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sabato 27 novembre 2010

Riforma forense, tra una botta e l’altra i principi cardine hanno retto

E’ stata una guerra a suon di emendamenti e improvvisi “colpi di scena”, ma i principi fondanti del nuovo testo di riforma forense hanno retto. Per ogni punto messo a segno nell’approvazione del testo finale a favore delle richieste della categoria (Consiglio Nazionale Forense in primis), immediatamente seguiva l’emendamento che, quasi a “controbilanciare”, gelava l’entusiasmo dei vertici forensi. E’ stato così per il ripristino dei minimi tariffari (art.12) subito seguito dall’approvazione dell’emendamento dell’art. 17 che aveva eliminato l'incompatibilità tra l'iscrizione all'albo forense e il rapporto di lavoro subordinato di natura privata. Emendamento quest’ultimo poi cassato dopo la levata di scudi dei legali. Stesso discorso per l’art. 15 che fissa i requisiti per l'iscrizione nell'elenco dei difensori d'ufficio (essere avvocati specialisti in diritto penale). Un tira e molla che si è visto anche sui filtri all’accesso ad una professione super inflazionata: l’articolo 20 della riforma lega l’iscrizione all’albo alla continuità e all'effettività dell'esercizio professionale. Chi ha un reddito talmente basso da essere incompatibile con la professione e non presenzia in aula potrà essere cancellato dall’albo. Anche in questo caso, a “controbilanciare” non è stata accolta la richiesta di rendere più professionalizzante il tirocinio e più selettivo l'esame di Stato. Il tentativo di inserire nell'ordinamento una preselezione mirava a questo. Ma la norma è stata cancellata.
Allo stesso tempo però “sono passati” l’art. 3 che prevede tutta una serie di incompatibilità tra l’attività forense e le altre professioni ordinistiche (oltre a quelle del pubblico impiego) e l’emendamento all’art.19 della riforma che prevede la sospensione dell'esercizio professionale in caso di incarichi politici o istituzionali.
Sul piano qualitativo c’è poi la questione formazione-specializzazione. Se per la prima la formazione continua diventa obbligatoria per legge, per la seconda l’'articolo 8, introduce il titolo di avvocato-specialista. Sulle specializzazioni il Cnf ha anticipato anche la stessa riforma forense. Il 24 settembre scorso, il regolamento sulle specializzazioni definisce le modalità per acquisire il titolo di avvocato specialista: 200 ore complessive di studio e un esame (scritto e orale) per avere il “titolo” (di specialista) nel mercato. Per mantenerlo gli avvocati saranno tenuti a conseguire in 3 anni almeno 120 crediti formativi, di cui almeno 30 in ogni singolo anno.
Concludendo, tra mille difficoltà i principi cardine della riforma forense appena approvata, sono rimasti in piedi. Maggiore deontologia, alta formazione professionale unite a tariffe legali certe che non diano spazio alla contrattazione giustificavano da sole questa lunga battaglia. Non era solo una questione di decoro o prettamente economica. Il radicale make up per gli avvocati era diventata anche una questione di sopravvivenza. La “garanzia” della prestazione, rigore e più qualificazione non sono solo a uso e consumo dei diretti interessati. Semmai sono un “riconoscimento” verso chi fino a prova contraria, tra leggi e leggine, ha come bibbia un Codice e un malato da anni in coma: l’intero malconcio carrozzone della giustizia.



Daniele Memola

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