della “Settimana Mondiale per la Riduzione del Consumo di Sale”, la mensa dell’ospedale “Morgagni-Pierantoni” di Forlì proporrà piatti senza o a basso contenuto di sale.


Meno sale, più salute, minor rischio d’ictus. E’ all’insegna di questo slogan che, da lunedì 26 a sabato 31 marzo 2012, la mensa dell’ospedale “Morgagni-Pierantoni” di Forlì metterà al bando il sale. L’occasione è fornita dalla “Settimana Mondiale per la Riduzione del Consumo di Sale”, in programma, appunto, da lunedì, e promossa dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), in collaborazione con il Gruppo di lavoro Intersocietario per la Riduzione del Consumo di Sodio in Italia (GIRCSI), nell’ambito della campagna organizzata da World Action on Salt and Health (WASH) per promuovere la riduzione dell’assunzione di sale da cucina nell’alimentazione quotidiana. Anche l’Ausl di Forlì aderisce, dunque, all’iniziativa, sia predisponendo per la mensa menù ad hoc preparati dalla cucina dell’ospedale, sia distribuendo agli utenti materiale contenente alcune indicazioni pratiche dirette ai consumatori per una scelta consapevole di alimenti meno ricchi in sale nei diversi pasti della giornata.



Sale e sodio nei cibi - Quanto è “troppo”?
Come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni giorno non bisognerebbe consumare più di 5 grammi di sale da cucina, che corrispondono a circa 2 grammi di sodio. Per dare una idea più chiara, 5 grammi di sale sono all’incirca quelli contenuti in un cucchiaino da tè.
Il sodio si trova soprattutto nel sale e negli alimenti salati. Secondo stime della Commissione Europea, il sale presente nei cibi industriali o consumati fuori casa arriva a più del 75% e quello aggiunto nelle preparazioni domestiche è solo il 10% circa.



Come si può limitare il consumo di sale e sodio?
Mettere in pratica una riduzione di sale dei cibi non è facile. Va infatti considerato che il sale, tradizionalmente utilizzato nell’industria alimentare per migliorare la conservazione dei cibi, viene usato anche come ingrediente per migliorarne il sapore (soprattutto dei cibi di scarsa qualità). Ciò nel tempo ha contribuito ad abituare tutti noi a un gusto “salato”, tanto che i cibi meno salati rischiano di non essere apprezzati.
Cambiare dall’oggi al domani le proprie abitudini alimentari non è facile. Abituarsi gradualmente al consumo di cibi meno “salati” è invece più semplice: si può partire da obiettivi minimi riducendo alcune categorie di alimenti responsabili di un elevato apporto giornaliero di sodio tra cui cibi confezionati o precotti, pane, formaggi e carni per raggiungere col tempo traguardi che richiedono impegno via via maggiore.
Ecco alcuni esempi relativi alle quantità di sodio presenti negli alimenti:
• basta una pizza per raggiungere la quantità limite giornaliera (2 grammi);
• se invece di un panino con un salume crudo se ne sceglie uno con pomodoro e mozzarella si risparmia circa 1 grammo di sodio;
• se si usano i legumi freschi o secchi invece di quelli in barattolo si può evitare fino a mezzo grammo di sodio;
• attenzione a pane, cracker e grissini: non sono fra gli alimenti più ricchi di sodio, ma ne possono apportare molto perché nell’arco della giornata se ne mangiano più porzioni. Mangiando invece pane sciapo praticamente non si assume sodio.



Cosa si sta facendo?


