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martedì 18 settembre 2007

Domanda di mario vespasiani: risponde roberto gervaso



Domanda di MARIO VESPASIANI
Risponde ROBERTO GERVASO

Il Messaggero, Martedi 18 settembre 20007





Caro Signor Gervaso,
conservo una decina delle sue risposte, ben ritagliate e piegate,
da rileggere e magari utilizzare a mio vantaggio in futuro.
Tornando al motivo di questa lettera, mi sembra che lei non si sia mai occupato d'arte, almeno quella contemporanea, proprio quella che i più apostrofano con le banali "la potevo fare anch'io" oppure "io l'arte non la capisco", ma che ci aiuta a comprendere il nostro tempo, con tutti i mezzi espressivi possibili.
Io dipingo (quadri ovviamente) e lavorando con le immagini parlo poco anzi meno parlo e meglio è, ma vorrei un suo parere in merito:
il mio è un appello contro il cattivo gusto che spopola, anche nell'arte per carità, ma soprattutto nel parlare e nel vestire, che arriva al non sapere più abbinare i cibi, fino all'edilizia scriteriata che non rispetta paesaggi e ambiente.
A questo punto bisognerebbe rivolgersi agli artisti, gente di grande sensibilità e con grandi idee, ma i migliori sono con le valigie in mano (e non per le vacanze) e le poche ma buone gallerie che rimangono, cioè coloro che dovrebbero produrre e valorizzare il lavoro dei nuovi creativi, sparse un pò su tutto lo stivale, lottano con le unghie soffocate da un sistema inesistente.
Siccome ritengo che il bello sia un'esigenza primaria, vorrei farle notare nel caso fosse troppo preso dalla sua confortevole residenza di campagna, che nella nostra società non è la violenza o l'arroganza a prevalere ma il cattivo gusto.
Questa per me è un'urgenza, prima che al brutto ci si faccia l'abitudine.

Mario Vespasiani



CATTIVO GUSTO di Roberto Gervaso

Caro Vespasiani, non vorrei darle un dispiacere, ma al brutto siamo già assuefatti. Magari non lei, io e pochi altri, ma la massa, come oggi si chiama, ci ha fatto il callo, l'occhio, l'orecchio, e anche il naso. Io, forse, sbagliando, e spero di sbagliare, credo che la partita sia chiusa, che non ci sia più niente da fare. Com'è ridotto il nostro Paese lo vediamo ogni giorno. Qualcuno obietterà che il resto del mondo, almeno di quello industrializzato, il più avanzato, non offre uno spettacolo migliore. Forse è anche vero, ma mal comune non è mezzo gaudio. Condiviso o no, il male è male.
I tempi cambiano e nessuno può arrestarne, o anche solo procrastinarne, il mutamento. Ma qualche volta cambiano nel modo peggiore e a noi, impotenti, non resta che adeguarci. Alla fine, tutto si arrangia, ma dobbiamo prendere atto della metamorfosi.
La domanda da farsi, e che spesso mi faccio è: perché tutto questo? La risposta è troppo facile per essere facile. La società è fatta di uomini con i loro istinti, le loro passioni, le loro abitudini, le loro paure, le loro speranze, le loro ambizioni. Ognuno ha un compito da assolvere, una piccola, o grande, parte da recitare nella complessa e imprevedibile commedia della vita, il cui scontato esito la volge in tragedia.
La trama non ci è dato di conoscerla in anticipo. E' chiara solo a chi l'ha scritta, ammesso che qualcuno l'abbia scritta e non sia uscita dalla volubile penna del Caso. A concimarla sono i valori che ne determinano il corso. Se questi sono valori forti, la società è forte, ma, se sono deboli, la società è debole. E una società debole è una società in balia di tutto e di tutti. I valori sono puntelli, sono il nutrimento e il mastice della coscienza civile, puntelli dei costumi, linee guida del comportamento. Se vengono meno, o se si appannano, la società entra in crisi. E quando la società entra in crisi, lo stile s'involgarisce e il gusto decade.
Io credo che l'Occidente, e l'Italia che ne fa parte, anche se talvolta sembra un Paese del Terzo, o del Quarto, mondo, passi un brutto momento. Un momento, come dicono i sociologi, da prendere sempre con le molle, di transizione. Negli ultimi vent'anni, diciamo dalla caduta del Muro di Berlino in Occidente, e del crollo del mito maoista in Cina, la Nazione economicamente e industrialmente oggi più agguerrita e aggressiva, il pianeta ha assistito a una svolta epocale. Non sarebbe successo quello che è successo, e in tempi così rapidi e concitati, se la tecnologia non avesse compiuto la rivoluzione più rivoluzionaria della storia. Il computer, Internet, hanno globalizzato il mondo e ciò ha provocato uno sconquasso mai visto o immaginato. Ci siamo trovati di fronte a una metamorfosi prodigiosa e inquietante e questo ci ha disorientato. Siamo ancora sotto choc e non so se, e quando, lo supereremo. Nelle stordimento generale, invece di arginare lo sconcerto e riflettere su quel che stava accadendo, cercare di capirlo, ridare ordine a quello che ci appariva, e ci appare, come un accattivante e, al tempo stesso, protervo disordine, abbiamo perso la testa. Ma quando si perde la testa, si perde il senso della misura e i freni inibitori vengono meno. Ci si abbandona alla corrente che può riportarci alla riva, in salvo, ma può anche consegnarci ai flutti che inghiottiranno i più deboli e indifesi. Per fortuna, la storia ha i suoi corsi e ricorsi. Alla fine, la società ritrova l'equilibrio e i valori, che ne regolano la condotta, riconducendola nell'alveo della decenza e del decoro. Non mi chieda quando questo avverrà perché non lo so. Quanto all'arroganza e alla violenza, sono espressione del cattivo gusto. La peggiore e la più esecrabile.

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