di Amedeo Lepore
In questi giorni, alla Camera, si apre la fase finale della discussione sul federalismo fiscale. Il clima non è certamente dei più favorevoli per svolgere un rigoroso confronto di merito, lontano dallo scontro frontale che tende a dividere il paese e le istituzioni. Eppure, solo fino a qualche giorno fa, sembrava prevalere, proprio sul tema della riorganizzazione "federale" delle imposte, una diplomatizzazione fin troppo marcata, che aveva già affievolito la possibilità di un esame critico del provvedimento. Anche la presa di posizione, contenuta nel giudizio sull'attuazione dell'Agenda di Lisbona da parte della Commissione Europea, che avrebbe dovuto suscitare clamore, è passata sotto silenzio, nonostante vi fosse una richiesta esplicita rivolta all'Italia di garantire che il federalismo fiscale sia coerente con il consolidamento dei conti pubblici. In particolare, l'organo esecutivo dell'Unione ha posto in evidenza quattro punti essenziali. Il federalismo deve essere in linea - anche per il futuro - con la necessità di migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche, in una prospettiva di medio termine, rallentando la spesa pubblica primaria e rendendola più efficiente. L'Italia deve procedere rapidamente ad un'opera di riforma, per ampliare la concorrenza nei mercati dei beni e dei servizi in svariati settori (la distribuzione al dettaglio, i servizi finanziari e professionali, la vendita dei carburanti, i servizi del gas, il trasporto aereo, i servizi pubblici locali) e per riorganizzare la pubblica amministrazione, aumentandone la produttività. L'istruzione e il sistema educativo, nel loro complesso, devono accrescere i livelli di efficienza e gli standard di qualità, perseguendo l'obiettivo esplicito di ridurre le disparità esistenti a livello regionale. Infine, un'organizzazione della flessibilità e della sicurezza del lavoro, volta ad attenuare i divari territoriali, richiede una diversa allocazione della spesa sociale, in grado di ottenere un insieme di benefici coerenti, servizi adeguati per l'occupazione, sistemi di apprendimento di lungo periodo e misure di contrasto al lavoro nero. Queste raccomandazioni della Commissione Europea andrebbero riflettute a fondo e collegate al provvedimento in discussione, per evitare di fare la corsa del gambero, con una brusca marcia indietro quando si tratterà di governare gli effetti attuali e differiti della crisi internazionale, di rientrare nei limiti delle compatibilità economico-finanziarie europee e di tornare a competere come paese sul piano globale. Di tutto questo non vi è traccia. Anzi, il testo su cui si apre l'ultima fase del confronto parlamentare presenta perlomeno tre profili generali che dovrebbero preoccupare il legislatore, come ha evidenziato la SVIMEZ, nel corso dell'unica audizione riservata ad un'Associazione dalle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera. Infatti, nel disegno di legge sul federalismo fiscale vi sono norme che rischiano di incorrere in eccezioni di costituzionalità, come quelle riguardanti l'autonomia impositiva e la riserva di aliquota, che disattendono il principio di progressività dell'intero sistema tributario. Inoltre, vi sono norme che non consentono il rispetto del criterio di sostenibilità finanziaria delle prestazioni: in particolare, vi sono serie preoccupazioni sulla possibilità di finanziare convenientemente tutte le funzioni delegate alle Regioni e agli enti locali, con il grave rischio di un'inadeguata fornitura di servizi pubblici fondamentali o di un serio abbassamento della loro qualità. Infine, vi è una furbesca interpretazione del tema della territorialità degli interventi, a partire dal principio delle compartecipazioni ai tributi erariali, dalle direttive per la determinazione e il riparto del fondo perequativo, fino ai criteri della perequazione infrastrutturale e all'indicazione delle forme di fiscalità di sviluppo. Queste ultime due scelte non sono riservate al Sud, ma a tutto il paese, eludendo ogni criterio di riequilibrio territoriale. Bisognerebbe partire da questi elementi del tutto opinabili, per realizzare un confronto serio ed approfondito, senza seguire il pericoloso espediente di un'approvazione rapida e solo apparentemente indolore. Infatti, a pagare le conseguenze di queste numerose contraddizioni irrisolte sarebbe l'intero paese. Corrado Barbagallo, un grande studioso meridionale apertamente favorevole al federalismo, concludendo il suo scritto su La questione meridionale del 1948 affermava che "la decadenza e il livello economico del nostro Mezzogiorno hanno portato (…) a conseguenze sfavorevoli nel riguardo del Settentrione" e, perciò, "nell'interesse del nostro paese sarà necessario abbandonare i vecchi pregiudizi e rinnovare le proprie opinioni". Di questo si tratta, di arginare quella che Barbagallo chiamava la "incalzante marea", rappresentata - già allora - dalla "corrente di scambi più abbondante fra le due parti della Penisola (…) quella dei dileggi, dei rancori, anche degli odii". Solo con il coraggio delle idee, anche oggi, è possibile riacquistare la consapevolezza che al disastro del Sud sarà indissolubilmente legata l'emarginazione del Nord dal contesto internazionale. Solo scelte politiche lungimiranti, orientate al superamento del divario, potranno favorire la ripresa di tutto il paese.
Napoli, 13/02/09
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