Musica Meravigliosa
Omaggio a Giuseppe Rocca, liutaio · Celebrazioni nel bicentenario della nascita
16-17-18 Novembre 2007 · Alba · Barbaresco
Alba Music Festival e l'Ente Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco di Cremona rendono omaggio a Giuseppe Rocca, liutaio, del quale ricorre quest'anno il bicentenario della nascita.
Giuseppe Nova, Direttore artistico di Alba Music Festival ed ideatore dell'iniziativa Musica Meravigliosa, rassegna quest'anno dedicata a Rocca, ci dice a questo propostito: "Giuseppe Rocca è considerato, assieme a Pressenda, del quale fu allievo, uno dei migliori liutai dell'ottocento. La sua liuteria è caratterizzata dalla sorprendente modernità nel modo di reinterpretare con precisione e accuratezza, ma allo stesso tempo con personalità ed equilibrio, i modelli di Guarneri e Stradivari. La qualità sonora dei lavori di Rocca è tale che questi strumenti siano oggigiorno sempre più ricercati ed apprezzati, suonati da importanti solisti e ai quattro angoli del mondo".
La rassegna comprende momenti di studio con autorevoli storici della liuteria, come Eric Blot, Fausto Cacciatori e Gianni Accornero, l'esposizione di strumenti di Rocca datati dal 1839 al 1860, concerti con artisti internazionali, tra i quali il quintetto dell'orchestra Sinfonica della RAI, e una pubblicazione originale che contiene documenti storici, relazioni e il materiale fotografico relativo alla mostra. Sarà inoltre scoperta una targa celebrativa, domenica 18 novembre alle 16,30, sul palazzo Comunale di Barbaresco, paese nativo di Giuseppe Rocca. La manifestazione è realizzata con partner come la Fondazione Ferrero e il Centro Culturale San Giuseppe, attraverso il sostegno economico, tra gli altri, delle città di Città di Alba e Barbaresco, della Regione Piemonte e le della Banca CRT.
"L'iniziativa – prosegue il maestro Nova – è realizzata insieme all'Ente cremonese, la più autorevole istituzione a livello mondiale della liuteria, quindi una partnership d'eccezione che ci permette di mettere in campo le forze più qualificate per l'opera di valorizzazione di Rocca e della liuteria albese"
L'iniziativa viene proposta in alcuni luoghi prestigiosi, come la Fondazione Ferrero, il Teatro Sociale, la Chiesa di Santa Caterina ed a Barbaresco, paese natale di Giuseppe Rocca.
Giuseppe Rocca, nato a Barbaresco, nei pressi di Alba il 27 aprile 1807, ebbe una vita dinamica e ricca di eventi che lo portarono prima ad Alba, poi a Torino, per poi "suddividersi" tra Torino e Genova.
Apprese l'arte da Giovanni Francesco Pressenda, altro liutaio piemontese di origine albese, e ben presto, grazie alla sua innata predisposizione diventò autonomo. Utilizzava il modello di base appreso dal Maestro Pressenda, ma il suo estro lo portò ad interpretazioni molto personali.
Nel 1842-1843 un fatto segnò in modo decisivo la sua evoluzione professionale: venne in contatto, forse per riparazioni, con alcuni strumenti straordinari tra cui il violino Guarneri del Gesù (oggi conosciuto col nome "Alard") e alcuni Stradivari fra i quali probabilmente il "Messia".
Potersi confrontare con strumenti di così perfetta fattura, fu uno stimolo potentissimo: cambiò il modo di concepire la liuteria e adottò modelli per la costruzione dei violini basati su questi due famosi esemplari; la costruzione interna fu modificata per seguire più da vicino il procedimento osservato sugli Stradivari e Guarneri. La sua fu un'interpretazione moderna, ma allo stesso tempo coerente al modello di partenza, un'interpretazione essenziale che è riuscita, attraverso una forte ed inconfondibile personalità costruttiva, ad affermarsi più che mai dopo duecento anni.
