Possiamo intendere la metafora del caffè visto come attesa del domani, o dell’immenso “dopo”, oppure di una rivelazione istantanea e intima, se collochiamo il luogo-caffè nella realtà esistenziale di un grande scrittore come Dino Buzzati. È sua una bella poesia che inizia proprio in un caffè, dove il poeta si recava abitualmente con gli amici. Ma l’abitudine nasconde risvolti inquietanti e porta in sé squarci misterici. La poesia è “Bacino di carenaggio” e recita nell’incipit:
«Mentre io ero seduto al caffè,/ questo qui sotto che sapete, mi giunse/ alle spalle un colpo di vento/ avvertimento apposta per me./ Gli altri, i colleghi non se ne accorsero neanche/ continuando a parlare delle solite cose,/ sfido, l’ unico destinatario ero io».
Di Buzzati abbiamo nella mente e negli occhi “Il deserto dei tartari”, ubicazione real fantastica dell’omonimo libro da lui scritto, e il film magnifico che ne ha tratto il regista Valerio Zurlini nel 1976. Ma la sua malinconica metafisica, dove la vita è un’eterna attesa di un grande evento, la morte, si riverbera anche nei versi suggestivi di cui sopra, nei quali un caffè è il teatro del nostro anelare, attendere, sperare.
Bello pensare, insieme a Buzzati, che un luogo di ristoro e di pausa serena sia anche Il Luogo per antonomasia, il posto dell’anima che si interroga e che ascolta e ama, nel suo silenzio inviolato, senza l’interferenza dei presenti. Proprio come in un luogo sacro.
Graziella Atzori
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