De Magistris - Il Lavoro è un Bene Comune. Oggi sciopera la Fiom. Sciopera a difesa dei lavoratori e delle lavoratrici, non solo dunque dei metalmeccanici e delle metalmeccaniche. Dall'esito della vicenda Fiat, infatti, non dipende esclusivamente il destino delle tute blu, ma quello di tutti i lavoratori italiani. Pomigliano e Mirafiori -- con i loro referendum ricatto, fondati sulla finta scelta se lavorare da schiavi oppure essere disoccupati- hanno significato l'avvio di una "nuova" epoca sul piano delle relazioni industriali e del sistema sociale, del lavoro e quindi della democrazia che su esso si fonda. Un'epoca tutt'altro che "nuova" poichè consiste, in verità, nella regressione all'Ottocento padronale, azzerando decenni di lotte rivoluzionarie compiute dal mondo del lavoro e dal sindacato per arrivare al riconoscimento dei diritti e della dignità del lavoratore. Alibi brandito: la concorrenza spietata di Cina, Polonia, Serbia e, naturalmente, la crisi economica. Come se rendendo schiavi anche i nostri lavoratori l'economia potesse riprendere a girare con qualche forma di respiro a lungo termine. Portatori insani di questa contro-rivoluzione dell'occupazione, che minaccia la stessa democrazia, sono stati la Confindustria, Marchionne (e il modello di imprenditoria che esso rappresenta), i sindacati che hanno smarrito se stessi e, ovviamente, il governo liberista e autoritario dei Sacconi, Tremonti, Brunetta etc. Il caso Fiat, il piano Fabbrica Italia, la crisi degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori hanno funzionato da grimaldello per arrivare a realizzare il piano "ottocentesco" confezionato da esecutivo e Confindustria. Questo piano prevede: la messa in discussione del Contratto nazionale, dello Statuto e dei diritti che essi garantiscono (sciopero, malattia, orario, democrazia interna), per rendere il lavoratore solo di fronte all'azienda, costretto a trattare il suo inquadramento professionale e i suoi diritti in modo singolo, cioè da una posizione di autonoma debolezza nei confronti del datore di impiego (si chiama contratto locale e aziendale). Muore così la contrattazione sindacale e il senso del sindacato stesso. In questo piano reazionario e autoritario, l'obiettivo è quello, tra gli altri, di emarginare il sindacato indipendente come riferimento della concertazione collettiva, imponendo quello tipico del modello bilaterale che gestisce assunzioni e formazioni, cessando di proteggere il salario, i diritti, la qualità del lavoro. La rappresentanza ridotta ad un ruolo burocratico di mera ratifica dei desiderata dell'impresa, senza conflitto, senza braccio di ferro, senza confronto. Tanto da arrivare, con i referendum dei due stabilimenti, all'esclusione di quel sindacato che non firma gli accordi, tanto da arrivare a tener fuori dai cancelli della Fiat la stessa Fiom, perché disconosce l'intesa e il referendum, bollandoli come non costituzionali e anti sindacali. Non si possono sottoscrivere accordi regressivi per i lavoratori, non si può chiedere a nessuno di rinunciare a diritti fondamentali, dunque indisponibili, come lo sciopero o la malattia (oggetto dell'intesa a perdere per le tute blu Fiat). Rispetto a questo golpe contro tutti i lavoratori (perché il modello sarà presto esteso), qualcuno ha scelto di non piegarsi. A Pomigliano e a Mirafiori, moltissimi dipendenti hanno detto no, mentre altri hanno acconsentito sotto scacco del ricatto, temendo di restare senza impiego. Tutti da rispettare e da comprendere, perché nessun essere umano a cuor leggero autocertifica la propria futura schiavitù. Soprattutto: tutti da difendere. Per questo oggi la Fiom convoca in piazza non solo i lavoratori Fiat, ma la società civile, le associazioni, i movimenti, i partiti politici del centrosinistra. Perché la sfida più grande, che riguarda l'intero tessuto sociale, è quella di proteggere la democrazia adesso minacciata dal governo e dalla Confindustria, perché la sfida più grande è proporre un altro modello di sviluppo sostenibile, in cui i lavoratori non siano sacrificati in cambio del lavoro costretti a rinunciare ai propri diritti. E' una battaglia di noi tutti.
Luigi de Magistris (28.01.11)
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