A seguire:
Organizzazione
Calendario
La vita di Giuseppe Rocca
Note storiche sugli strumenti in Mostra
Musica Meravigliosa
Omaggio a Giuseppe Rocca, liutaio
Celebrazioni nel bicentenario della nascita
16-17-18 Novembre 2007 · Alba · Barbaresco
Promotori
Italy&USA · Alba Music Festival
Direzione artistica: Giuseppe Nova, Jeff Silberschlag, Larry Vote
Ente Triennale Internazionale degli strumenti ad Arco di Cremona
Paolo Bodini, presidente
Virginia Villa, direttore
Patrocinio
Comune di Alba
Comune di Barbaresco
Partner del progetto
Fondazione Ferrero
Centro Culturale San Giuseppe
Roberto Cerrato, presidente
Comitato Scientifico:
Gianni Accornero, Eric Blot, Fausto Cacciatori, Virginia Villa
Coordinamento
Italy&USA · Alba Music Festival
Ente Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco di Cremona
St. Mary's College of Maryland, Alba Campus · Dino Bosco, Giulia Giancristofaro
Collaborazioni
Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino
Sostegno
Regione Piemonte
Fondazione Ferrero
Banca CRT
Comune di Alba
Comune di Barbaresco
St. Mary's College of Maryland, USA
Ente Turismo Bra Alba Langhe Roero
Consorzio Turistico Langhe Monferrato Roero
Omaggio a Giuseppe Rocca, liutaio
1807 - 1863
Celebrazioni nel bicentenario della nascita
Calendario
Venerdì 16 novembre
ore 21 Auditorium Fondazione Ferrero, Alba
Trio di Torino
Sergio Lamberto violino, Umberto Clerici violoncello, Giacomo Fuga pianoforte
Relazione introduttiva: Fausto Cacciatori
Sabato 17 novembre
ore 12 Chiesa di Santa Caterina, Alba
Inaugurazione esposizione di strumenti "Giuseppe Rocca"
ore 15 Chiesa di Santa Caterina, Alba
Giornata di studio su Giuseppe Rocca
Relazioni:
Gianni Accornero, storico dell'arte liutaria
Eric Blot, restauratore e storico degli strumenti
Fausto Cacciatori, restauratore e storico degli strumenti
Francesca Odling, insegnante Conservatorio G. Verdi di Torino
ore 21 Teatro Sociale "Giorgio Busca", Alba
Francis Duroy violino, Michel Bourdoncle pianoforte
Domenica 18 novembre
ore 11 Chiesa di Santa Caterina, Alba
Quintetto d'archi dell'Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Roberto Ranfaldi, Roberto Righetti violini, Matilde Scarponi viola, Pierpaolo Toso violoncello, Augusto Salentini contrabbasso
ore 16,30 Palazzo Comunale di Barbaresco
Scopertura Targa celebrativa dedicata a Giuseppe Rocca
ore 17 Chiesa di San Giovanni Battista · Barbaresco
Andrea Cardinale violino, Alessandro Magnasco pianoforte
ore 21 Chiesa di Santa Caterina, Alba
Tomoko Akasaka viola, Deborah Lee pianoforte
Calendario dettagliato giorno per giorno
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Venerdì 16 novembre, ore 21
Auditorium della Fondazione Ferrero, Alba
Saluti
Giuseppe Rossetto
Sindaco della Città di Alba
Relazione introduttiva
Fausto Cacciatori
Trio di Torino
Sergio Lamberto, violino
Umberto Clerici, violoncello
Giacomo Fuga, pianoforte
Programma
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Trio in si bemolle maggiore op. 97 "Arciduca"
Frank Bridge (1879-1941)
Trio n. 1 in do minore "Fantasy Trio"
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Sabato 17 novembre
Chiesa di Santa Caterina
ore 12
Inaugurazione esposizione di strumenti "Giuseppe Rocca"
ore 15
Giornata di studio su Giuseppe Rocca
Saluti
Ivana Miroglio, Assessore alla Cultura Comune di Alba
Alberto Bianco, Sindaco di Barbaresco
Relazioni
Gianni Accornero, storico dell'arte liutaria
Eric Blot, restauratore e storico degli strumenti
Fausto Cacciatori, restauratore e storico degli strumenti
Francesca Odling, insegnante Conservatorio G. Verdi di Torino
Elenco degli strumenti in mostra:
violino Giuseppe Rocca 1839 *
violino Giuseppe Rocca 1848 *
viola Giuseppe Rocca 1855 *
violino Giuseppe Rocca 1856 *
violino Giuseppe Rocca 1860 **
* Collezione privata
** Collezione Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino
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Sabato 17 novembre, ore 21
