C’è il Guardasigilli Alfano che definisce il Ddl sicurezza approvato dalla Camera (e ora all’esame del Senato) il “più grosso sistema di contrasto alla mafia dai tempi di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia” (più poteri ai Prefetti, ai Pm antimafia, 41bis più stringente etc). C’è la proposta lanciata dal leader della Lega Umberto Bossi, di eleggere magistrati e pubblici ministeri direttamente dal popolo che ha preso i fischi di mezza magistratura (dall’Anm, ai togati del Csm, a Unicost) oltre all’accoglienza freddina all’interno della stessa maggioranza.
E ancora. Un piano carcerario nuovo di zecca che sembra fare da “sponda” ai continui sbarchi che arrivano da Lampedusa che tanto preoccupano il ministro dell’Interno Maroni. L’idea di costruire ex novo una decina di istituti penitenziari nei prossimi tre anni, così come stabilito dalle linee del piano, è sicuramente positiva. Peccato che per far partire il tutto, si chieda ai privati di investire all'incirca un miliardo. Intento quanto meno “difficile” in un periodo “difficile” per tutto il sistema economico attanagliato dalla crisi. Ci sono poi i giudici di pace e le sedi “disagiate” del Meridione (dove è forte la presenza della criminalità organizzata) che, merito della riforma dell’ordinamento giudiziario (che impedisce ai magistrati di prima nomina di essere destinati come primo incarico alle funzioni di Pm o giudice unico), sono praticamente alla paralisi per carenza di organico. Indi? Le toghe minacciano lo sciopero dalle udienze per 15 giorni.
Ci sono i 65 articoli del disegno di legge che riordina la professione forense appena licenziati dalla Commissione giustizia di Palazzo Madama che, dopo lo sforzo congiunto delle varie anime dell’avvocatura (Consiglio nazionale forense, Oua, Aiga e Cassa forense) rischia di perdere pezzi durante il cammino dopo il recente “j’accuse” dell’Antitrust al Governo, colpevole di frenare le tanto discusse liberalizzazioni di Bersani.
Una matassa quanto meno aggrovigliata da sbrogliare in un clima politico già surriscaldato di per sé sui temi della giustizia-sicurezza. Visto che si parla di pubblicità, tariffe massime e minime della prestazione, accesso alla professione e Ordini, su cui l’Avvocatura ha in passato mostrato i denti aguzzi. All’orizzonte, si prospetta quindi un acceso dibattito sul punto tra Governo e le sigle dell’avvocatura. L'attenuazione delle regole, come previsto dalla Legge Bersani, si risolve per gli avvocati in una perdita deontologica, delle qualità e in una minor protezione del cliente. Per l’Antitrust invece resta il pallino della “lotta alle caste”. Quelle stesse “caste” che poi magari offrono una consulenza gratuita ( i legali), un check up gratuito su principali fattori di rischio legati al’obesità ( i medici), una verifica gratuita delle dichiarazioni (i commercialisti) mentre fai la spesa all’Ipercoop, all’Auchan o nei centri commerciali Conad di mezza Italia.
E se nel pentolone a pressione finiscono anche ddl sul processo penale, quello sul processo civile (approvato ieri dal Senato), il progetto di separazione delle carriere di giudici e pm, con conseguente divisione in due del Csm, le intercettazioni “controllate” per gli 007 dopo lo scandalo Genchi (con tanto di avviso al premier entro cinque giorni dall´inizio dell´ascolto), il calendario delle cose da fare è molto fitto. Ma in mezzo ci sono le elezioni europee, il referendum e la programmazione finanziaria anti-crisi.
Che si parli di mozioni di sfiducia “ad personam”, Lodo, caso Mills e chi più ne ha più ne metta, testimonia quanto sia incauta e al contempo impotente di fronte ai veri mali della giustizia italiana, una politica che forse, da una parte e dall’altra, ha più di un interesse a mantenere alta la miscela tossica dello scontro con i giudici. Una frustrazione continua che per essere esorcizzata si trasforma in inutile nervosismo e aggressività. E il solito scarica barile dal sapor agrodolce tutto pre elettorale.
Daniele Memola
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