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mercoledì 9 giugno 2010

Un mondo in malora



Un mondo in malora

Stiamo attraversando un'epoca di crisi, segnata da contrasti e rivolgimenti profondi, un tempo di transizione caotica verso un modo possibilmente nuovo di vivere, non sappiamo se migliore o peggiore di quello esistente. Da ogni parte del globo provengono segnali che inducono a pensare ad una fase storica di trapasso verso un mondo in cui gran parte delle precedenti categorie, politiche, filosofiche, etiche, potrebbero essere rovesciate di senso. Tanto per fare un esempio, un atteggiamento di carattere ottusamente protestatario rischia di invertirsi nel suo opposto, cioè in un gesto qualunquistico e reazionario. La ribellione si ribalta nel suo contrario, ossia l'obbedienza. Il falso progresso cela in realtà un pericoloso regresso. La verità copre la menzogna. E così via.

Crollo dell'egemonia neoliberista

Francamente non se ne può più della vuota retorica mercatistica, incline ad esaltare le "virtù salvifiche" della "libera iniziativa privata" e del "libero mercato", esistenti solo nell'ottusa immaginazione di persone ingenue o in mala fede, dato che nella realtà economica non esiste la "libera concorrenza", ma vige solo la legge della giungla, per cui vince il soggetto più forte e spregiudicato, più cinico, sleale e criminale. I disastri e i fallimenti di questa assurda e fanatica ideologia sono sotto gli occhi del mondo intero.

Di fronte al tracollo del sistema produttivo, di fronte alla dissoluzione di ogni tessuto di convivenza civile, di fronte alla più grave depressione economica del secondo dopoguerra, non è possibile continuare ad ingannare la buona fede della gente, accreditando le menzogne propagandate dall'egemonia neoliberista. Un sistema di rapina a mano armata che ha prostrato le economia di interi continenti, rovinando milioni di piccoli risparmiatori per favorire l'arricchimento di un'esigua e vorace minoranza di affaristi e speculatori senza scrupoli, padroni della finanza internazionale.

La realtà dimostra in modo irrefutabile che l'attuale modello di sviluppo economico, imposto per secoli con la violenza delle armi e la propaganda mediatica, attraversa una fase di crisi strutturale e ideologica, nella misura in cui non riesce a convincere più nessuno, tranne gli sprovveduti. Lo stato di irreversibile decadenza in cui versa il mondo capitalista è talmente palese da non poter essere negato nemmeno dai fautori più incalliti della globalizzazione imperialista. La pesante recessione economica sta facendo riemergere segnali che inducono a ragionare sull'origine e sulla natura reale della crisi, che non è solo economica, in quanto tradisce un processo di dissoluzione di un modello imperniato storicamente sulle fragili e ingannevoli certezze della scienza e della tecnica al servizio del profitto privato. Si tratta di un complesso di convinzioni sbandierate come assiomi granitici, rivelatisi per ciò che in effetti sono: facili e sciocche illusioni.

Critica della crisi e crisi della critica

Nell'immaginario collettivo il termine crisi richiama, mediante un meccanismo di associazione mentale, il concetto di caos e di peggioramento, ma pure l'idea di crescita e di progresso. La crisi può essere il prodromo che anticipa e prelude una rinascita che si esplica in virtù di uno sconvolgimento radicale dell'ordine vigente. Benché la nozione di crisi contenga un'accezione prevalentemente negativa, è indubbio che essa determini mutamenti profondi e duraturi, ma la rottura rispetto al quadro preesistente può generare un processo di svolta, un'occasione di riscatto e palingenesi sociale. In qualche misura, il momento critico prepara nel tempo le circostanze per il suo superamento, propiziando le condizioni per una trasformazione rivoluzionaria della realtà esistente.

Come nel caso dell'adolescente, il quale, attraverso il rigetto dell'autorità paterna, realizza un gesto di autoaffermazione per conseguire la propria autonomia individuale, così una formazione sociale in crisi nega sé stessa e si rigenera profondamente. Senza un processo critico non potrebbe attuarsi l'emancipazione della vita sociale, parimenti senza un atto di rifiuto e disobbedienza, compiuto dal soggetto in età adolescenziale, non potrebbe esplicarsi il pieno sviluppo di una personalità davvero libera e matura.