Teatro Sociale "G. Busca", Alba
Saluti
Sen. Paolo Bodini
Presidente Ente Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco di Cremona
Francis Duroy, violino
Michel Bourdoncle, pianoforte
programma
Johannes Brahms (1833-1897)
Sonata n. 3 in re minore per violino e pianoforte op. 108
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Partita n. 2 in re minore per violino solo BWV 1004
Maurice Ravel (1875-1937)
Sonata n.1 in sol maggiore per violino e pianoforte op. 78
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Domenica 18 novembre, ore 11
Chiesa di Santa Caterina, Alba
Quintetto d'archi dell'Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Roberto Ranfaldi, Roberto Righetti violino
Matilde Scarponi viola
Pierpaolo Toso violoncello
Augusto Salentini contrabbasso
Programma
Gioachino Rossini (1792-1868)
Sonata a quattro n. 1 in sol maggiore per due violini, violoncello e contrabbasso
Sonata a quattro n. 3 in do maggiore per due violini, violoncello e contrabbasso
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Divertimento n. 1 in re maggiore per archi K136
Divertimento n. 2 in si bemolle maggiore per archi K137
Divertimento n. 3 in fa maggiore per archi K138
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Domenica 18 novembre
ore 16,30
Palazzo Comunale di Barbaresco
Scopertura Targa celebrativa dedicata a Giuseppe Rocca
ore 17
Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, Barbaresco
Andrea Cardinale, violino
Alessandro Magnasco, pianoforte
Programma
W. A. Mozart (1756-1791)
Sonata in mi minore per violino e pianoforte KV 304
Niccolò Paganini (1782-1840)
Variazioni su "Di tanti palpiti" da Tancredi di Rossini op. 13
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata in fa maggiore op. 24 "Primavera"
Robert Schumann (1810-1856)
Sonata in la minore op. 105
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Domenica 18 novembre, ore 11
Chiesa di Santa Caterina, Alba
Tomoko Akasaka, viola
Deborah Lee, pianoforte
Robert Schumann (1810-1856)
Märchenbilder per viola e pianoforte op. 113
Benjamin Britten (1913-1976)
Lachrymae op. 48 (Reflections on a song of John Dowland)
Franz Schubert (1797-1828)
Sonata in la minore "Arpeggione" D821
Giuseppe Rocca
27 aprile 1807 - 27 gennaio 1865
La vita di Giuseppe Rocca, è penetrata nei legni dei suoi strumenti e vi ha infuso uno spirito inconfondibile. I luoghi, le passioni, i volti e gli umori che sono scorsi in un'esistenza movimentata e drammatica hanno guidato in diversi modi le sgorbie e le lime. Sono nati così alcuni fra i migliori prodotti della liuteria italiana dell'Ottocento, discussi e discutibili come tutto ciò che rivela un forte carattere, tuttavia sempre più apprezzati e ricercati.
Due furono i modelli ispiratori di Rocca: il primo, lo stile di Giovanni Francesco Prassenda, il celebre maestro di cui fu allievo e collaboratore; il secondo, che ha reso liuteria di Rocca una delle più interessanti del diciannovesimo secolo, è quello della liuteria classica italiana, di Guarneri e Stradivari. Dai due maestri cremonesi egli riprese i modelli e le caratteristiche costruttive, realizzando strumenti precisi e accurati, pur senza rinunciare al suo talento ed all'equilibrata inventiva personale. Infatti, nelle sue copie dei capolavori cremonesi, si impongono immediatamente alla vista elementi autonomi, tra i quali un certo appiattimento del bordo, piuttosto spigoloso, simile a quello che si ritrova in analoghi lavori della scuola francese. A questo proposito, è interessante osservare che le interpretazioni del modello Stradivari da parte dei liutai d'Oltralpe, sebbene nate in un periodo più tardo, ripropongono tale soluzione che Rocca aveva anticipato: questo dato, insieme ai risultati che al confronto appaiono ben più variegati e interessanti, dà ulteriore misura delle doti del liutaio piemontese.
