di Giuseppe Donvito, Partner di P101
9 dicembre 2015
“La Silicon Valley sta arrivando”
– è l’avvertimento del CEO di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, nella sua
lettera annuale agli azionisti, che ha evidenziato il crescente numero
di start-up che lavorano su varie alternative al sistema bancario
tradizionale. Con questa affermazione, Dimon si riferiva in particolare
al business dei finanziamenti,
ormai proposti in maniera efficace oltre che da istituzioni bancarie
anche da singole persone grazie alla disponibilità di modelli di
valutazione del rischio basati sull’utilizzo dei Big Data.
L’amministratore delegato di Barclays, Antony Jenkins, ha invece recentemente affermato che una serie di rivoluzioni in stile Uber, nel ramo finanziario, potrebbero ridurre l’organico delle grandi banche tradizionali ben del 50%, mentre la redditività in alcune aree del settore potrebbe crollare addirittura di oltre il 60%.
Il movimento in cui tutto questo rientra? La financial technology, meglio conosciuta con l’abbreviazione FinTech.
Partito da Londra qualche anno fa, quando si parla di FinTech ci
si riferisce all’utilizzo della tecnologia, e di modelli di business
innovativi, nel settore dei servizi finanziari: un aspetto della digital disruption che sta creando nuove modalità di offerta di servizi finanziari e che include pagamenti, valute virtuali, gestioni patrimoniali, transazioni peer-to-peer (o P2P), prestiti e crowdfunding.
Nel mondo anglosassone una vera e propria rivoluzione finanziaria che, grazie a una serie di dinamiche start-up, sta mettendo in discussione il potere, finora incontrastato, delle grandi banche. Secondo una stima di Goldman Sachs,
gli effetti di questa rivoluzione saranno importanti: le società di
servizi finanziari rischiano infatti di perdere 4,7 miliardi di dollari
in entrata a favore dei nuovi operatori FinTech.
Tra i casi più noti Lending Club (la più grande IPO tecnologica del 2014), Funding Circle (servizi di prestito), Square (pagamenti online), Nutmeg (gestione patrimoniale), e TransferWise (pagamenti
internazionali). Senza citare “l’antesignana” PayPal che, quotata (dopo
la separazione da EBay) al Nasdaq lo scorso luglio 2015, ha raggiunto
una capitalizzazione di circa 50 miliardi di dollari.
Secondo la private bank svizzera Pictet, negli ultimi anni gli investimenti globali in iniziative di FinTech sono triplicati:
dai 4 miliardi di dollari del 2013 fino a raggiungere i 12.2 miliardi
nel 2014 (+201% contro la crescita media degli altri investimenti a
livello globale +63%). La maggior parte di questi investimenti riguarda
gli Stati Uniti, anche se è stata l’Europa la regione che a livello
globale ha fatto registrare la crescita più consistente di investimenti
(+215%) nel 2014.
Merito di questa rapida crescita il polo
finanziario-tecnologico tra UK e Irlanda: i due Paesi concentrano il 42%
degli investimenti europei del settore, anche se crescono meno (+136%)
dell’intero continente. E anche il Bel Paese può contare sul suo fiore
all’occhiello in ambito di FinTech con la start-up italiana MoneyFarm, che ha recentemente ricevuto l’investimento record di 16 milioni di Euro.
E’ innegabile che la rivoluzione innescata dalle nuove realtà operanti nel FinTech ha
impresso un’accelerata all’innovazione e, in qualche modo alla
democratizzazione, dei servizi finanziari per intercettare e rispondere
alle esigenze delle nuove generazioni, alla ricerca di soluzioni
digitali, immediate e low-cost anche in questo comparto. Quella dei
servizi finanziari nasce infatti come una dei settori con il maggior
numero di intermediari. E questo è esattamente ciò che sta per cambiare.
Come indicato in un recente articolo del Wall Street Journal
le modalità di pagamento e di investimento a noi familiari finora,
lasceranno il posto a qualcosa di molto diverso e ci troveremo di fronte
a una sorta di “Uberizzazione” della finanza, ossia l’utilizzo dei big data per rendere le connessioni dirette tra le parti più semplici e veloci.
