Una sentenza innovativa la n. 1126 resa in data odierna dalla Suprema Corte che di fatto rafforza il «diritto alla privacy» quella portata all'attenzione da Giovanni D'Agata, fondatore dello "Sportello dei Diritti".
"E' tenuto al risarcimento del danno per violazione della privacy chi diffonde il coming out dell'omosessuale".La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso principale di un uomo contro la decisione di merito che riduceva notevolmente l'entità del risarcimento del danno, patito dal ricorrente, in quanto vittima di un comportamento omofobo.
Nella fattispecie durante la rituale visita di leva, il ricorrente aveva dichiarato di essere omosessuale, coming out che gli costò la sospensione della patente. L'uomo decideva di citare in giudizio i Ministeri delle infrastrutture e della difesa che, a suo giudizio, avevano palesemente violato la privacy. In secondo grado, l'appello era accolto a metà e veniva ridotta l'entità del risarcimento del danno, da 100mila a 20mila euro. La Corte etnea sosteneva che l'illegittima diffusione dei dati sull'identità sessuale era rimasta circoscritta a un ambito assai ristretto. Tesi che non fa breccia presso "Ermellini".
La forza innovativa dell'importante sentenza sta nel fatto che per la prima volta i giudici di legittimità hanno evidenziato il comportamento delle due amministrazioni che ha «gravemente offeso e oltraggiato la personalità del ricorrente in uno dei suoi aspetti più sensibili e ha indotto nello stesso un grave sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato, percepito come vessatorio nell'esprimere e realizzare la sua personalità nel mondo esterno».
La Corte di legittimità ha d'altronde ascritto al novero dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.) quello che tutela la libera espressione della propria identità sessuale. Diritto, peraltro, oggetto di tutela anche da parte della stessa Cedu. Il tentativo di «edulcorare la gravità del fatto» da parte della Corte territoriale fa acqua da tutte le parti, in quanto il ricorrente, ad avviso della terza sezione civile, è stato «vittima di un vero e proprio comportamento di omofobia».
Quanto al danno, la sentenza impugnata è contraddittoria nella motivazione nella parte in cui «la riconduce alla sola conoscenza dei soggetti pubblici che, prima all'ospedale militare, poi alla commissione per la motorizzazione, si erano occupati del caso». Lo stesso procedimento civile instaurato e «la conseguente conoscenza e conoscibilità pubblica della vicenda smentisce tale assunto, senza che, in contrario, valga osservare che, a rendere pubblico il caso in maniera eclatante è stato l'attore, il che equivale a sostenere che l'eclatante pubblicità del caso si sarebbe evitata rinunciando all'esperimento dell'azione giudiziaria, così impedendone la diffusione, la rilevanza, l'eco delle cronache nazionali e internazionali che ne sono seguite». Per farla breve, la Corte di legittimità accoglie il ricorso principale, rigetta l'incidentale e cassa con rinvio la sentenza impugnata.
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