In tutta la sua produzione, pur se con una certa disomogeneità dovuta a drammi personali, problemi di salute e a mutazioni della condizione economica, la qualità tecnica e artistica è sempre alta. Soprattutto, i suoi strumenti posseggono un'ottima e affascinante sonorità, tale da renderli oggigiorno sempre più ricercati ed apprezzati, considerati a buon titolo tra i migliori dell'Ottocento italiano.
Giuseppe Antonio Rocca ebbe i natali a Barbaresco, il piccolo comune piemontese nei pressi di Alba da cui prende il nome un vino celebre e pregiato. Nacque il 27 aprile 1807 da Giovanni Battista e Maria Teresa Racca: è impossibile determinare se il cognome fosse davvero Racca e in seguito arbitrariamente modificato da Giuseppe, oppure semplice frutto di un errore di trascrizione su qualche registro. Setacciando gli archivi comunali, emerge ben poco, se non il quadro di una famiglia di origini modeste: i suoi genitori e gli zii erano analfabeti, come del resto gran parte della popolazione italiana a quei tempi.
Nulla di più è dato sapere, poiché i primi riferimenti scritti sulla vita di Giuseppe risalgono solo al 1827, quando egli partì per il servizio militare: le descrizioni delle liste di leva lo ritraggono come un uomo bruno e di media statura. L'anno seguente, al suo ritorno, si sposò con Anna Maria Calissano, figlia di una nota ed agiata famiglia di commercianti albesi: probabilmente grazie al sostegno economico dei suoceri, il giovane iniziò subito una propria attività di pastaio e panettiere nel centro di Alba.
Sembravano aprirsi le prospettive di un periodo sereno e invece cominciò una serie di lutti e disavventure che non abbandonò Rocca in tutto l'arco della sua vita. Prima data infausta fu il 16 dicembre 1830, in cui, forse per conseguenza di un'epidemia, morirono sia la madre che la sorella. Poco più di un anno più tardi, il 24 marzo del 1832, nacque la sua prima figlia, battezzata col nome di Teresa, Anna Maria, Vittoria, Vincenza, secondo quanto si legge sul libro dei battezzati della Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista in Barbaresco: il momento di felicità familiare non durò a lungo, poiché il 4 settembre 1834 Anna Maria Calissano morì all'età di soli 25 anni, lasciando il marito e la bambina. Questi drammi contribuirono con ogni probabilità a far maturare nel giovane vedovo la decisione di dare un corso nuovo alla sua esistenza e di trasferirsi subito a Torino.
Fino a questa data non siamo al corrente di alcuna relazione diretta di Rocca con il mondo della liuteria e nemmeno con la vita musicale in genere. Unico aneddoto è quanto appare nel libro di Romano Marengo qui congiuntamente ripubblicato, nel quale l'autore scrive: " verso i 18 anni essendogli venuto il capriccio di fare un contrabbasso, adoperò il legno della madia, e poi con tutto il rimanente di quel legname vecchissimo costrusse viole e violini apponendovi cartellini datati da Alba col nome di Giuseppe Antonio Rocca, e qui a semplice titolo di curiosità si fa notare la differenza da lui apportata al proprio nome".
Se da un lato difficile accertare la veridicità di questo episodio, dall'altro può destare qualche ragionevole perplessità il fatto che il futuro creatore di strumenti tanto pregevoli non si fosse mai cimentato nell'arte del legno fin quasi alla soglia dei trent'anni.
Ad ogni modo, lo ritroviamo nella capitale sabauda come apprendista presso il laboratorio di Giovanni Francesco Pressenda, liutaio già piuttosto affermato. Ovviamente, la facile relazione è quella della conterraneità, essendo il Pressenda nativo di Lequio Berria, un piccolo borgo, anch'esso poco distante da Alba; non sappiamo tuttavia se il primo incontro fra i due avvenne a Torino o se già si conoscessero.
