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lunedì 25 giugno 2007

Energia pulita: "un mercato da 2000 miliardi"

L'energia pulita diventa business "Sarà un mercato da 2000 miliardi"

Dal solare all'eolico, tutte le opportunità: una crescita da record nei prossimi anni
Lo sviluppo delle tecnologia ambientale come una nuova rivoluzione industriale

Pronti maxi investimenti. Germania in prima fila, Italia a zero
di MAURIZIO RICCI


 L'energia pulita diventa business Provate a mettere in fila questi dati. Uno, più di un quarto dell'anidride carbonica, il gas serra che rischia di cuocere il pianeta, viene dalla produzione di elettricità. Due, oltre metà delle centrali elettriche attualmente in funzione nel mondo ha più di vent'anni. Bisogna rimpiazzarle e costruirne di nuove, visto che si prevede che la domanda globale di elettricità aumenterà del 50 per cento da qui al 2030.

Infatti, l'Aie, l'agenzia per l'energia dell'Ocse, l'organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati, prevede che bisognerà investire, nello stesso periodo, 7.500 miliardi di euro per costruire queste centrali. Tre, un quadrato di pannelli solari di 250 chilometri di lato, piazzato nel Sahara, sarebbe in grado di fornire, dicono gli esperti, tutta l'elettricità di cui il mondo ha bisogno. Altri esperti dicono che il vento può dare un decimo dell'energia mondiale. Insomma, c'è una montagna di quattrini da investire presto nella produzione di elettricità, ma le nuove centrali potranno essere sempre meno quelle tradizionali - a gas o a carbone - e sempre più quelle alternative, perché bisogna ridurre le emissioni di anidride carbonica.

C'è già chi ha messo in fila questi dati ed è giunto alla conclusione che l'effetto serra è una gigantesca iattura, ma, proprio per questo, anche una straordinaria opportunità. Il risultato è importante.

Perché chi teme che gli appelli degli scienziati e il volatile effetto panico che destano nell'opinione pubblica non siano sufficienti ad evitare che la "rivoluzione verde", anti-Co2, sia solo una moda passeggera, può rasserenarsi. C'è al lavoro un meccanismo assai più solido, ripetutamente testato nei secoli: un numero sempre più ampio di persone si sono accorte che, nella "rivoluzione verde", c'è da fare un bel po' di soldi. Quanti? Nessuno, per ora, si aspetta che, ad esempio di quei 7.500 miliardi di euro di nuove centrali, più di un rivolo vada a fonti come il sole e il vento. Ma, quando la torta è molto grossa, anche le briciole sono cospicue.

Il ministero dell'Ambiente tedesco ha recentemente calcolato che il mercato globale delle tecnologie ambientali, che oggi vale già 1000 miliardi di euro, raddoppierà a 2.200 nel 2020. Per quanto riguarda specificamente le centrali, una grande compagnia di assicurazioni, come la tedesca Allianz, calcola che in impianti ad energia rinnovabile siano stati investiti 45 miliardi di euro nel 2005, che diventeranno 250, cinque volte di più, nel 2020. E può darsi che assicuratori e politici tedeschi siano fin troppo prudenti.

Da un anno o poco più, i soldi hanno già cominciato a girare vorticosamente nel mondo dell'economia ambientale. Il più grosso produttore di turbine a vento ha appena raddoppiato, in un solo anno, la sua capitalizzazione e vale in Borsa poco meno di 10 miliardi di euro (a ridosso, per dire, della Ford). Quasi altrettanti ne sono stati raccolti, nel 2006, distribuendo azioni, da aziende impegnate nel cleantech, la tecnologia ambientale.

Le transazione finanziarie (accordi, fusioni) hanno superato per la prima volta, l'anno scorso, il valore di 75 miliardi di euro, dicono gli analisti di New Energy Finance, una società di consulenza specializzata nel settore. Gli investimenti veri e propri, in impianti e macchinari, sono saliti dai 20 miliardi di euro del 2004 a oltre 50 miliardi. Destinati a crescere in fretta: la sola divisione ambientale del gigante americano General Electrics dichiara ordini arretrati per quasi 40 miliardi di euro.

Ma, forse, più dei numeri vale, per fiutare il vento, guardare le persone. Finanche gli gnomi svizzeri della Banque Pictet, tanto affidabili da trovarsi a gestire un portafoglio mondiale di 220 miliardi di euro di risparmi, hanno deciso di mettere in piedi, per intercettare tutto questo movimento, un fondo di investimenti chiamato "Energia pulita". E, soprattutto, si sta muovendo Silicon Valley.

