Fra pochissimi
giorni si aprirà il 25° Conclave della storia all’interno delle mura
michelangiolesche e la Cappella Sistina sarà testimone dell’elezione del
successore di Pietro e in ultima battuta del dimesso Benedetto XVI. Gli indizi
fanno pensare che il Conclave 2013 sarà epocale per non dire decisivo. Non è in
gioco solo la nomina del 266° Papa ma il futuro stesso della Chiesa Cattolica,
forse la sua sopravvivenza. Per la Chiesa, questo Conclave è l’ultima spiaggia. O si
rinnova e salva oppure si arena e muore come una balena agonizzante. Il fatto
che il Santo Padre si sia dimesso ha come dischiuso ai piedi del Vaticano una
voragine senza fondo. Si ha la sensazione che la Chiesa, affacciata
sull’abisso, sia giunta al punto in cui deve varare riforme radicali per non precipitare
e sparire. Quali siano queste riforme è evidente: stop al celibato dei preti,
apertura alle donne, ritorno al Vangelo e alla Chiesa delle origini, modernizzazione,
ecc.
A gettare una cortina oscura e pesante sull’avvenire della Chiesa è la
famosa profezia dei Papi di Malachia. Tutti ne abbiano sentito parlare ma pochi
sanno esattamente di cosa si tratti. La Prophetia
Sancti Malachiae è un testo attribuito a San Malachia, un vescovo irlandese
vissuto nel XII secolo. Contiene 111 brevi motti in latino che descrivono i
papi e alcuni antipapi (a partire da Celestino II) di cui l’allora monaco
cistercense, poi divenuto primate della Chiesa d’Irlanda, ebbe la visione durante
un viaggio a Roma. Alle descrizioni degli ultimi due pontefici (Giovanni Paolo II, detto De labore solis, e Benedetto XVI, definito Gloria olivae), seguono queste parole: “Durante l’ultima
persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano, che pascerà il
gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dei sette colli sarà
distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine”.
L’interpretazione che abitualmente si dà a questa profezia è univoca: il Papa
che verrà eletto nell’imminente Conclave si chiamerà Pietro Romano (Pietro II?)
e sarà l’ultimo. Dopo di lui, come ha rimarcato San Malachia, ci sarà la “fine”
della Chiesa Cattolica. Naturalmente questa profezia non va presa come oro
colato. C’è chi giura che è falsa. E che dire della Terza Profezia di Fatima, a
lungo tenuta nascosta? Anch’essa annuncia tempi nefasti per la Chiesa. Infine,
non possiamo dimenticarci della profezia del Papa nero che viene attribuita a
Nostradamus. In realtà, nelle sue quartine in rima non v’è alcuna traccia di un papa
nero. Si ritorna dunque a San Malachia e all’ipotesi che nella trascrizione
delle Profezie sia andato perduto l’ultimo motto, che recitava Caput niger. In sostanza, molti pensano che
il prossimo (e ultimo) pontefice sarà nero. Il dubbio che condiziona l’esegesi
è: nero per il colore della pelle o di animo nero e tale da accelerare
l’autodistruzione della Chiesa e la fine del papato? Nel primo caso, non ci
stupiremmo più di tanto se il prossimo Papa fosse, ad esempio, il cardinale ghanese
Peter Turkson, che possiede due interessanti requisiti: si chiama Pietro e ha
la pelle nera. Inoltre viene da lontano (San Malachia precisa anche questo
dettaglio). Nel secondo caso, invece, è pensabile che il successore di
Ratzinger sarà un uomo di potere, un conservatore chiuso alle riforme, a causa
del quale la Chiesa potrebbe implodere e crollare, come accadde a suo tempo al
Comunismo. Al momento è impossibile fare pronostici. Sul Conclave 2013 si può giocare la tripla. Fra poco i giochi saranno fatti e comunque, prima della fumata
bianca, scriverò più dettagliatamente del Conclave e dei papabili.
Oggi,
voglio invece analizzare la terribile crisi della Chiesa, giunta spossata a un
bivio che deciderà il suo destino. Di Vaticanleaks e degli scandali dei preti
pedofili si è parlato e scritto fino alla nausea. È inutile che mi aggiunga al
coro. Anche sullo IOR (la Banca Vaticana), sugli scandali finanziari e immobiliari
(udite, udite, si calcola che la Curia possieda il 20% dei beni immobili
italiani!) e sui misfatti compiuti dal Vaticano e dai suoi bracci armati (Opus
Dei, Legionari di Cristo, Comunione e Liberazione, ecc) sono stati versati
fiumi d’inchiostro. Se fosse qui, Gesù Cristo non si limiterebbe a rivoltare i tavoli
dei cambiavalute nel Tempio. Chiederebbe ai viscidi prelati e ai farisei che lo
hanno tradito: “Cosa avete fatto dei miei insegnamenti e dell’amore di cui vi
ho fatto dono?”. Poi darebbe fuoco ai palazzi del Vaticano come a suo tempo
Jahvé distrusse Sodoma e Gomorra. Il problema vero è che aldilà degli scandali
e della secolarizzazione, la Chiesa ha smarrito la bussola. Ancor più grave e
penalizzante è il fatto che siamo entrati in una nuova energia. L’umanità sta
ascendendo verso una dimensione superiore, le vibrazioni sono aumentate e nulla
sarà più come prima. Non ci sarà la paventata e profetizzata Apocalisse ma solo
la fine del mondo. Mi riferisco alla fine del vecchio mondo, edificato coi
mattoni dei dogmi e delle liturgie che incatenano le persone anziché
affrancarle dalla paura, con ideologie che ingannano le menti e inquinano i
cuori. La Chiesa fa parte del vecchio mondo che sta morendo. La stessa
religione è destinata alla muta. Cambierà pelle perché sta cambiando la forma mentis del genere umano.
