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mercoledì 22 febbraio 2012
Caviglia e anca, gli italiani scelgono Forlì.
L’U.O. di Ortopedia del “Morgagni-Pierantoni” all’avanguardia in Italia per l’artroscopia della caviglia e l’impianto di protesi d’anca per via mini-invasiva, tecniche complesse ma in grado di assicurare qualità e rapidità del recupero.
Trattamento di caviglia e anca, gli italiani scelgono Forlì. Oltre al tradizionale fiore all’occhiello della chirurgia del ginocchio, in cui vanta un’ormai storica esperienza, l’U.O. di Ortopedia-Traumatologia dell’Ausl di Forlì, diretta dal dott. Francesco Lijoi, si è sempre più specializzata nell’artroscopia della caviglia e nell’impianto di protesi d’anca per via mini-invasiva, tecniche complesse e ancora poco diffuse in Italia ma in grado di assicurare grandi benefici in termini di qualità e rapidità del recupero, tanto da essere richieste da pazienti di tutta la penisola.
Per quanto riguarda in particolare la caviglia, il dott. Lijoi è stato il primo chirurgo italiano a praticare la chirurgia artroscopica della parte posteriore, appresa 12 anni fa in Olanda. «Attualmente le pratichiamo entrambe, sia quella anteriore sia quella posteriore, intervenendo con incisioni minime mediante sonde ottiche – illustra il direttore – si tratta di una metodica difficile, soprattutto per la parte posteriore». Fra i maestri del dott. Lijoi c’è lo stesso inventore dell’artroscopia della caviglia posteriore, il prof. Niek VanDijk, chirurgo di riferimento di diversi celebri calciatori. «Prima non s’interveniva quasi mai in questa sede, dato il rischio di ledere vasi sanguigni e nervi – illustra il dott. Lijoi – il prof. Van Dijk, invece, ha messo a punto una tecnica per scongiurare tali pericoli. La sicurezza della sua metodica l’abbiamo dimostrata proprio a Forlì, con uno studio anatomico poi pubblicato dalla maggior rivista internazionale di artroscopia». Attualmente, l’unità del dott. Lijoi effettua una cinquantina di artroscopie della caviglia ogni anno, e vanta svariate pubblicazioni nazionali e internazionali in materia. «L’atroscopia si effettua nel caso di dolori e/o gonfiori, quindi per problemi tendinei, di cartilagine, ossei – illustra il dott. Lijoi – di solito, il paziente, dopo traumi o distorsioni, si rassegnava a convivere col male, non trovando una soddisfacente soluzione medica. Adesso, grazie a questa tecnica, si può fare molto, compreso il trapianto di cellule cartilagenee dallo stesso paziente e l’innesto di materiali sintetici, detti “scaffold”, cioè impalcatura, utilizzati nelle lesioni più gravi e capaci di “guidare” il riformarsi della cartilagine e dell’osso, il tutto con ottimi risultati».
Accanto alla caviglia, l’altra punta di eccellenza dell’unità è l’impianto di protesi d’anca per via mini-invasiva. «Pratichiamo incisioni piccole, senza distaccare alcun muscolo – illustra il dott. Lijoi – in questo modo, il soggetto ha una ripresa più rapida e recupera una funzionalità più vicina alla norma, proprio perchè i muscoli non vengono distaccati ma semplicemente divaricati. Sempre per questa ragione, la protesi tende ad avere una stabilità maggiore». Anche questa tecnica il dott. Lijoi l’ha appresa nel Nord Europa e oggi l’unità la pratica di routine nelle protesi d’elezione, effettuandone un centinaio l’anno. In Italia sono pochi i centri con una simile esperienza, tant’è che l’U.O. di Ortopedia del “Morgagni-Pierantoni” è stata scelta da un’azienda produttrice di protesi quale centro di riferimento nazionale per l’impianto per via mini-invasiva. «A parte chi è in sovrappeso, o molto muscoloso oppure presenta deformità articolari, chiunque può scegliere quest’opzione, in grado di assicurare risultati migliori dell’intervento tradizionale – prosegue il dott. Lijoi –. Di solito si ricorre all’impianto di una protesi in presenza di artrosi, quindi soprattutto negli anziani: in questi casi, essendo la cartilagine consumata, l’osso tende a deformarsi provocando zoppia, dolore e limitazione dei movimenti. Nei giovani è raro effettuare questi interventi, lo si fa solo per l’esito di importanti deformità dello sviluppo o di gravi traumi». L’unico inconveniente delle protesi è che tendono a consumarsi; oggi, tuttavia, i tempi di sopravvivenza sono lunghi: secondo il registro protesi di anca e ginocchio dell’Emilia-Romagna, unica regione italiana dotata di un simile strumento, su 45mila protesi impiantate nel 2000, dopo 11 anni solo il 6% sono state sostituite.
Infine, per quanto riguarda il ginocchio, tradizionale ambito d’elezione dell’unità, l’equipe del dott. Lijoi assicura un trattamento a 360 gradi. «In caso di artrosi, cioè gravi problemi articolari, frequenti nell’anziano, si ricorre alla protesi – dichiara il direttore –. Nei giovani con problemi al menisco, ai legamenti o alla cartilagine, effettuiamo, invece, tutti i tipi di artroscopia: si va dalla semplice pulizia della lesione, al trapianto di cellule cartilaginee dallo stesso paziente, sino all’innesto di “scaffold”, come per la caviglia».
Tiziana Rambelli
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