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giovedì 20 aprile 2006
Con Konica Minolta finalmente risolto il puzzle d' Egitto lungo 4000 anni!!!
Sui contrafforti del Gilf Kebir, nel deserto Libico, il piú arido di tutti i deserti, situato a cavallo della frontiera egiziano-libica, i segreti persi nel tempo e sotto la sabbia hanno affascinato gli scienziati fin dalla fine del XIX° secolo. L'origine sconosciuta dei frammenti vetrosi dispersi nel Gran Mare di Sabbia, la ricerca dell'oasi perduta di Zerzura, la scoperta di grossi depositi di anfore di Abu Ballas sono alcuni degli enigmi che hanno affascinato esploratori di ogni epoca come il principe egiziano Kemal el Dine negli anni '20, l'esploratore inglese Patrick Clayton negli anni '30, il maggiore inglese Ralph Bagnold e il conte ungherese Laszlo von Almasy negli anni '40 e Theodore Monod negli anni '90. Nel 1905, Ernesto Schiaparelli, allora direttore del Museo Egizio di Torino, nel corso di scavi archeologici, scoprì tre tombe che risalgono alla dodicesima dinastia dei Faraoni. Si parla del 1800 avanti Cristo.Schiaparelli recuperò circa 500 frammenti, del diametro variabile da 1 metro a pochi centimetri. Essi appartenevano alle pareti e ai soffitti di sepolcri edificati per personaggi facoltosi, una sorta di governatori locali. Pertanto si poteva immaginare che quelle tombe in origine fossero alquanto sontuose. Per esperti e studiosi la sfida era riuscire a comporre il ‘puzzle’ dei reperti, per arrivare a ricostruire gli ambienti come apparivano 4.000 anni fa! Il problema però era che le pareti non erano illustrate con disegni di personaggi, scenari o figure, soggetti insomma che sarebbe stato facile ricomporre seguendone tratti e contorni. Erano invece abbelliti con motivi geometrici e floreali, come i tappeti intrecciati che nell’antico Egitto arredavano le case più ricche.Sulle pareti in calcare delle stanze mortuarie, ricostruire da 500 frammenti un reticolo variegato di colori e figure astratte nel 1905 era pressoché impossibile.
Oggi a svelare i segreti delle antiche tombe egizie di Gilf El Kebir sono le tecnologie Konica Minolta per la misurazione del colore che trasformano il colore in numeri permettendo di confrontarli, analizzarne le relazioni, catalogarli. Il progetto è stato promosso dalla Soprintendenza al Museo delle Antichità egizie di Torino.“Grazie alla tecnologia Konica Minolta – spiega Luigi Vigna, restauratore e attuale direttore del Laboratorio di Restauro del Museo Egizio di Torino – si abbinano i vari pezzi, in base a valori e dati omogenei, con un metodo scientifico. Per ora siamo riusciti a ricostruire sulla carta 15 modelli ornamentali, alcuni in rilievo e altri dipinti con le tempere ricavate da vegetali e minerali che si utilizzavano nell’antico Egitto. L’obiettivo è naturalmente quello di realizzare prima virtualmente poi materialmente le pareti e i dipinti delle antiche tombe egizie, perché nelle sale del Museo torinese sia possibile ammirarle nel loro antico splendore, come nel deserto di Gilf El Kebir quattromila anni fa.”.Il lavoro di catalogazione è durato diversi mesi. Si è utilizzato uno spettrofotometro portatile di Konica Minolta (modello CM-2600), vale a dire uno strumento, che si impugna come un joystick, in grado di riconoscere e rilevare i colori secondo ogni minima sfumatura e pigmento e di trasformarli in valori numerici, in pratica in dati catalogabili, confrontabili e abbinabili al computer.“Lo spettrofotometro portatile di Konica Minolta impiegato dal Laboratorio di Restauro del Museo Egizio di Torino è dotato di 2 aree di lettura dei reperti, - spiega Renato Figini, Instrument Systems Manager di Konica Minolta Business Solutions Italia - vale a dire 2 possibili diametri di rilevamento degli oggetti analizzati: per superfici di 1 centimetro di diametro, e per superfici fino a 3 millimetri di diametro, per cui è possibile analizzare anche frammenti e reperti addirittura microscopici. Attraverso l’analisi e la ‘lettura’ dei colori di ogni singolo pezzo se ne definiscono le coordinate cromatiche, per raggruppare i frammenti e le decorazioni in maniera omogenea e ricavarne la mappatura e la ricostruzione secondo il modello originario”. “Ottenendo dalle rilevazioni con lo spettrofotometro dei dati colorimetrici e tri-cromatici, e quindi ottenendo in pratica dei valori numerici riferiti ai colori per ogni frammento” sottolinea Vigna, “abbiamo avuto finalmente la possibilità di accostare i vari frammenti tra loro senza possibilità di errore. Tutti i frammenti sono anche stati scannerizzati, in dimensione reale, e tarati cromaticamente, per cui i dati ottenuti dallo strumento di Konica Minolta e i dati dello scanner si integrano e completano tra loro, andando a ricomporre l’enorme puzzle rimasto per tanto tempo senza soluzione”.L’utilizzo di queste tecnologie “può essere prezioso e fondamentale anche per tanti altre applicazioni analoghe di ricostruzione, classificazione o datazione dei reperti archeologici in base all’analisi dei colori” sottolinea Vigna, “e impiegando questi sofisticati apparecchi è oggi possibile trovare soluzioni e risolvere antichi misteri utilizzando metodi scientifici e dati oggettivi. Questi strumenti permettono anche di analizzare il tipo di coloranti e pigmenti di origine naturale, derivati da piante e minerali, che venivano utilizzati nell’antichità per disegni e decorazioni. Per cui è possibile effettuare lo studio sui coloranti utilizzati in un certo periodo storico o in una certa area geografica, anche per una loro datazione e collocazione temporale, o anche per scoprire e verificare se ci sono stati interventi di restauro successivi”. Il tutto attraverso il lavoro di archeologi, esperti e restauratori sempre più tecnologici.
Informazioni Media Areté ComunicazioneTel 02 4813854 - Cell 349 4330142info@aretecomunicazione.it
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