GLI ASILI NIDO NEI LUOGHI DI LAVORO? MEGLIO SE SONO INTERAZIENDALI MA CON UN’ALTA QUALITÀ DEL SERVIZIO
Un’opportunità pedagogica utile, innanzitutto, al bambino (prima che alla madre), e non un “parcheggio” dunque. Un servizio che deve garantire un’alta professionalità e qualità educativa, non esclusivamente riservato ai dipendenti di un’azienda ma “aperto” anche ai residenti e non soltanto uno strumento che permetta alle aziende di poter contare (come dimostrerebbero alcune ricerche in proposito) su una maggiore produttività, fidelizzazione e motivazione dei propri dipendenti. E’ attorno a questi aspetti, non univoci e talvolta controversi, che si sta sviluppando, anche in Trentino, il dibattito sugli asili nido aziendali, un dibattito al quale l’incontro di approfondimento promosso ieri dalla Consigliera di Parità presso il Palazzo della Provincia ha aggiunto, se non qualche certezza, almeno alcuni punti fermi.
Accanto alla neo Consigliera di parità, l’avvocato Eleonora Stenico, molte voci: quella della presidente della Commissione provinciale pari opportunità, l’avvocato Annelise Filz, della docente di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza Stefania Scarponi, della ricercatrice Barbara Poggio (Facoltà di Sociologia), di Paola Maccani presidente dei Comitati pari opportunità dell’Azienda sanitaria, di Mariangela Franch prorettore per le pari opportunità dell’Università di Trento e di Sandra Dodi presidente della Cooperativa “Città Futura”. Un confronto al quale non sono mancati però gli interventi di carattere politico, quelli degli assessori provinciali alle pari opportunità, alla cultura e all’istruzione e dell’assessore all’istruzione del Comune di Trento.
Gli asili nido aziendali non sono certo una novità in Italia. Già all’inizio del secolo, per rimanere nella nostra provincia, un asilo nido aziendale c’era alla Manifattura Tabacchi di Rovereto. Era presente, in quell’esperienza, un’impostazione rigida, quasi “ospedaliera”, che rispondeva alla necessità di garantire manodopera femminile altrimenti non disponibile in quanto distratta dalla cura dei figli. Molte cose sono cambiate, tanto che anche la legislazione italiana ha affrontato il problema. Il nostro paese rimane però ancora molto indietro: in Italia meno del 10 per cento dei bambini da 0 a 3 anni frequentano un asilo nido, a fronte di una media europea del 30-40 per cento con punte, è il caso della Danimarca, del 60 per cento. Paesi europei dove l’occupazione femminile è di gran lunga più diffusa che in Italia. In Trentino, su 15.458 bambini di età compresa tra 0 e 3 anni, solo 2.075 (dati riferiti al 2004) sono all’asilo nido, il 13,4 per cento.
Il ritardo non si avverte solo sul piano legislativo ma anche su quello culturale: solo da poco tempo il tema è affrontato dal mondo delle aziende e d’altra parte la stessa società non pare esprimere, in particolare nelle aree poco urbanizzate, una richiesta di asili nido tale da imporre la necessità di una risposta da parte dell’ente pubblico. La stessa fascia di età, dai 0 ai 3 anni – lo ha sottolineato la vicepresidente della Provincia autonoma – non è considerata come fascia per la quale è d’obbligo pensare ad un’offerta pedagogico-educativa sostenuta dal pubblico ma come una sorta di “lusso” e privilegio per chi se lo può permettere.
Il problema della sostenibilità economica pesa, soprattutto in un quadro di risorse in calo, ma non è l’unico termine di riferimento per affrontare un problema comunque divenuto pressante, quasi un’”emergenza” come è stato definito. Forse più presente è la giusta preoccupazione per la qualità del servizio, che taluni osservatori non vedono sufficientemente garantita. Dunque? Una soluzione, emersa dal confronto di ieri, è quella che guarda ad una sinergia tra pubblico e privato, vale a dire all’istituzione di nidi interaziendali, usufruibili sia dalle dipendenti delle aziende private sia da quelle che lavorano in un ente pubblico.
Gli stessi enti pubblici, i Comuni in particolare, sono sollecitati a stabilire accordi e convenzioni, in particolare nelle zone dove più alta è la presenza di aziende a prevalente occupazione femminile, ma è ovvio – lo ha detto l’assessore provinciale all’istruzione – che occorre mettere mano ad una legge che prenda in considerazione la fascia di età che va dai 0 ai 6 anni e che preveda un unico modello di servizio valido per tutto il territorio provinciale.
Dal punto di vista dell’occupazione femminile – sul quale la stessa Comunità europea ha fissato degli obiettivi precisi - non c’è dubbio che i nidi aziendali potrebbero rappresentare un aiuto, giacché è solo la possibilità di conciliare lavoro e famiglia che può favorire un maggiore accesso delle donne al mondo del lavoro. Questione – lo si è ribadito anche all’incontro di ieri – che non riguarda solo le donne ma tutta la società nel momento in cui la stessa competitività economica dei territori passa attraverso il tasso di occupazione femminile e la presenza di servizi a sostegno della famiglia.
“Ciò che serve – ha affermato l’assessore provinciale alle pari opportunità – è un’azione coordinata tra soggetti pubblici e privati, creare servizi pubblici più efficienti e più numerosi, politiche dei tempi nelle città, tempo flessibile nelle aziende, utilizzo di strumenti quali i congedi parentali, sostegni economici alle famiglie. Tema complesso e delicato, quello degli asili nido aziendali: lo riconoscono tutti, e nessuno – lo si è visto anche al dibattito di ieri pomeriggio – ha la “ricetta” giusta. E’ comunque possibile – come ha affermato Stefania Scarponi – trovare un equilibrio, posto che la tutela del bambino e quella del diritto delle donne al lavoro non sono in contrapposizione. Ciò che occorre – ha aggiunto – è una pluralità di risposte, che tenga tra l’altro conto anche delle donne lavoratrici autonome.
Contro gli asili nido aziendali pesano le perplessità di chi teme il ritorno ad una logica di tutela aziendale, di una riduzione nella concessione di congedi parentali, ferie e permessi, dell’uso “parcheggio”, del venir meno del collegamento socializzante tra il nido e il territorio, di una non sufficiente qualità e professionalità nel servizio, di una riduzione nella possibilità di scelta pedagogica in capo ai genitori.
A favore, invece, giocano per le aziende il minor numero di abbandoni professionali da parte delle donne al momento della maternità, una maggiore produttività e qualità del lavoro prestato, una maggiore motivazione delle dipendenti e, per quanto riguarda le donne lavoratrici, oltre ad una maggiore possibilità di poter continuare a lavorare e di ottenere avanzamenti in carriera, i minori costi dovuti all’accompagnamento del bambino, essendo unica la sede di lavoro della madre e dell’asilo nido per il figlio, con una conseguente e statisticamente significativa favorevole incidenza, tra l’altro, nella riduzione del numero degli incidenti stradali mattutini. (c.z.)
Carmine Granato
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