Non poco deve aver giovato sull'umore e sulla crescita umana del discepolo la presenza di Pressenda, la cui vita, contrariamente a quella movimentata e drammatica di Rocca, fu invece scandita da un ritmo regolare e sereno. Nel suo laboratorio il maestro lasciò ampio spazio ad allievi e collaboratori, dando loro l'opportunità di lavorare su parti estese e fondamentali degli strumenti in costruzione.
Giuseppe Rocca iniziò così ad apprendere i più profondi segreti dell'arte e della tecnica della liuteria.
Il 16 dicembre 1837, suggellando un periodo professionalmente ed umanamente felice, egli si sposò in seconde nozze con la torinese Caterina Barone e, dopo tre anni di apprendistato nella bottega di Pressenda, decise di aprire un suo laboratorio autonomo. Questo duplice cambiamento della sua vita necessitava di risorse finanziarie: si rivolse, come era suo diritto, al padre della prima moglie e, sebbene tramite una complicata procedura di cessione del credito, alla fine ottenne una somma che gli permise di affrontare le spese previste.
Purtroppo i suoi piani subirono ancora un brusco cambiamento. Giuseppe e sua moglie si ammalarono entrambi gravemente, un fatto ancora più inopportuno se coincidente all'inizio di una nuova attività: ai mancati guadagni e agli impegni finanziari già contratti per l'avviamento del laboratorio si aggiunsero così nuovi e crescenti debiti per il sostentamento e per le cure. La sfortunata coppia, ad appena sei mesi dalle nozze, precipitò in un tracollo economico grave e inaspettato, al punto che Giuseppe Rocca dovette richiedere l'assistenza sociale, dichiarando pubblicamente il proprio stato di povertà. Tale stato consentiva tuttavia l'accesso ad una procedura particolare e complessa per ottenere del riscatto della dote: la coppia potè così disporre di una somma che le consentì di sanare almeno in parte i debiti contratti e di darsi nuove prospettive di vita.
Superate ancora una volta le avversità del destino, Rocca potè aprire i battenti del proprio laboratorio, al numero 10 della centralissima via Po, poco distante dalla sede dello stesso Pressenda. Non disponendo di un nome affermato né di una clientela, il giovane e intraprendente liutaio iniziò costruendo strumenti per il suo maestro. In pratica continuò quanto già faceva come apprendista del laboratorio di Pressenda, stavolta però occupandosi dell'intero processo costruttivo: secondo l'antica consuetudine che vigeva nelle botteghe e nei laboratori d'ogni genere d'arte, interveniva quindi il maestro più esperto e affermato ad ultimare e a firmare le opere, in questo caso gli strumenti, che venivano forniti senza la verniciatura. Non a caso, diversi pezzi di Pressenda risalenti a quegli anni denotano tratti stilistici di Rocca, che aveva sviluppato un talento individuale, un originale estro che si sovrapponeva alla tecnica e ai modelli interiorizzati durante l'apprendistato. Certamente questo ulteriore periodo di vicinanza col maestro, che conferma il buon rapporto instauratosi negli anni, giovò sicuramente a Rocca nei primi passi verso la completa autonomia e gli permise di continuare un proficuo processo maturazione artistica e umana.
Fu nuovamente breve la serenità di Giuseppe: il 7 settembre del 1839 il padre Giovanni Battista morì ad Alba. Un altro lutto che, oltre a turbare il clima necessario per procedere al meglio nella sua professione, aggiunse complicazioni organizzative e burocratiche, inasprendo altretutto i rapporti familiari con Margarita Tarditi, la donna che il padre Giovanni Battista aveva sposato in seconde nozze nel 1837.