I dati
della crisi d’identità della Chiesa rafforzano l’idea che se il nuovo Papa sarà
consapevole di ciò che è avvenuto, sta avvenendo e avverrà nei prossimi anni,
allora potrà tenere a galla la barca di Pietro. Per farlo dovrà cambiare
drasticamente rotta, dovrà buttare a mare la zavorra e il marcio, dovrà issare
vele candide al posto di quelle nere. La Chiesa è obbligata a voltare pagina,
rinunciando alle bieche menzogne, alle manipolazioni, alle speculazioni, ai privilegi,
all’immunità. In caso contrario, la barca di Pietro affonderà. I dati, ripeto.
Sono impietosi. Poco prima di morire, il Cardinal Martini dichiarò in una
intervista che la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. È stato ancora buono.
La Chiesa è rimasta ai tempi dei Borgia e di Torquemada, ha solo raffinato i
modi e gli strumenti per mantenere il controllo sulle anime oltre che sulle masse
corporee. Il fatto è che ciò comporta impegno e fatica e adesso è stanca,
vecchia, incapace di adeguarsi al balzo quantico in corso. È un apparato vuoto,
pomposo, lontano mille miglia dalla gente. La Curia ha dato e continua a dare
pessimi esempi e perciò ha perso la sua credibilità. A bene guardare, c’è un
paradosso in essere. Mai come in questo momento il cattolicesimo sembra vivo e forte,
tutti ne parlano come se fosse di moda (basti pensare alle fiction televisive che
vedono come protagonisti preti, suore e santi). Allo stesso tempo, mai come in
questo momento è debole e incerto. I fedeli sono in continuo calo e le chiese vuote.
Il catechismo è in default. Diminuiscono
i matrimoni religiosi, i battesimi, le prime comunioni e le cresime. La crisi
di vocazione sta inaridendo il ricambio dei consacrati. Preti e suore sono
ormai una razza in via di estinzione. La parabola del clero ricorda Caporetto.
I religiosi sono sempre più vecchi e quando muoiono non sono sostituiti. L’età
media dei sacerdoti diocesani in Italia è di 60 anni e sono solo 32.000 mentre
cento anni fa (con una popolazione che era la metà di oggi) erano 69.000. Si
stanno svuotando anche i conventi e i monasteri. Diamo tempo al tempo e
diventeranno tutti alberghi di lusso o dimore per i ricchi. Oltre i confini
nazionali la situazione è peggiore, anche in paesi tradizionalmente cattolici.
Se non ci fosse il clero d’importazione la Chiesa avrebbe già alzato bandiera
bianca. Si arruolano preti e suore nei Paesi del terzo mondo per ovviare alla
crisi di vocazione europea (salvo la Polonia). Ma è vera fede quella che
conduce i ragazzi poveri nei seminari delle Filippine, dell’Africa e
dell’America latina? Oggi è plausibile ipotizzare che il prossimo Papa possa
essere nero o perché no giallo o amarindo. La Chiesa Cattolica Romana
Apostolica sta in piedi grazie agli stranieri. È come se nella Nazionale
Italiana di calcio giocassero dieci giocatori su undici nati all’estero. Ci può
stare, per altro. I tempi cambiano e con essi lo scenario. Quello che non
cambia, a fronte di una crisi religiosa e di fede che altre confessioni non conoscono (su tutte l’Islam), è
l’avidità, la miopia, l’arroganza, la corruzione morale di coloro che in seno
alla Chiesa rinnegano ogni giorno il Vangelo rendendone inevitabile il declino.
Thomas Stearns Eliot si chiedeva se “è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità o
è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa”. Mi sembra che non ci siano dubbi. Il
cattivo pastore ha deluso il gregge, l’ha disgustato e nella migliore delle
ipotesi non ha saputo tenerlo unito, proteggerlo, impedire che si perdesse. La
colpa ricade totalmente sul pastore, che è sporco e inabile a svolgere il suo
compito.
Ecco, è in questa ottica che io guardo al prossimo Conclave. Il suo
esito è determinante. Ci consegnerà un nuovo Pastore che dovrà cercare non solo
di conservare le pecorelle rimaste ma di richiamarne qualcuna perduta
all’ovile. Il nuovo Pastore dovrà necessariamente essere giovane, brillante,
rivoluzionario e credibile. Dovrà fare piazza pulita e rinnovare la Chiesa radicalmente.
Ne sarà capace? Di sicuro, si ritroverà sull’ultima spiaggia e si accorgerà subito
di quanto la sabbia sia sporca e di come sia burrascoso il mare intorno ad
essa. C’è da augurarsi che questa volta lo Spirito Santo compia un vero
miracolo. Perché alla Chiesa serve esattamente un miracolo.
Nel post che
pubblicherò a breve, alla vigilia del Conclave, ipotizzerò come potrebbero
andare le cose nella Cappella Sistina, alla quale tutti – cristiani e no,
devoti e agnostici – guarderemo con grande interesse e lecita apprensione.
www.giuseppebresciani.com
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