Che colore ha la reputazione? Noi del “Comunicatore italiano” abbiamo – con la web reputation – affrontato il tema di come la buona immagine di un’azienda, così come dei suoi prodotti, sia oggi nelle mani di quel mercato delle parole e degli scambi che si chiama Rete. E spostato l’attenzione su questo nuovo auditel fatto di gente, in movimento e mutamento, lontana dal caminetto televisivo di “Lascia o raddoppia” che aveva dominato per 60 anni la scena della misura del gradimento tv.
Scopriamo ora, in questi giorni difficili, che è rosso il colore della reputazione. Perché la reputazione ferita, la vergogna sociale e il sentimento di abbandono e di protesta che un numero crescente di piccoli imprenditori, commercianti e artigiani, prossimi a fallire, non sembra riuscire ad affrontare e superare ha lo stesso colore rosso dei conti. Per difendere la loro reputazione, di fronte alla famiglia, alla comunità e al mondo che avevano sfidato con il coraggio e l’innovazione, ma soprattutto per testimoniare con una protesta silenziosa il fallimento di una ricchezza che non riescono più a distribuire, un numero crescente di imprenditori, artigiani e commercianti, si è tolta la vita, in questi ultimi giorni in Italia. Prima del disonore della rete veniva e viene, per loro, il disonore di una vita quotidiana che hanno cercato di cambiare assieme al loro destino. All’origine del loro gesto – che Emile Durkheim avrebbe definito egoistico – anche la stretta alla gola del fisco, in moltissimi casi. In questa Italia dai servizi pubblici così raramente efficienti, e così distanti, nel costo e nella prestazione, da Regione a Regione, in questa stessa Italia il cui welfare pesa sulle spalle degli onesti che pagano le tasse, la sfera pubblica può permettersi di non pagare i propri debiti ma di essere inflessibile nei confronti di coloro che hanno scelto la strada della trasparenza e dell’onestà.
Ed è un esito particolarmente curioso, oltre che naturalmente tragico, quello di un’Italia che sembrerebbe aver girato da tempo la boa delle filosofie politiche autoritarie (quando non totalitarie), ma nonostante questo ancora coltiva questa vistosa asimmetria tra cittadini e Stato. Per arrivare al punto: la sfera pubblica può permettersi in Italia di non pagare i cittadini creditori, ma è capace di stringerli in un angolo quasi con un coltello alla gola non appena non siano in grado di pagare i loro debiti con il fisco.
Una nazione che nonostante tutto ancora non coltiva il culto religioso, prima che liberale, della reciprocità e che continua a trattare il cittadino e l’individuo come un suddito, a considerare lo Stato come depositario dell’etica e della virtù: questa nazione non si è ancora liberata dell’idea di un monopolio etico dello Stato che fascismo e comunismo hanno imposto alle nostre coscienze. La nostra nave naviga quindi ancora nelle acque più scure del ventesimo secolo.
Una buona comunicazione pubblica non può non preoccuparsi di tutto questo. Deve guardare alla coesione sociale come a un bene comune, tanto più prezioso quanto più difficile si fa questo percorso italiano. Da qui, anche a costo di arretrare a quell’idea ammaestrante che volentieri si attribuiva ai media nel secolo scorso, l’idea che il Comunicatore Italiano intende ora proporre, per non chiudere la porta alla speranza: di salutare con particolare favore e fervore quella comunicazione votata a segnalare e valorizzare i buoni esempi virtuosi di un’imprenditoria italiana, di un’Italia che ce la fa. Che il “Corriere ” di Di Vico ad esempio non si stanca di raccontare in questi giorni difficili (assieme ad una costante opera di pedagogia del presente e del futuro tesa a farci uscire dalla morsa di un’archeologia delle relazioni industriali e della rappresentazione del lavoro ancora ferma a proletari e capitalisti). E che noi riproponiamo raccogliendo anche l’esperienza di Winning Italy, la medicina per un’autostima nazionale di fronte alla crisi, che il Ministero degli Esteri ha proposto a partire dal 2010.
E però non possiamo tacere del corteo delle vedove, ognuna con una bandiera bianca (perché l’appartenenza non sia di alcuno), le vedove degli imprenditori morti suicidi (70 dall’inizio del 2012) che, questo venerdì 4 maggio, hanno deciso di manifestare il loro dolore a Bologna. A guidarle Tiziana Marrone, la vedova di Giuseppe Campaniello, il piccolo imprenditore edile di Ozzano Emilia che lo scorso 28 marzo si è dato fuoco davanti all’ingresso dell’Agenzia delle Entrate. Non siamo soli, a ricordarlo. Con noi Radio 24 e parte dell’associazionismo di imprenditori e artigiani (CNA in particolare, con una coraggiosa campagna di comunicazione) e tanta opinione pubblica della rete e nella rete. Tra i sacrifici che abbiamo scelto di fare, perché l’Italia rinasca, non c’é posto per quello della vita.
FONTE: Il Comunicatore Italiano
Nessun commento:
Posta un commento