Giuseppe Rocca era stato nominato dal padre erede universale, ma ciò, invece di confortarlo almeno dal punto di vista della stabilità economica, lo costrinse a dispute testamentarie con la Tarditi, trascinandolo in una serie di questioni riguardanti le proprietà immobiliari, annose e irrisolte vicende di dote, di crediti, di ipoteche. La contesa, che durò per diversi anni, proseguì fino al concordato legale e finalmente, nonostante l'accordo economico non fosse stato così vantaggioso, permise a Rocca di voltare pagina per proseguire speditamente nel suo avventuroso cammino.
Tornò a Torino, ma dopo appena un anno, per far fronte ai debiti pregressi ed a quelli che aveva contratto per sistemare l'accordo legale, dovette far rapido ritorno ad Alba e vendere la casa di sua proprietà, che aveva tenuto dal lascito testamentario paterno. Il destino si accanì ulteriormente quando peggiorarono le condizioni di salute della moglie, Caterina Barone: la crisi fu talmente grave da far temere a Caterina un esito fatale, tanto da indurla a mettere per iscritto le sue ultime volontà testamentarie, nelle quali Giuseppe veniva indicato come suo erede universale. Malgrado ciò, la donna si riebbe dalla malattia, ma poco più tardi, il 23 gennaio del 1842, un nuovo crollo le fu fatale.
Uomo di carattere tenace e combattivo, già temprato dai drammi della vita, Giuseppe Rocca seppe superare di slancio il dolore di questa seconda vedovanza e, dopo appena alcuni mesi, convolò sorprendentemente a nozze per la terza volta con Giuseppa Quarelli, giovane nipote di Caterina, la moglie appena defunta. Dopo appena un anno di matrimonio, che sicuramente doveva aver provocato qualche scandalo, nacque il primo figlio della coppia: Giovanni Battista Lorenzo Luigi. Al primogenito seguirono Francesco Isonzo ed Enrico Luigi.
Tra il 1842 e il 1843, l'evoluzione professionale di Rocca ebbe un impulso enorme dal confronto con opere dei più grandi liutai della storia. Un noto commerciante lombardo, Luigi Tarisio, attivo principalmente sulle piazze di Londra e Parigi, ebbe a disposizione alcuni dei più pregiati strumenti della liuteria classica, in particolare alcuni Stradivari, tra cui con ogni probabilità quello noto come il Messia, (appartenuto prima al conte Cozio di Salabue, quindi allo stesso Tarisio ed in seguito a Vuillaume), ed il famoso violino Guarneri del Gesù del 1742, conosciuto con il nome Alard, dal nome del celebre virtuoso che lo possedette, Delphin Alard (1815-1888).
Il liutaio piemontese potè avere tra le sue mani questi capolavori irripetibili ed il suo estro fu folgorato al punto che egli sentì di dover indirizzare in questa nuova via tutti i suoi successivi sforzi di ricerca. Se fino a quel momento il suo unico modello di riferimento era stato quello di Pressenda, la conoscenza mutuata dai grandi Cremonesi gli fece concepire un modo diverso di realizzare gli strumenti: il contatto con siffatti esemplari non rappresentò tuttavia un azzeramento delle esperienze pregresse, bensì un modo di svilupparle sotto una nuova luce.
Giuseppe Rocca fu così tra i primi in Italia ad utilizzare i modelli Guarneri del Gesù. Pur partendo da un rigoroso rispetto del progetto costruttivo originale, egli seppe andare al di là della copia, realizzando un'interpretazione sobria ma personale, al passo con i tempi e con una nuova sensibilità.
Le tempeste della vita sembravano definitivamente alle spalle: la felicità coniugale, la nascita dei figli, la maturità acquisita, la stima professionale e le conseguenti soddisfazioni economiche.
Continuando nella cronologia dei fatti, citiamo la sua partecipazione nel 1844 alla IV Esposizione d'industria e di belle arti di Torino, nel 1846 alla Mostra di Genova, e poi di nuovo a Torino nel 1850. La presenza in questi eventi, che avrebbe dovuto procurare occasioni di farsi conoscere ed apprezzare, risultò lontana dai risultati auspicati: si pensi che nelle due esposizioni torinesi non gli fu riconosciuto null'altro che una semplice medaglia d'incoraggiamento.
