Sicurezza stradale: colpi di sonno alla guida. Ne soffrono 1,6 milioni di italiani e bere un caffè non serve a nulla. Addormentarsi al volante è la prima causa di incidenti stradali in Italia e la tazzina di caffé non basta. L'unica soluzione quando si avvertono i sintomi è fare un sonnellino di almeno 30 minuti. Cassazione, il "colpo di sonno" consente la sosta sulla corsia d'emergenza.
Quante volte ci siamo messi alla guida stanchi, credendo che una sgranchita di gambe, una tazzina di caffè, l'autoradio accesa al massimo ed il finestrino aperto potessero essere la soluzione per non subire il classico "colpo di sonno"? Quanti hanno creduto che quelli descritti fossero efficaci rimedi e poi hanno rischiato di lasciarci le penne o le hanno lasciate perché credevano di poter vincere la sonnolenza ed affrontare la guida?
In effetti come sottolinea Giovanni D'Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti", l'unica soluzione per ridurre i rischi del "colpo di sonno" è una vera e propria pennichella di almeno 30 minuti a detta degli esperti in materia che hanno rilevato anche la stretta correlazione tra obesità e rischio d'incidenti stradali.
Si pensi, infatti, che la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (Osas) strettamente connessa con il soprappeso e patologie collegate, risulterebbe essere la prima causa medica di incidenti stradali, dato che ha come sintomo caratteristico la sonnolenza, causa o concausa di circa il 20% degli incidenti che avvengono sulle nostre strade.
Secondo i dati rilevati dagli esperti sarebbero impressionanti le cifre non solo dei soggetti affetti da tale patologia che secondo stime riguarderebbe 1.600.000 di nostri connazionali, ma soprattutto dei costi sociali socio-sanitari da incidenti stradali attribuiti a soggetti con Osas sarebbero pari a 828.014.400 di euro annui.
Sfatati i falsi miti sui rimedi, è la giurisprudenza che ci viene incontro con una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 19170 del 18 maggio, che ha inquadrato la stanchezza, riferibile nel caso di specie a quella situazione che precede il pericoloso "colpo di sonno", nel concetto di "malessere" che giustifica la sosta sulla corsia di emergenza ai sensi dell'articolo 157 Codice della strada, comma 1, lett. d).
In particolare, gli ermellini hanno rilevato che nella fattispecie non si doveva procedere per omicidio colposo perché "il fatto non sussiste", nei confronti di un automobilista che a causa della stanchezza si era accostato in autostrada nella piazzola di sosta, divenendo così l'ostacolo contro cui era andata a sbattere un'autovettura in seguito all'esplosione di un pneumatico.
Secondo i giudici del Palazzaccio, infatti, "il termine malessere non può esaurirsi nella nozione di infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall'articolo 88 del Codice penale, o nell'ipotesi di caso fortuito di cui all'articolo 45 Codice penale, bensì nel lato concetto di disagio e finanche di incoercibile esigenza fisica anche transitoria che non consente di proseguire la guida con il dovuto livello di attenzione, e quindi in esso deve necessariamente ricomprendersi la stanchezza e il torpore che sono premonitori di un colpo di sonno ed impongono al soggetto di interrompere la guida".
Per tali ragioni, nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto come unica causa diretta del grave sinistro lo scoppio dello pneumatico per cattiva manutenzione o carico eccessivo.
D'altro canto, evidenzia il giudice di legittimità, "manca del tutto la cd "concretizzazione del rischio" in relazione a quelle che sono le finalità della corsia di emergenza posto che la stessa non ha la funzione di garantire l'incolumità di quanti possano sbandare ed invaderla, bensì quella di consentire a mezzi di Polizia e/o di soccorso di raggiungere al più presto, senza intralcio, il luogo dove è necessario portarsi per emergenza determinata da incidente o da altra grave necessità".
Lecce, 28 maggio 2012
Giovanni D'AGATA
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