Tredici donne morte in mare, e ci sentiamo colpevoli. Perché siamo cittadini italiani. Perché le azioni che portano a un reale cambiamento sono ancora lontane, anche con la fine della stagione politica delle urla e dei proclami xenofobi. La nostra rete si chiama
#Restiamoumani. Siamo in tanti, associazioni e singoli cittadini catanesi, proveniamo da esperienze laiche e religiose molto diverse tra loro. E queste donne sono al centro dei nostri pensieri, delle nostre preghiere, del nostro dolore. Ormai da più di un anno condividiamo insieme il tema dell'accoglienza, con incontri settimanali, eventi pubblici e fortificando la rete dei contatti tra i tanti che in città, ma non solo, si impegnano per un Paese accogliente.
Il brusco risveglio dell'ennesima enorme tragedia alle porte dell'Italia, a Lampedusa, ci fa pensare che le difficoltà nel soccorrere chi è naufrago sono frutto delle nostre leggi ancora in vigore, e non importa se chi le ha promosse non è più al governo. Chiediamo un cambio di rotta all'Italia, la ripresa della politica della responsabilità nell'accoglienza in tutto il Paese. Prendendo esempio da Lampedusa e dalla sua gente, che non ha mai abdicato al proprio sentimento comune di fratellanza e al quale va la nostra solidarietà.
Siamo un Paese fatto di sessanta milioni, alcuni dei quali pensano che delle donne degli uomini o persino dei bambini che cercano di raggiungere l'Italia via mare sono delle minacce al nostro benessere, ma fatto anche da quelli che hanno gridato NO ai Decreti Sicurezza e agli accordi sulle quote di accoglienza che scambiano la vita umana per merci. Ultimamente, forse, con una voce fioca. Questa tragedia che avviene quasi a sei anni esatti dal grande naufragio di Lampedusa, ci ricorda come l'emergenza umanitaria sia frutto del nostro, colpevole, egoismo. Che con rinnovato impegno vogliamo lasciarci alle spalle.
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