Il termine "crisi" deriva dall'etimo greco krisis che significa separazione, discernimento; in origine era impiegato nel settore medico, teologico e giuridico. Inizialmente tale voce fu applicata per indicare situazioni problematiche in contesti militari e politici che esigevano una risposta risolutiva. Nel 1800 la nozione di crisi venne applicata anche nel ramo dell'economia politica, in luogo di definizioni più obsolete quali ristagno o ricaduta. Per "crisi economica capitalistica" in senso convenzionale s'intende una brusca interruzione nel ciclo produttivo, che dalla fase espansiva scivola in quella recessiva in un quadro di tracolli delle borse finanziarie e una caduta dei prezzi, causando un periodo di depressione. Le crisi economiche capitalistiche hanno iniziato a verificarsi dalla prima metà del XIX secolo con l'avvento della rivoluzione industriale.

La radice etimologica del concetto di "critica" è la medesima del termine crisi, dal verbo krino, che significa "analizzare". Uno dei difetti contemporanei è esattamente una "crisi della critica" e consiste nell'assenza di una seria e rigorosa capacità di indagine razionale che consenta di interpretare la realtà, per provare a modificarla. Questa "crisi della critica" affiora anche rispetto all'odierno scenario di crisi economica globale.

La crisi economica odierna è solo l'aspetto più evidente di un processo di decomposizione avanzata di un ordine globale incentrato sui dogmi della religione pagana del capitale che si arroga il ruolo di padrone assoluto del mondo. E' una religione ottusa e fanatica, che venera il dio denaro, promuove il culto del mercato e il feticismo della merce, predica l'adorazione cieca dei falsi idoli del consumismo più sfrenato, esercita l'idolatria di un modello di sviluppo vorace e distruttivo che in pochi decenni ha saccheggiato le risorse del pianeta, depredando popoli ed ecosistemi inviolati per secoli.

Effetti della disinformazione di massa

Negli ultimi mesi i mezzi di comunicazione, cioè di persuasione di massa, hanno diffuso menzogne o false verità ufficiali, notizie manipolate ad arte, come l'idea che la crisi sia sul punto di esaurire gli effetti più dolorosi per lasciare lo spazio alla ripresa. Parimenti circolano versioni discordanti, leggende metropolitane sull'effettiva durata della crisi e sulle sue cause reali. Ogni giorno si è passati con estrema facilità dall'ottimismo più roseo al pessimismo più cupo o viceversa, a seconda dell'esito del vaticinio quotidiano, per cui gli "esperti" oscillano tra previsioni fauste ed annunci "profetici" allarmistici.

Qualcuno ha trasmesso la convinzione illusoria di una capacità di autoregolamentazione e moralizzazione dei mercati finanziari con l'intento di infondere fiducia e ottimismo, suscitando nuove aspettative per un risanamento della situazione. In tal modo le Borse hanno ricominciato a salire, i "leader" politici hanno alimentato le speranze annunciando "segnali di ripresa", ma il giorno dopo si smentiscono o non si sbilanciano.

All'inizio pareva che qualcuno avesse l'interesse a seminare il panico, così da una situazione di turbamento e di psicosi collettiva avrebbe potuto approfittare per compiere nuove speculazioni e siglare affari d'oro. In seguito si è giocato nella direzione opposta, ingenerando l'idea che la burrasca si fosse placata, quasi a voler sedare gli animi, prendere tempo per adottare nuove misure per l'avvenire. Ma dopo aver assistito alla "tragedia greca", in Europa si aggira di nuovo lo spettro minaccioso della crisi.

Natura del capitalismo

Il capitalismo non è un modo di produzione nato per soddisfare i bisogni primari delle persone, per fabbricare "valori d'uso", bensì per produrre e vendere merci, "valori di scambio". In altre parole, il valore d'uso è limitato dal valore di scambio delle merci create dal lavoro degli operai. Questa è la natura reale dell'economia capitalista, retta sulle leggi ferree della concorrenza, dell'accumulazione e del profitto privato. Inoltre, le merci sono prodotte dalla forza-lavoro operaia, che costituisce la potenza creatrice dell'economia reale, rappresenta capitale sociale vivo, indispensabile al capitale privato per imporre quel surplus di lavoro da cui estrarre un surplus di valore, ovvero di ricchezza, di cui il capitale si appropria per realizzare profitti a proprio vantaggio.