Attorno al 1848 si trasferì in un nuovo laboratorio torinese, in via delle Rosine 4, sempre a pochi passi da quello di Pressenda.
Il 13 dicembre 1850 perse anche la terza moglie, Giuseppa Quarelli, che morì di tisi. Stavolta il dolore di Giuseppe era aggravato da un ultriore peso: la responsabiltà dei tre figli piccoli. Il minore, Enrico, aveva poco più di tre anni e sarebbe stato l'unico discendente a seguire le orme del padre nel campo della liuteria.
Mai rassegnato di fronte alla sorte avversa e presumibilmente bisognoso di dare alla prole una figura materna, appena otto mesi dall'ultima vedovanza Giuseppe si risposò a Genova con la giovanissima Serafina Dodero di ventitrè anni. Da quel momento, o forse da poco prima, cominciò ad alternarsi tra i due domicili professionali, Torino e Genova, pur mantenendo una maggior assiduità nella capitale piemontese, anche per ragioni di continuità con la committenza.
Questa nuova sfida umana coincideva con un periodo di soddisfazioni mai avute in tutta la sua carriera. Tuttavia, ciò non bastava a lenire le sofferenze di uno spirito pur così saldo e caparbio: sempre più spesso il suo equilibrio vacillava e lo spingeva a cercare conforto nell'alcool. Evidentemente, il continuo disordine esistenziale che la vita gli aveva riservato si era sedimentato in lui e aveva cominciato a lederlo.
Il desiderio di farsi conoscere comunque continuò e, nel 1851, prese parte alla Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations di Londra, presentando due violini su modello Stradivari e Guarneri, gli unici due che ormai utilizzava. Anche qui i risultati furono deludenti, al pari della partecipazione alla Mostra di Genova nel 1854, dove si dovette accontentare della medaglia di bronzo, e, nell'anno seguente, a quella di Parigi, in cui ottenne una semplice menzione d'onore.
Nel frattempo, dal 1851, Rocca aveva preso domicilio stabile a Genova al fine di rinsaldare l'unità familiare, sebbene continuasse a recarsi frequentemente a Torino per non perdere la vecchia clientela. Questa soluzione di fatto non poneva rimedio alla sua esistenza vagabonda e non mitigava i suoi disagi.
Anche l'ultima moglie morì. Poche notizie al riguardo, ma in questa realtà sempre più distorta, Rocca si accostò all'altare per la quinta volta: sposò Filomena Defranchi, di professione cucitrice.
Il 1857 lo vide sempre più in balia di una vita sregolata. Il suo laboratorio si sposta in diversi indirizzi di Torino, più o meno noti o rappresentativi, come si desume dai recapiti lasciati alle Mostre a cui partecipò o dalle guide commerciali della città. L'anno seguente risiedette stabilmente a Genova, come si può desumere dalle etichette apposte sugli strumenti prodotti, tutte con riferimento alla città ligure. Soltanto nel 1861 Rocca fece ritorno a Torino: fissò l'indirizzo professionale al numero 57 di via Po, la stessa strada dove, poco più in là, aprì il suo primo laboratorio.
Questi furono gli anni in cui la sua produzione risentì della maggior discontinuità qualitativa. Sicuramente una vita costellata da così tante disgrazie e vicissitudini non favorì il suo estro. Pee giunta, il particolare periodo storico, con le guerre d'Indipendenza e infine l'Unità d'Italia, non rese facile il reperimento di materiali adeguati alle sue capacità costruttive: il fervore bellico e i problemi sociali facevano passare in second'ordine l'attenzione verso una raffinata produzione artigianale.
Finalmente l'Esposizione di Firenze del 1861 portò a Rocca un riconoscimento, benché egli non fosse negli anni più felici per la sua produzione. Riportiamo le citazioni vergate sul Catalogo di detta esposizione, riferite al riconoscimento: "Rocca Giuseppe di Torino, espose tre violini del prezzo di lire 150 l'uno, una viola dello stesso presso, ed un'arpichitarra. I violini non sono tutti dello stesso pregio: in generale però li strumenti di questo fabbricante hanno bella qualità di suono e rendon bene, benché il lavoro sia alquanto ordinario, e la vernice disunita, tanto che sembri non sieno per ancho del tutto finiti" .
