Si è tenuto il 27 gennaio il convegno “Fotoferesi nella GvHD: valutazioni di rischio/beneficio, conformità e raccomandazioni”, un incontro finalizzato alla presentazione di uno studio condotto da SIdEM e GITMO sulla più grave e diffusa patologia correlata al trapianto di midollo osseo, ovvero la Graft versus Host Disease (GvHD), una delle principali complicazioni e cause di decesso dopo trapianto.
Questa condizione si manifesta quando i leucociti del donatore, riconoscendo come estranee le cellule del ricevente, iniziano ad “aggredire” i tessuti del paziente. Tale rigetto compromette la salute, riduce sensibilmente la qualità della vita e minaccia gravemente la sopravvivenza del paziente che ne è affetto.
Secondo il registro europeo della EBMT (European group for Blood and Marrow Transplantation) e i dati elaborati da GITMO, ogni anno in Italia si effettuano quasi 1.500 trapianti di midollo; di questo campione di pazienti si stima che fino all’80% rischi di contrarre la Graft versus Host Disease (GvHD).
SIdEM e GITMO, con l’obiettivo di individuare proposte e soluzioni ottimali per il trattamento di questa patologia, hanno avviato uno studio di circa 16 mesi sugli effettivi benefici derivanti dalla fotoforesi extracorporea. La fotoferesi è una terapia che consiste nel trattamento dei leucociti con un farmaco e raggi UVA ed è supportata da 25 anni di letteratura ed esperienze in tutto il mondo.
Esistono due modi di somministrazione della terapia di fotoferesi, ben diversi tra loro: il sistema chiuso e il sistema aperto. Il primo consiste in un’unica procedura chiusa ed erogata da un unico dispositivo appositamente sviluppato per la fotoferesi, che gestisce consecutivamente tutte le fasi del trattamento. Il sistema chiuso preleva il sangue del paziente, separa ed isola i leucociti che vengono trattati con un farmaco e i raggi UVA, prima della loro reinfusione al paziente. Nel sistema aperto, invece, queste fasi sono separate ed eseguite da due strumenti diversi, non collegati fra di loro. Nel sistema aperto le attività di raccolta del sangue, di separazione e di raccolta dei leucociti da trattare sono svolte da un separatore cellulare standard utilizzato anche in molte altre procedure aferetiche. La fotoattivazione è invece eseguita da un secondo dispositivo dove è necessario trasferire manualmente i leucociti a trattare.
“L’obiettivo dell’iniziativa – commenta il Prof. Luca Pierelli, Direttore dell’Unità Operativa Complessa, Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera S. Camillo Forlanini di Roma e Presidente della SIdEM – è quello di favorire la condivisione dei contenuti del documento con tutte le figure professionali impegnate nel processo di presa in carico dei pazienti affetti da Graft versus Host Disease (GvHD). La collaborazione tra SIdEM e GITMO, infatti, ha permesso di evidenziare che la procedura della Fotoferesi extracorporea è una terapia efficace, sicura e raccomandata non solo per il trattamento della patologia, ma anche per l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse sanitarie”.
Il documento è stato realizzato grazie all’operato di 9 esperti provenienti da GITMO e SIdEM. Questo gruppo di specialisti ha elaborato una serie di domande in grado di facilitare la definizione di un valido percorso clinico. Successivamente, i quesiti sono stati affrontati nel corso di una Consensus Conference e alla luce della moderna letteratura scientifica. Da questo processo sono emerse 47 raccomandazioni pratiche che evidenziano i risultati efficaci derivanti dall’utilizzo della Fotoferesi.
“La malattia del trapianto contro l’ospite è una patologia complessa, che comporta delle complicanze più gravi rispetto al comune rigetto d’organo” aggiunge il Prof. Alessandro Rambaldi, Direttore dell’Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Riuniti di Bergamo e Presidente GITMO. “Gli esperti la suddividono in due categorie: si definisce Graft versus Host Disease (GvHD) acuta la reazione che compare entro i primi 100 giorni dal trapianto e colpisce principalmente tre sedi: la cute, il fegato e l’intestino. La Graft versus Host Disease (GvHD) che, invece, si palesa dopo i 100 giorni dal trapianto si definisce cronica e prevede meccanismi patogenetici più complessi, interessando la maggior parte degli organi e dei tessuti del paziente”.
Dopo l’incontro, SIdEM e GITMO si adopereranno per diffondere ai centri nazionali di trapianto le raccomandazioni emerse dallo studio, in modo da illustrare l’efficacia della Fotoferesi alle strutture specializzate nel trattamento della Graft versus Host Disease (GvHD).
“La Fotoferesi Extracorporea è una terapia immunomodulatoria, la cui comprovata efficacia nel trattamento della Graft versus Host Disease (GvHD) è stata avvalorata dai risultati del documento presentato oggi”, conclude il Prof. Alberto Bosi, Direttore del S.O.D. dell’Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria dell’ospedale Careggi di Firenze e Past President GITMO. “La Fotoferesi viene eseguita generalmente a livello ambulatoriale e con particolari metodiche anche all’interno della Unità Clinica per il paziente grave che sia impossibilitato a muoversi”.
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Fonte : Società Italiana di Emaferesi e Manipolazione Cellulare
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