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giovedì 20 gennaio 2022

Pandemia, una chiusura che fa male alla mente

La mente umana è la fonte e centralità per i comportamenti dell’uomo, il suo labile equilibrio è dato da un intersecarsi di stimoli che continuamente vengono elaborati dalle cellule nervose. Un insieme di azioni legate al linguaggio, alle emozioni, alla socialità ed alle relazioni positive che favoriscono l’equidistante distanza tra il conflitto ed il benessere delle barriere neuronali collegate alla produzione di ossitocina. La pandemia è stata una condizione favorente l’ampia classe di sindromi collegata allo stress neurogeno tra queste ricordiamo la Sindrome del Capanno, la sindrome di Hikikomori, la sindrome del long covid. La sindrome di hikikomori che letteralmente significa staccarsi , stare in disparte è caratteristica di una persona che ha scelto di confinarsi nel suo ambiente staccandosi dalla vita sociale vivendo nella solitudine. Il Giappone è stata la patria di questa sindrome che sembra essere dovuta alla marginalizzazione di una società giovanile che non riesce ad affrontare le sfide di autorealizzazione che la stessa società giapponese impone alle nuove leve. Il Italia nel 2013 la Società di Psichiatria ha identificato circa 3 milioni di Italiani tra i 15 ed i 40 anni che hanno sofferto di tale sindrome. Il lockdown si innesta con la massima similitudine alla condizione di confinamento ed al processo di emarginazione sociale caratteristica di questa sindrome creando specie nei giovani un disagio che molte volte sfocia nella rabbia. La seconda sindrome che molto si allaccia alla condizione di chiusura e confinamento è quella della capanna. In tal senso i mesi di quarantena hanno fatto il loro importante lavoro nelle cellule neuronali cambiando i nostri comportamenti che oggi sono più votati verso la resilienza adattativa collegata alla casa. La casa infatti rappresenta oggi ancora di più un vero scudo protettivo nei confronti di un mondo esterno minaccioso. Molte persone faticano a tornare all’esterno sociale che ancora oggi è oggetto di una pericolosità per la sfera personale. Secondo la società di psichiatria sono in tal senso circa un milione gli italiani che soffrono di questa sindrome. Tra i sintomi possiamo ricordare gli episodi di irritabilità e l’insonnia. Ma nel contesto della sfera emozionale notiamo la paura del contagio che porta molte persone a non aver voglia di tornare alla quotidianità certamente basata su elementi caotici. Le dichiarazioni di una persona affetta da tale sindrome sono: ”ho paura della pandemia, non riesco più ad uscire di casa, faccio velocemente la spesa e poi ritorno a casa”, “Vivo la mia vita all’interno di una nuova organizzazione quotidiana fatta di cucina ,Tv, Lettura e ascolto di musica, una vita diversa ma per me più sicura”. Infine dobbiamo enunciare in questo biennale percorso di pandemia la sindrome denominata long covid caratterizzata da una serie di manifestazioni cliniche che permangono dopo l’infezione da covid-19 , i sintomi durano nel tempo e non sembrano però collegati ad una condizione clinica di malattia. Questi soggetti mantengono lo stato di paura verso l’infezione che si trasforma in ansia reattiva ed irritabilità. La sindrome può anche denotare un indice di massa corporea più alto del normale. Ma la preoccupazione maggiore è rappresentata dall’imprinting neuronale collegato alla malattia di base che crea in taluni casi una vera disarmonia ormonale collegata ad altre patologie. Tutte le sindromi che nelle varie sfaccettature sono collegate alla pandemia da sars-cov2 hanno come comune sintomo la rabbia e l’irritabilità. Valutando la storia è proprio la rabbia ad armare la mano di quegli uomini che non sopportano il rifiuto di una donna, a trasformare un mediocre studente nell’autore di una strage, a prendere un tizio qualunque, alla guida di un’auto, e mutarlo in una belva primordiale. Ma c’è una rabbia meno clamorosa e più subdola, capace di avvelenare la vita, in casa, sul lavoro, in coda agli sportelli; proprio com’è successo all’uomo di settant’anni con il martello in tasca. Forse, per comprendere la rabbia e darle un senso, occorre ripercorrerne la storia. Agli albori della civiltà, la potenza distruttrice della rabbia veniva ricondotta al soprannaturale, per dare un senso alle calamità e alle sciagure sulle quali l’uomo non possedeva alcun controllo. Esistono comunque quattro principi che dobbiamo prendere in considerazione : il primo riguarda la necessità di parlare, di farci capire, perché gli altri non sono in grado di leggere nella nostra mente. Il secondo invita al controllo, alla valutazione del problema senza che le emozioni prendano il sopravvento; il terzo principio raccomanda di attaccare il problema, non la persona, curiosamente uno dei capisaldi dell’arte del negoziato elaborato all’Harvard Business School millenovecento anni dopo; l’ultimo punto consiglia di agire, non di reagire: è preferibile contare fino a dieci per capire quale sia il modo migliore per rispondere, ricordando che la giusta indignazione è utile se risolve i problemi, non a crearne maggiori. La Rabbia quindi può essere destrutturata con il controllo di se stessi attraverso il dialogo e minimizzata attraverso dei comportamenti positivi tendenti alla risoluzione del problema attraverso la mediazione. Infine possiamo affermare che curare la mente ci aiuta a risolvere gli effetti della pandemia costruendo una autodeterminazione neuronale tendente alla riacquisizione del benessere Psico-Fisico e Sociale.

                                                                                                             Dr. Maurizio Cirignotta 

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