I tecnici e i creativi dell'ultima grande rivoluzione industriale, quella informatica, riferiscono le cronache, si stanno muovendo a cercare opportunità e lavoro nelle nuove aziende del cleantech. Ciò che conta è che lo stanno facendo i veri eroi di quella rivoluzione, i finanzieri del venture capital che hanno nutrito e allevato le imprese nascenti, destinate a diventare giganti dell'economia globale. Gente come Vinod Khosla e John Doerr, che stanno investendo nel solare.

Come stanno facendo Sergei Brin e Larry Page, i padroni di Google. Doerr non ha dubbi che la storia si ripeterà: "Il cleantech è basato sull'innovazione scientifica e tecnologica, è promosso da imprenditori, è frammentato come Internet". Del resto, non sono solo i profeti del venture capital a parlare di una quarta rivoluzione industriale, dopo quelle del vapore, dell'elettricità e del computer. Lo proclamano i documenti della Ue e dei governi: il salto tecnologico connesso all'energia pulita può dare una spinta paragonabile a quella degli anni '90 alla produttività e all'economia. Il rapporto della Allianz parla di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, di un'industria ambientale che fornisce alla Germania un contributo paragonabile a quello dell'auto nel secolo scorso.

Dieci anni fa, la rivoluzione informatica ha sconvolto le gerarchie dell'economia mondiale, facendo sembrare dinosauri i colossi di allora e portando alla ribalta giganti del tutto nuovi, come Microsoft e Google. Anche la possibile rivoluzione dell'energia pulita si apre su un terreno ancora inesplorato, dove non esistono ancora rendite di posizione, gerarchie precostituite, giganti che precludano l'accesso e dove una singola invenzione fortunata può creare un protagonista dalla sera alla mattina: il grosso degli attori sono facce nuove al grande business e le multinazionali sono, spesso, all'inseguimento dei nuovi venuti.

A differenza dell'informatica, però, non sono gli americani, oggi, a dominare il cleantech. Il 20 per cento del mercato delle tecnologie ambientali è in mano ai tedeschi. Nelle classifiche degli attori più importanti spiccano, con i tedeschi, danesi, spagnoli, cinesi, indiani, spesso davanti agli americani. E gli italiani? Zero: in questa partita ancora non ci siamo.

La chiave di volta del cleantech, la sua pietra filosofale è l'energia solare, dove svolta tecnologica e rischio imprenditoriale più facilmente possono incrociarsi con l'effetto moltiplicativo di una rivoluzione. Sfortunatamente, è anche la più elusiva: l'energia iniziale è gratis, ma sfruttarla è difficile e costoso.

Oggi, il totale di energia solare prodotta nel mondo è equivalente ai bisogni quotidiani di meno di tre milioni di case. La tecnologia più solida e matura, per produrre elettricità dal sole, è quella della concentrazione termica, a cui si sono dedicati, in particolare, gli spagnoli con Abengoa, Acciona e Iberdrola. Una platea di specchi concentra i raggi del sole su una caldaia, dove l'acqua si scalda fino a diventare vapore che, poi, come nelle centrali tradizionali, muove la turbina di un generatore. Se il parametro di riferimento sono i costi di una normale centrale a carbone - il sistema più sporco, ma anche più economico di produrre elettricità - dove produrre un chilowattora costa da 2 a 4 centesimi di euro, quelli di una centrale a solare termico sono attualmente lontani, ma non lontanissimi: fra i 7 e i 9 centesimi. E di poco superiori ai 6-7 centesimi di un chilowattora prodotto con il gas.

La distanza è enormemente maggiore per la via più fascinosa del solare: il fotovoltaico, dove i pannelli trasformano direttamente l'energia solare in elettricità. Oggi questo avviene con pannelli al silicone, lo stesso materiale utilizzato per i chip dei computer. Sia pure partendo da volumi assai piccoli, il fotovoltaico sta conoscendo un boom: di fatto, oggi si usa più silicone per i pannelli che per i chip. In testa, nel settore, ci sono i giapponesi della Sharp, il gigante dell'elettronica di consumo, con un fatturato di 1,2 miliardi di euro nel 2006, più della somma dei due più immediati inseguitori: i tedeschi di Q-Cell (539 milioni di euro) e i cinesi di Suntech (445 milioni di euro). Ma nella corsa si sta inserendo di prepotenza Bp Solar, braccio della multinazionale del petrolio, che punta ad un fatturato di 750 milioni di euro nel 2008.

Nonostante la rapida discesa del costo dei pannelli, l'energia fotovoltaica è ancora cara: da 26 a 34 centesimi per chilowattora, considerato il costo di impianto (sussidi esclusi). La svolta che tutti attendono è quella che consenta di sostituire i pannelli al silicone con film di plastica. È qui che investe Silicon Valley.

