Affittopoli e dintorni
Dopo le inchieste giudiziarie di Affittopoli e Tangentopoli (Prima Repubblica), Calciopoli, Vallettopoli, Mafiopoli, Monopoli, Paperopoli e dintorni, l'ultimo scandalo in ordine di tempo che sta facendo tremare i Palazzi del potere, una vicenda indegna persino di una "Repubblica delle banane", è il nuovo affare che ha coinvolto Scajola ed altre personalità politiche, nonché molti vip presenti nella famigerata lista Anemone.
La retorica nazionalpopolare esaltava la "nostra amata Patria" come "un popolo di santi, poeti, eroi e navigatori". E' un'idea assolutamente falsa. Gli scandali e le inchieste emergono con maggior frequenza a riprova che il Belpaese è degenerato da tempo e la sua classe dirigente (o "digerente") è un covo di ladri, banditi e delinquenti, cialtroni e farabutti, corrotti e malversatori, l'alta borghesia italiota è un covo di furbetti e mascalzoni, palazzinari (ignari ed ignavi), speculatori senza scrupoli, affaristi ed usurai, finanzieri rampanti e voraci, calciatori viziati e presuntuosi, veline, excort, magnacci, manager falliti, avvocati e giornalisti prezzolati, paparazzi, spie e via discorrendo.
Veniamo alle vicende di "cosa nostra". In realtà gli scandali politici e morali si incrociano con quelli economici e con le pesanti ingiustizie sociali che investono la condizione delle classi lavoratrici. Il tema della moralità pubblica, come la crisi della democrazia rappresentativa che spinge l'Italia ad assomigliare sempre più ad un regime sudamericano, sono emergenze che incidono direttamente sul piano economico-sociale.
Non si tratta di questioni separate come si vuol far credere. Non a caso le vicende coinvolgono alcuni tra i maggiori esponenti della "casta politica" e del ceto dirigente. Il dato va inquadrato in un contesto politico in cui agisce una campagna mediatica orientata in funzione anti-politica e filo-confindustriale. In tal senso sembra poco casuale e ben calcolata la tempistica con cui gli scandali sono messi fuori, in un momento di grave imbarazzo per settori vitali dell'industria e della finanza nazionali.
Riparato dietro gli scandali, qualcuno trama per invocare una svolta autoritaria del sistema politico, preparando una sorta di "golpe" morbido. Una chiave utile per interpretare l'uso strumentale che la lobby tecnocratica sta facendo dell'ennesimo scandalo potrebbe rivelarsi in un'ipotesi relativa alla nascita di un esecutivo tecnico, molto spinto in senso moderato ed antioperaio, peggiore di altri governi tecnocratici come quelli che, nella prima metà degli anni '90, in piena bufera giudiziaria, gestirono il trapasso dalla prima alla seconda Repubblica. Mi riferisco ai governi guidati da Giuliano Amato nel 1992-1993 (benché questi non fosse un tecnico, ma un politico di provata fede craxiana, il suo governo rivestì un ruolo favorevole al capitalismo tecnocratico e finanziario) e da Carlo Azeglio Ciampi nel 1993-1994 (già governatore della Banca Centrale Italiana). I quali furono responsabili di accordi siglati a scapito dei lavoratori.
Si pensi all'esecutivo presieduto nel 1995 da Lamberto Dini (uno dei massimi dirigenti del Fondo Monetario Internazionale) il cui governo fu artefice della prima "contro-riforma" del sistema pubblico previdenziale. Cito tali dati storici per fornire un'idea di quante iatture e sacrifici possa procurare un eventuale "governo tecnico" ai lavoratori.
La riduzione degli spazi di agibilità democratica, la carenza di un minimo di opposizione parlamentare, non dico "comunista" ma persino "socialdemocratica" e riformista, la mancanza di un quadro politico che sia minimamente "di sinistra", l'inesistenza di un soggetto politico interessato a salvaguardare la sfera delle garanzie costituzionali che appartengono ad una democrazia formale, sono intimamente legate all'assenza di una forza politica e sindacale in condizione di tutelare i diritti e gli interessi dei lavoratori.
Inoltre, credo valga la pena di spendere qualche parola sulla cosiddetta "questione morale". L'approccio non può essere affidato semplicemente allo zelo moralizzatore di qualche onesto e laborioso magistrato di periferia, né alla solerzia repressiva di altri soggetti istituzionali, nella misura in cui non si tratta di un problema meramente penale e giudiziario, bensì va affrontato e risolto in sede politica e culturale, ponendola al centro di un incisivo e organico progetto di trasformazione radicale dell'attuale società.
La questione morale è una questione politica, intimamente legata alla società borghese, corrotta e putrescente. E come tale va affrontata alla radice, inserendola nel quadro di un'ipotesi di cambiamento totale della società, rimuovendo il ceppo, ormai deteriorato, del connubio tra politica ed affari, un intreccio deleterio che è inevitabile in quanto è insito nelle fondamenta stesse del sistema e nel quadro dei rapporti capitalistici vigenti.
La questione morale non si può subordinare e vincolare ad un problema di ordine pubblico, ossia ad iniziative giudiziarie, per quanto audaci, lodevoli ed apprezzabili, ma deve collocarsi nella prospettiva di un'azione di lotta e di trasformazione rivoluzionaria della società in una direzione profondamente e fermamente anticapitalista.
Lucio Garofalo
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