Il salario corrisposto all'operaio equivale a quella quantità di valore, cioè di reddito, pari al valore d'uso necessario al mantenimento dell'operaio e della sua famiglia. Il valore in eccesso, creato dal lavoro degli operai, corrisponde al plusvalore estratto dal lavoro operaio ed espropriato dal capitalista. In pratica, le merci prodotte in quantità eccessiva dallo sfruttamento della manodopera, sono messe in vendita sul mercato per ottenere profitti privati a beneficio del capitale. Ora, quando le merci restano invendute sul mercato, si determina una crisi di sovrapproduzione e, di conseguenza, una caduta verticale del saggio di profitto, come periodicamente si è verificato nella storia del capitalismo: la più grave depressione economica fu quella del 1929. A riguardo occorre precisare che la crisi del '29 si inserì in un momento di espansione dell'economia statunitense, mentre il contesto attuale non è esattamente lo stesso, in quanto gli Usa sono entrati da qualche anno in una fase recessiva. Sappiamo come il capitalismo ne è uscito: attingendo ingenti risorse finanziarie di origine statale ed occupando, soprattutto militarmente, nuove aree di mercato per piazzare le merci prodotte, mediante guerre di conquista neoimperialista che hanno condotto al secondo, tragico conflitto mondiale.

Cause reali della crisi odierna

Pretendono di farci credere che la crisi odierna è un fenomeno contingente causato da eccessive speculazioni in borsa compiute da una banda di affaristi senza scrupoli. La verità è che il capitalismo, per sua natura, è un sistema economico tossico e velenoso per i lavoratori. Finché il capitalismo ha assicurato a gran parte dei lavoratori occidentali un certo livello di reddito e di benessere, sia pur relativo, ha funzionato, è stato accettato nonostante lo sfruttamento, malgrado le ingiustizie, le diseguaglianze, le storture e le contraddizioni evidenti. Tutto sommato, gli aspetti immorali e abominevoli del capitalismo erano di secondaria importanza, come le stesse disparità di retribuzione salariale, finché il sistema ha garantito a buona parte della popolazione occidentale quella prosperità materiale tale da permettere consumi voluttuari. Persino il fatto che i supermanager guadagnassero compensi cento volte superiori rispetto al salario medio di un operaio, era una situazione accettabile. In ogni caso l'elemento fondamentale è sempre stato che i lavoratori percepissero emolumenti salariali sufficienti a mantenere un tenore di vita consumistico, che non è più praticabile.

L'attuale crisi non è affatto congiunturale, o accidentale, ma sistemica, è una crisi di portata epocale. E' una crisi strutturale e globale di sovrapproduzione e sottoconsumo, derivante dall'eccessivo sviluppo delle forze produttive, aggravata e accelerata da un processo di esaurimento dei mercati internazionali. Questa rappresenta la differenza sostanziale rispetto alle crisi precedenti, per cui quella in corso sembra essere la crisi conclusiva del ciclo storico compiuto dal modo di produzione economico capitalistico.

Malgrado la disinformazione di massa, è evidente che siamo di fronte ad una crisi che mette in discussione il paradigma stesso dell'accumulazione espansiva del capitale, sfatando un falso mito imposto negli ultimi decenni, che ora cade fragorosamente in frantumi. E' indubbio che il sistema consumistico è figlio di un'economia industrializzata retta sul mercato. Si tratta di una macchina produttiva che rischia il collasso, nella misura in cui la domanda precipita in modo vertiginoso causando il panico generale, mentre l'offerta cresce in maniera sproporzionata. Si conferma la tesi secondo cui saremmo caduti in piena crisi da sovrapproduzione e sottoconsumo: finora si è prodotto eccessivamente sfruttando troppo i lavoratori, che si sono impoveriti, per cui i consumi crollano malgrado la gente si sia indebitata fino al collo. In altri termini, chi produce non guadagna: i magazzini sono strapieni di merci invendute, ma sono soprattutto gli operai a pagare la crisi con i licenziamenti e la disoccupazione di massa. Di conseguenza i consumi continuano a calare, sicché la crisi rischia di aggravarsi ulteriormente e si autoalimenta in modo crescente ed irreparabile, provocando altre crisi future.

C'è chi si ostina a cullare sogni ed illusioni, mentre il mondo circostante va in malora.

Lucio Garofalo



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