La popolazione invecchia con la percentuale degli ultranovantenni che cresce anno dopo anno, ma le indagini statistiche sugli effetti della maggior presenza di super anziani, sulla qualità della vita e sulla salute fisica e mentale a quell'età sono solo all'inizio.
Un recente studio di Allianz S.p.A. ha focalizzato l'attenzione su un fenomeno che purtroppo è stato per troppo tempo trascurato dagli statistici di mezzo mondo: quello dell'ultrainvecchiamento della popolazione, specie dei paese sviluppati.
Non si parla, nel caso di specie della normale tendenza storica di un progressivo ma lentissimo processo di allungamento della vita media della popolazione mondiale, ma di una tendenza relativamente recente: quella della normale presenza di ultranovantenni e centenari nel Nostro Paese e nel resto dei paesi più avanzati, che si è avviata a partire dalla seconda metà del novecento e che sta aumentando notevolmente a partire dall'inizio di questo secolo.
Secondo la ricerca del gruppo assicurativo, che si basa sulle previsioni demografiche dell'ONU, già da qui al 2050 le persone con oltre 90 anni d'età saranno, infatti, destinate a crescere di ben sei volte, con una presenza di supernonni pari a più di 71 milioni e circa 3,2 milioni che avranno già spento la centesima candelina. Peraltro, i demografi non hanno dubbi sul fatto che la barriera dei 110 anni sarà sorpassata da un numero così elevato di persone che non potrà più essere considerata eccezionale.
Le aree del mondo dove si concentrerà il maggior numero di ultracentenari saranno Europa e in Asia, mentre la Svizzera e il Giappone restano e resteranno i leader della classifica mondiale degli stati con la più elevata aspettativa di vita alla nascita.
Come sottolineato dalla stessa indagine e come Giovanni D'Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti", intende ribadire, nonostante questi dati previsionali, a tutt'oggi gli studi sulla qualità della vita e sulla salute fisica e mentale a quelle età sono pressoché all'anno "zero" anche in considerazione del fatto che sino a pochi decenni or sono le persone che superavano l'asticella dei 90 anni erano relativamente poche, con la conseguenza che sono scarsi i rilievi sul tema, a cui si unisce un altro dato non irrilevante relativo all'inaffidabilità dei registri anagrafici precedenti alla seconda guerra mondiale.
Un altro aspetto, che riteniamo venga sottovalutato dagli economisti anche in virtù dei problemi già sottolineati, è relativo alla carenza di previsioni sugli effetti che il superinvecchiamento avrà sulle nostre economie e sul welfare dei singoli stati, poiché ad un progressivo invecchiamento corrispondono inevitabilmente diverse esigenze e bisogni per la cittadinanza.
Non resta che spronare economisti e statistici a farci conoscere cosa ci accadrà per prevenire i rischi di sgretolamento dello stato sociale.
Lecce, 3 agosto 2011
Giovanni D'AGATA
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