A partire dal 2008 numerosi Paesi europei, fra cui l’Italia, si sono impegnati a realizzare azioni concrete per ridurre il contenuto di sale nei cibi e rendere così più facile a ognuno l’obiettivo di non superare i 2 grammi di sodio al giorno.
In quest’ottica, ad esempio, il ministero della Salute, nel 2009, ha siglato un accordo di collaborazione con le associazioni dei panificatori artigianali e con l’industria per la riduzione del contenuto di sale nel pane del 15% circa in due anni. Il pane è infatti uno degli alimenti che porta a un maggiore consumo di sodio nell’arco della giornata. In quest’ottica di prevenzione primaria il Piano regionale della Prevenzione 2010/2013 prevede fra i suoi obiettivi specifici la promozione di campagne di informazione e comunicazione per aumentare la consapevolezza dei cittadini sui rischi sulla salute di un eccessivo consumo di sodio favorendo nel contempo un parallelo incremento percentuale dell’uso di sale iodato, sia a livello individuale nella preparazione dei cibi sia a livello di produzione industriale, per perseguire contestualmente l’obiettivo di ridurre l’incidenza di patologie tiroidee.



E a livello locale?
A livello locale si registrano circa 24mila persone ipertese fra i 18-69 anni, pari a un quinto della popolazione totale in quella fascia d’età. Oltre 10.000 cittadini forlivesi, poi, assumono farmaci per ridurre i livelli di pressione arteriosa. «Cambiare stile di vita e norme dietetiche, diminuendo, quindi, anche l'apporto di sale nell’alimentazione, porterebbe a una drastica riduzione del numero di coloro che necessitano di terapia farmacologica – illustra il dott. Marcello Galvani, direttore dell’U.O di Cardiologia dell’Ausl di Forlì – con conseguenti benefici in termini di salute delle persone, poichè da una parte si ridurrebbero gli effetti collaterali dei farmaci assunti, dall'altra ci sarebbe un notevole risparmio per la comunità».
Esiste, infatti, un rapporto preciso fra sale e ipertensione arteriosa, il più importante e frequente fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, che sono tuttora la prima causa di morte in Occidente. «E’ provato che, calando l’assunzione di sale, otteniamo una diminuzione pressoria pari, nella popolazione ipertesa, a 5,1 mmHg per la pressione sistolica e 2,7 mmHg per la diastolica – spiega il dott. Maurizio Nizzoli, direttore dell’U.O. di Medicina Interna ed Endocrinologia dell’Ausl di Forlì – nella popolazione sana il calo è minore, rispettivamente 2 mmHg (millimetri di mercurio) e 1 mmHg, ma pur sempre significativo. Inoltre l’effetto del sale sulla pressione arteriosa sembra essere dose dipendente. Molti, però, acquistano consapevolezza soltanto una volta che l’ipertensione si sia già manifestata mentre tanti altri ignorano il legame diretto esistente tra l’eccesso di sale alimentare e il rischio di eventi cardiovascolari disabilitanti e potenzialmente fatali, quali ictus, infarto, scompenso cardiaco, insufficienza renale». Oltre che con le malattie cardiovascolari, il sale ha un rapporto preciso anche col diabete. «Un largo consumo aumenta l’insulino-resistenza, cioè l’effetto biologico dell’insulina risulta minore di quello atteso e può contribuire al manifestarsi o aggravarsi della malattia diabetica – spiega il dott. Nizzoli –. Pertanto, occorre ripensare la nostra dieta, non solo in ambito domestico ma con interventi che riguardino la ristorazione collettiva e la preparazione industriale del cibo. Nella scelta del sale, poi, è assolutamente da preferire il sale iodato, che, favorendo la produzione degli ormoni tiroidei, permette di contrastare lo sviluppo di malattie della tiroide».
Per una settimana, dunque, la mensa dell’ospedale di Forlì attuerà tali buone pratiche, che non vanno affatto a discapito dei piaceri della tavola, cucinando primi e secondi piatti con una minore quantità di sale aggiunto; evitando cibi ad alto contenuto di sale come alcuni formaggi, salumi, salsiccia; modificando le ricette per ridurre l’apporto complessivo di sale; preparando la carne ai ferri, rossa e bianca, senza aggiungere sale; e proponendo piatti freddi con alimenti a minor contenuto di sale, quali stracchino, mozzarella, ricotta e prosciutto cotto. Inoltre, sarà disponibile pane senza sale e per il condimento ci sarà solo sale in monoporzione

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