Come in altri settori “digitally disrupted“, una delle ragioni per una crescita così rapida del FinTech è la drastica riduzione degli investimenti necessari a sviluppare un nuovo servizio. Diffusione di cloud computing
e di APIs (Application Programming Interface) consentono
rispettivamente di ridurre i costi infrastrutturali e di integrazione
con altri prodotti e servizi. Un esempio su tutti?
Il robo-advisory,
ossia la gestione dei risparmi automatizzata attraverso algoritmi che
rappresenta una delle applicazioni più promettenti e una evoluzione.
Anziché rivolgersi a un consulente in carne e ossa, i clienti rispondono
ad una serie di domande online: quanto vogliono investire, per quanto
tempo, con che obiettivo e che livello di rischio.
Altro campo sempre più esplorato – nel vasto e variegato settore del FinTech – è quello dei servizi di prestito P2P: ovvero la pratica di prestare denaro a persone o imprese direttamente online attraverso le piattaforme digitali. Velocità e semplicità sono
i benefici dei prestiti peer-to-peer. Questi servizi permettono di
sorpassare tutta una serie di procedure che sono inevitabili se si
utilizzano i tradizionali canali bancari.
Un sistema rivoluzionario per le piccole e medie imprese che, come anche un recente documento del World Economic Forum
osserva, rappresentano uno dei principali motori dell’economia mondiale
poiché rappresentano oltre la metà del prodotto interno lordo globale e
impiegano quasi i due terzi della forza lavoro del pianeta. La
tipologia di prestiti Peer to Business (P2B)
al contrario dei sistemi bancari tradizionali consente un veloce ed
efficace accesso al credito specialmente per le finora più penalizzate
piccole e piccolissime imprese.
L’effetto potenziale del FinTech come “catalizzatore per la crescita” è tangibile. E in questo scenario rivoluzionario, le banche possono ancora giocare un ruolo attivo.
Il mantenimento della leadership dei grandi player passa però
necessariamente attraverso la consapevolezza che questo può avvenire
solo attraverso la capacità di cogliere e fare propria questa
innovazione: sviluppandola internamente o attraverso l’acquisizione strategica di nuove aziende FinTech.
NewsFromThePlatform | Il Blog di P101
NewsFromThePlatform nasce
per raccontare e commentare – attraverso la visione di P101, quella
degli imprenditori delle sue partecipate, dei suoi investitori e di chi
fa parte del suo ecosistema – esempi quotidiani della rivoluzione in
atto, la digital disruption: un fenomeno in pieno corso, che vede
le nuove tecnologie cambiare schemi e modelli, in tutti i settori, in
maniera radicale e ad una grande velocità.
Come operatori del mondo
italiano del Venture Capital, il mestiere di P101 è quello di studiare, analizzare e cavalcare questa rivoluzione:
intercettandone anche i segnali deboli e mettendo a servizio delle
giovani imprese risorse ed expertise per crescere e competere sul
mercato, e a disposizione dell’impresa consolidata, una continua fucina
di innovazione. Con NewsFromThePlatform, P101 proverà a raccontare in modo semplice, fattuale e concreto che la giovane azienda di oggi può essere il prossimo concorrente o un prezioso alleato di domani. Per saperne di più clicca qui.
P101 - Insightful Venture Capital
P101
è un fondo di venture capital specializzato in investimenti in
società digital e technology driven. Nato nel 2013, con una dotazione
corrente di oltre 40 milioni di euro e 18 società in portafoglio, P101
si distingue per la capacità di mettere a disposizione degli
imprenditori di nuova generazione, oltre a risorse economiche, anche
competenze e servizi necessari a dare impulso alla crescita delle
aziende.
Il fondo, promosso da Andrea Di Camillo - 15 anni di esperienza
nel venture capital e tra i fondatori di Banzai e Vitaminic - e
partecipato da Azimut, Fondo Italiano di Investimento e numerosi
investitori privati, collabora con i maggiori acceleratori privati, tra
cui HFarm, Nana Bianca, Boox e Club Italia Investimenti.
Tra le
partecipate: ContactLab, Cortilia, Tannico, Musement e MusixMatch. Le
società partecipate da P101 occupano oggi complessivamente oltre 350
risorse e generano un fatturato in costante crescita e già oggi
superiore ai 40M annui. P101 prende il nome dal primo personal computer
prodotto da Olivetti, negli anni ’60, esempio di innovazione italiana
che ha lasciato il segno nella storia della tecnologia digitale.
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