I NODI VENGONO AL PETTINE. LO SCONTRO TRA FINI E BERLUSCONI.
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
Tutto quello che era previsto è successo! Tutte le contraddizioni interne al PdL si sono evidenziate, senza più tema di smentite. Non siamo più ai "si dice"; alle accuse velate ed alle dichiarazioni rilasciate "a nuora perché suocera intenda". L'incontro tra Fini e Berlusconi è stato al limite della rottura. Il burrascoso pranzo si è concluso con la richiesta del premier di 48 ore di tempo per fare le sue riflessioni e dare una risposta. Si parla già di costituzione di gruppi autonomi, mentre il Presidente del Senato, Schifano, minaccia nuove elezioni e qualcuno paventa ribaltoni improbabili.
L'immediata riunione del la Presidenza del PdL, ha prodotto come risultato un documento che ribadisce la compattezza del gruppo dirigente attorno al suo leader, con la convocazione della direzione nazionale del Partito in cui si verificheranno le posizioni e le scelte di ognuno. Esiste già un documento di 14 senatori a favore di Fini, che mette in subbuglio la maggioranza. Infatti, il Giornale della famiglia Berlusconi, con il suo direttore Feltri, avevano affermato che i dissidenti che si stringevano attorno al presidente della Camera erano una ventina. Un paio di senatori ed poco più di una quindicina di deputati. "Che se ne andassero pure!" aveva esclamato qualcuno, "Finalmente, non ci rompono più le scatole!" La riunione di Giovedì, serve proprio a questo, a definire se esistono i numeri di una scissione, da tempo preparata ed annunciata; oppure le manovre interne ai gruppi di potere riusciranno a scavare il vuoto attorno a Fini ed ai suoi fedelissimi; costringendolo ad una umiliante ritirata. Questa partita, che si sta giocando dal dicembre del 2007, da quando il premier si era inventato il Partito delle Libertà, annunciato in Piazza San Babila a Milano, dal predellino di una automobile; senza che i suoi possibili fondatori lo sapessero. Ogni vittoria elettorale che la destra ha ottenuto in questi ultimi tre anni, invece di compattare il gruppo dirigente attorno al suo leader carismatico, non ha fatto che registrare continue lacerazioni. Siamo nella fase finale di quella che è stata definita, in maniera troppo enfatica e precipitosa come: "Seconda Repubblica". Di fatti siamo solo ad una svolta importante di questa lunga ed insopportabile transizione politica, dalla vecchia Repubblica, nata dalla Resistenza, verso un nuovo assetto politico che non si intravede ancora. Quello che sappiamo con certezza e che abbiamo definitivamente abbandonato la vecchia politica , governata dalla legge elettorale proporzionale pura, che prevedeva Governi di coalizione, senza elezione diretta del premier e senza alternanze. L'abbandono di quella forma democratica, è stata la premessa per la scomparsa dei grandi partiti di massa; annegati definitivamente nella palude di "Tangentopoli".
Gli eredi ed i nostalgici della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista e del Partito Comunista, in tutti questi anni, dal 1994 ad oggi, hanno cercato di risorgere dalle ceneri, riproponendo, sotto nuove definizioni, i vecchi metodi ed i superati progetti politici. La loro rappresentanza nelle istituzioni, resta significativa, ma di minoranza, che li costringe ad una azione, spesso incoerente per poter sopravvivere. Il caso dell' U.d C. di Casini e De Mita è evidente. In queste elezioni, restano determinanti i nuovi partiti nati da poco e che hanno egemonizzato il quadro politico maggioritario che è in vigore nel nostro paese. Oltre al PdL ed alla lega, sono consolidati sia il PD di Bersani che IdV di Di Pietro. Il resto è residuale, ed in questo resto va inclusa anche Rifondazione Comunista, che fino a due anni fa, era un partito con milioni di voti ed una presenza significativa nelle assemblee elettive. Con la crisi del Governo Prodi, si è accelerata la chiusura della lunga fase di trasformazione del vecchio PCI Berlingueriano, iniziata con la svolta della "Bolognina" di Occhetto nel 1989, quasi venti anni fa. In queste ore, all'interno del PdL, si sta consumando la fine della trasformazione del Msi di Giorgio Almirante, da partito neo fascista, in un moderno partito della destra europea. Fini è molto affascinato dalla esperienza francese del Presidente Sarcozy, erede della riforma istituzionale e politica che il generale De Gaulle impose in Francia, all'inizio degli anni 60. La Francia è governata con una Repubblica presidenziale che garantisce, attraverso una Amministrazione pubblica, competente e ben strutturata, la coesione nazionale e l'identità collettiva, di cui i francesi sono molto orgogliosi. Fini continua a proporre questa soluzione istituzionale per uscire definitivamente dalla transizione. In questo modo, a differenza di quanto viene accusato, è ancora l'erede di Giorgio Almirante, che di quella idea si era fatto portatore, già nel 1972, con la sua Destra Nazionale. E' evidente che questa soluzione non è assolutamente gradita alla Lega, il più vecchio partito fascista e xenofobo della Europa odierna. La Lega, che si ammanta di grande ipocrisia politica, per mascherare le sue vere intenzioni, percorre l'obbiettivo di un federalismo che significa solo il governo delle Regioni del Nord, di tutto il resto del paese, attraverso il controllo della economia e della finanza. Berlusconi non osteggia questo disegno, sia per la sua personale debolezza nei confronti della Giustizia, sia perché ne condivide buona parte di quella impostazione. Lo scontro non era mediabile ne prima, ne dopo, prima o poi quelle contraddizioni sarebbero scoppiate. In questa fase della transizione, l'unica certezza che abbiamo. È quella della definitiva fine della esperienza di Alleanza Nazionale, il partito nato per continuare in maniera moderata la missione del vecchio Msi. Infatti, in qualsiasi modo finirà Giovedì la direzione del PdL, il vecchio gruppo dirigente di A.N.o sarà spaccato e diviso in due formazioni, oppure sarà ridotto al ruolo di comprimari al servizio del leader Berlusconi, che sarà capo indiscusso del Partito, della Coalizione e Presidente del Consiglio. Se Fini dovesse scegliere la strada di rifiutare questa prospettiva, il centro moderato già presidiato da Casini e Rutelli, aumenterebbe la sua forza politica di interdizione e contrattazione. Tutto è possibile in politica, quello che non è sopportabile è il peso politico della Lega, un partito che lavora alla disgregazione della coesione nazionale, contro l'Europa e contro i paesi del Mediterraneo. Quando ci svelieremo da questo brutto sogno?
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