Dylan Dog vent'anni dopo ecco l'ultima avventura
In esclusiva sul mensile di Repubblica una nuova storia dell'investigatore
di LUCA RAFFAELLI
"Fuori tempo massimo" è una bella storia di 34 pagine (divisa in due puntate: la seconda e conclusiva su XL di settembre), su sceneggiatura di Roberto Recchioni e con i disegni e i colori di Massimo Carnevale (autori già noti agli appassionati di fumetti per Detective Dante e John Doe). Antagonista di Dylan Dog è Axel Neil, "Mostro" per eccellenza, capace di uccidere le sue vittime con una ferocia disumana. Lo vedremo risvegliarsi da un coma che si credeva irreversibile. Ma evidentemente neppure la Morte gli apre le porte, e così Dylan Dog si trova di fronte uno dei nemici più terribili e pericolosi della sua lunga carriera di indagatore dell'incubo.
Ad introdurre queste pagine a fumetti un'intervista esclusiva a Tiziano Sclavi: rara, perché il creatore di Dylan Dog raramente le concede, e così lunga da meritare anche questa la divisione in due puntate. Nella prima parte, Sclavi racconta quali sono le sue reazioni leggendo le storie di Dylan Dog scritte da altri. Eccone qualche brano.
Ormai scrivi molto raramente le storie di Dylan Dog. Che sensazione ti dà leggere quelle scritte da altri. È un sollievo o una preoccupazione?
"Quasi sempre è un piacere. E spessissimo mi deprimo perché mi dico: ma sono tutti più bravi di me! Lo penso davvero".
Provi nostalgia per un momento della tua vita professionale?
"Ho nostalgia della mia giovinezza. Dylan ha compiuto ventun anni e il problema che ora ho ventun anni più di lui".
Quando con Dylan Dog hai ridato vita al genere horror c'è stato anche un calcolo commerciale?
"No. Io volevo scrivere i fumetti come volevo io (questo l'ho più volte dichiarato, con una certa immodestia) fondendo il fumetto d'autore con il fumetto popolare. La scelta dell'horror è stata dettata dalla passione. Non solo mia, ma anche di Decio Canzio (allora direttore generale della Sergio Bonelli, ndr) e di Sergio Bonelli. Tutti erano entusiasti di una serie horror. Il personaggio è anche il frutto di un lavoro di redazione, però l'ho sempre considerato un veicolo per dire quello che volevo io".
Nell'intervista Sclavi racconta anche perché il successo non gli ha cambiato la vita e ricorda di quando scrivendo certe storie di Dylan Dog si è emozionato così tanto da mettersi a singhiozzare. "Ho pianto perché avevo fatto morire un personaggio. Il mio computer era bagnato di lacrime".
Origine: Repubblica
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