Ma i tentativi di aziende come Miasole, Daystar, Solopower, Nanosolar di arrivare a produrre commercialmente i pannelli di plastica continuano a slittare nel tempo. L'ostacolo maggiore è l'efficienza dei film solari nel produrre energia: oggi riescono a convertire solo il 6 per cento dell'energia ricevuta (un terzo di quanto fanno i pannelli al silicone), il che costringe, anche se i prezzi del singolo pannello sono più bassi, a impiantare superfici molto più estese per catturare il sole.

Dove il cleantech va già forte, invece, è sulle ali del vento. Le grandi eliche che cominciano a punteggiare coste e campagne danesi, spagnole, tedesche e americane forniscono oggi l'1 per cento dell'elettricità mondiale, quanto basta per le necessità di 20 milioni di case. Ma l'eolico viaggia a ritmi di crescita del 30 per cento l'anno: da qui al 2012, secondo Csla Research, aziende elettriche e governi investiranno oltre 120 miliardi di euro nelle turbine. In Danimarca, già il 20 per cento dell'elettricità è fornito dal vento. In Spagna il 9, in Germania il 7. Ne hanno beneficiato le industrie nazionali. Oltre il 28 per cento del mercato mondiale della produzione di turbine è in mano alla danese Vestas. La spagnola Gamesa, la tedesca Enercon, l'americana Ge se ne spartiscono, in parti uguali, un'altra metà. L'indiana Suzlon ha il 10 per cento.

Le turbine diventano sempre più alte, le eliche sempre più larghe per intercettare più vento. Brutte, ma efficienti. Il costo di un chilowattora di energia eolica (sempre senza sussidi) è, ormai, quasi uguale ai 2-4 centesimi di euro del carbone, inferiore a quello di un chilowattora da gas. Il dipartimento dell'Energia americano calcola che, negli ultimi anni, il costo dell'elettricità dal vento sia stato, in media, inferiore ai prezzi all'ingrosso dell'elettricità sul mercato Usa.

Naturalmente, occorre che ci sia abbastanza vento. Ma Peter Kruse, di Vestas, sostiene che, in media, il vento è economicamente competitivo con le fonti tradizionali, almeno fino a quando il barile di petrolio non scenderà sotto i 45 dollari. Oggi, con il greggio a 70 dollari, è una soglia piuttosto remota. Secondo Vlatko Vlatkovic, di Ge, il costo di produzione può scendere ancora, se si allunga il diametro delle eliche dagli attuali 60 a 90 metri. Ciò che le renderebbe ancora più ingombranti nel paesaggio, visto che devono essere sufficientemente distanti l'una dall'altra, per non rubarsi il vento. Ecco perché molti nuovi progetti localizzano i campi di turbine in mare: il chilowattora, in questo caso, costa tre volte di più, ma ancora sotto i 10 centesimi. E c'è chi punta a metterle in alto, sospese come aquiloni centinaia di metri su nel cielo, dove il vento è più forte e costante.

Il problema con il sole e il vento è che, quando c'è poco sole o poco vento, c'è anche poca elettricità. In altre parole, le centrali verdi devono avere il sostegno di flussi di energia alimentati da fonti meno volatili. E qui tornano in gioco tecnologie già note, come quelle del carbone e dell'atomo. Con attori ben conosciuti, perché, in un caso e nell'altro, gli investimenti sono troppo massicci per un nuovo venuto. Per il carbone, la novità è nella possibilità di sottrarre l'anidride carbonica e stivarla nel sottosuolo, ma la tecnologia è ancora in fase sperimentale.

Per il nucleare, che Co2 non ne produce affatto, il dibattito si è riacceso ormai da un paio d'anni, ma i ripetuti annunci di un nuovo imminente boom hanno prodotto finora l'avvio di un solo nuovo impianto in Occidente. Ci sono i dubbi su sicurezza e gestione delle scorie, ma anche motivi economici. Il costo di un chilowattora nucleare è valutato intorno ai 4-5 centesimi di euro, ma tutto dipende da quanto - in tassi di interesse - è costato finanziare l'investimento. Inoltre, è un investimento non flessibile: non si possono togliere o aggiungere reattori, come si può fare con un pugno di pannelli o di turbine. Infine, l'affidabilità di una centrale atomica, rispetto alla erraticità della produzione solare o eolica, ha un rovescio: il reattore deve funzionare sempre al massimo, quale che sia il prezzo finale di vendita. Anche nel mondo della nuova energia, è una scommessa impegnativa.
(1 - continua)



Origine: Repubblica

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