I GIORNI DELLA RETORICA.
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
La retorica, nella definizione della scuola dei sofisti greci del quinto secolo a.c., in particolare Trassimaco di Calcedonia e Gorgia da Lentini, è: "L'arte del dire, per convincere". Dalla definizione si capisce che nella retorica non è previsto la ricerca della verità. I greci, nella loro atavica saggezza scindevano il rapporto tra il dire ed il dire il vero. La ricerca della verità veniva attribuita alla filosofia. Già sapevano, 2500 anni fa, come vanno le cose nel mondo degli uomini.
Parlare bene ed in maniera convincente non voleva dire allora, ne tanto meno oggi essere nel giusto. Anzi, dal tempo dei greci ad oggi la retorica serve a mascherare la verità. Ma d'altra parte, potremmo affermare con Pirandello, che nella sua commedia: "Così è, se vi pare"; fa dire ad un suo personaggio: "Quale è la verità? Quella che appare, o quella che non si conosce? E se la verità non la si conosce, non è verità, mentre quello che appare, potrebbe, anche essere vero!"
In democrazia il compito della politica è di trovare una giusta mediazione tra quello che sembra e quello che veramente è. Perché la democrazia si rafforzi è necessario che la differenza tra quello che è e quello che sembra deve ridursi il più possibile, Quando la differenza aumenta, la retorica prende il sopravvento sulla ricerca della verità. La democrazia, senza la verità non può esistere.
Questi che viviamo sono i giorni della retorica, in cui la ricerca della verità è un esercizio che viene lasciato a pochi e sconosciuti filosofi involontari.
Eppure nella nostra epoca, siamo molto più fortunati dei nostri avi, abbiamo a disposizione tanti strumenti tecnici che ci consentono di reperire informazioni e dati in tempo reale, abbiamo a disposizione la verità nella sua massima rappresentazione: possiamo essere testimoni in diretta di quello che accade. Attraverso le immagini dei computer e delle televisioni possiamo abbattere le barriere dello spazio e del tempo ed essere testimoni oculari di avvenimenti importanti.
Per dimostrare quanto affermiamo, basta ricordare la rivolta dei giovani studenti cinesi di Piazza Tien an men avvenuta venti anni fa, per il governo cinese non c'è mai stata. Le povere madri dei giovani scomparsi in quella drammatica vicenda, non sanno ancora oggi, che fine hanno fatto i loro figli. Eppure, tutti possono andare su Internet e vedere ancora le immagini di quel giovane a braccia aperte e disarmato che fermava un carro armato su quella piazza sterminata. La retorica del governo cinese serve a non considerare i diritti umani dei suoi cittadini, a pensare alla democrazia come un problema. La retorica comunista dello sviluppo e del progresso non potrà mai coprire la verità di quelle immagini, che mettono in discussione tutti i risultati e tutti i successi che vengono ottenuti in Cina. Senza democrazia non c'è sviluppo.
Un altro caso di retorica è rappresentato dal dittatore libico Gheddafi, che nella sua visita in Italia si è presentato con la fotografia dell'eroe libico Omar Mukhtar , sistemata sul suo petto, decorato di dittatore. Con questo viatico, si è presentato agli incontri pubblici in cui ha condannato il terrorismo come un male da sconfiggere; dimenticandosi di tutti i suoi attentati terroristici per i quali ha anche pagato dei risarcimenti milionari.
La storia dell'eroe libico Omar Mukhtar è poco conosciuta in Italia, perché rappresenta una vicenda in cui il nostro paese si coprì di infamia ed è per noi ancora materia di vergogna nazionale. L'anziano professore islamico Omar, nel 1921 si mise alla testa di poco più di tremila libici che diedero filo da torcere alle truppe di occupazione italiana, che dovettero sostenere per dieci anni una guerriglia in cui morirono 80.000 libici. Mukhtar fu impiccato pubblicamente, per ordine del Maresciallo Graziani, nel 1931. Era un eroe della resistenza contro il colonialismo, non lottava per sostituire l'occupazione fascista con una dittatura come il regime di Gheddafi impone oggi alla Libia.
Infine, l'ultima retorica che dobbiamo sopportare è quella del giovane ed arrogante Ministro della Giustizia del Governo Berlusconi: Angelino Alfano.
E' retorica l'affermazione che la legge fatta votare alla Camera sulle intercettazioni telefoniche serve a proteggere la privacy dei cittadini italiani. I dati a disposizione di tutti sul numero delle intercettazioni fino ad ora eseguite parlano chiaro: 125 mila sono quelle effettuate su una popolazione attiva di 50 milioni di italiani. Non si tratta di garantire la privacy degli italiani, quindi, ma dei delinquenti, degli uomini politici, dei potenti dell'economia e dello spettacolo, che sono la maggior parte di coloro che hanno avuto una intercettazione per motivi di giustizia. Dopo il lodo per non far incriminare Berlusconi, ora la legge per non consentire intercettazioni al premier. Vi ricordate il caso di Saccà e della Rai? Chi sa quali intercettazioni sono in giro per il caso della giovane napoletana amica del presidente del Consiglio, che ha fatto decidere il Ministro a far votare quel provvedimento, subito dopo le elezioni?
Le intercettazioni sono state la spina nel fianco del nostro premier, sin dal tempo dell'incriminazione dei giudici romani che, corrotti da Previti, aggiustarono le sentenze che riguardavano la vicenda di Rete 4. Previti fu condannato per quello, così come Mills, di cui il nostro Presidente fa finta di non ricordare il nome. La legge di Alfano, oltre che impedire l'uso delle intercettazioni, impone ai giornali di non pubblicare niente di quello che sarà, eventualmente intercettato, in una inchiesta. Impedire la libera ricerca di un giornalista, limitarne le libertà rappresenta il trionfo della retorica, per garantire il rispetto di una libertà privata, si colpisce e si impedisce una libertà pubblica che consente di avvicinarsi alla verità.
Quello che appare vero non lo è, quello che è vero non deve essere tale.
Alla retorica dobbiamo sostituire la ricerca della verità, primo compito di una politica che vuole essere anche morale. Non è facile, ma abbiamo il dovere di provarci, senza mai stancarci.
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