Ancora un trasferimento, questa volta preludio alla tragica fine del suo vagabondare: dal 1863 prende nuovamente residenza a Genova. Come riporta il già citato volume di Romano Marengo, La Gazzetta di Genova del 28 Gennaio 1865 riporta le seguente notizia: « Ieri sulle undici del mattino, nel pozzo di un giardino del marchese De Ferrari a Porta Pila, rinvennesi il cadavere di certo Rocca Giuseppe da Barbaresco d'Alba, fabbricante di strumenti a corda qui dimorante. Credesi infortunio ». Aggiunge il testo di Marengo: "Alterato dal vino e non più padrone di sé, disgraziatamente era caduto dentro a quel pozzo trovandovi la morte e l'orologio che teneva in tasca fu trovato fermo alle 2¾ come risulta da un rapporto della Polizia al Giudice istruttore. Il suo cadavere fu sepolto il 28 Gennaio 1865 nel cimitero della Parrocchia di San Francesco d'Albaro presso Genova".
Giuseppe Rocca, uno tra i più apprezzati liutai dell'Ottocento italiano, terminava in questo tragico epilogo, la sua vita drammatica ed intensa.
Dino Bosco
Gli Strumenti in Mostra
L'arte di Giuseppe Rocca: un patrimonio culturale da tutelare e rivalutare
di Giovanni Accornero
Rievocare personaggi, aspetti della loro vita e della loro arte, attraverso la storia che li ha visti protagonisti, riscoprendo tradizioni che appartengono alla nostra terra, alle nostre radici culturali, è certamente uno dei più importanti compiti nello svolgimento di un'attività istituzionale rivolta alla riaffermazione del territorio. Se poi questo prezioso lavoro è supportato sul piano della ricerca e della documentazione archivistica da studi, convegni, mostre e pubblicazioni tali da contribuire a far riconoscere un artista come figura di spicco nel mondo della cultura internazionale, allora si compie un'operazione utile a valorizzare notevolmente il nostro patrimonio storico e di conseguenza la nostra economia territoriale.
Ho accettato con entusiasmo di partecipare a questa giornata di studi su Giuseppe Rocca, senza dubbio uno dei più grandi artisti nel panorama della liuteria internazionale ad arco dell'Ottocento, perché credo che un personaggio di tale rilevanza meriti di essere riconsiderato attraverso una visione artistica di più ampio respiro. Credo anche che questo momento, unitamente a tutto il lavoro che studiosi, ricercatori, collezionisti, musicisti ed appassionati hanno svolto in precedenza, possa essere motivo forte perché l'esile ma tenace filo che lega il presente al passato possa trasmettere chiari messaggi alle generazioni presenti e future, alle quali compete l'obbligo di evitare che l'inarrestabile fluire del tempo possa stendere un velo di totale oblio su ciò che invece merita di essere ricordato e valorizzato.
Con altrettanto entusiasmo ho accettato l'incarico di ricercare e scegliere gli strumenti della piccola ma ricca esposizione: si tratta di quattro violini e una viola, autentici capolavori del grande maestro torinese, che coprono l'intero arco temporale artistico di Giuseppe Rocca; sono tutti in eccezionale stato di conservazione, alcuni anche con un'interessante storia.
Procedendo in ordine cronologico, il primo strumento, che porta un'etichetta datata 1839, è un esempio classico del periodo giovanile di Giuseppe Rocca. Questi si era formato nella bottega di Giovanni Francesco Pressenda, con il quale aveva collaborato dal 1835 circa fino al 1838, anno in cui decise, con grande coraggio, di intraprendere la carriera di liutaio in un proprio laboratorio, continuando in ogni caso a costruire violini in bianco per il suo maestro, che aveva passato da poco i sessant'anni.
Personalmente ritengo che il breve periodo compreso tra il 1838 e il 1842 sia senza dubbio uno dei più interessanti nello svolgersi della produzione artistica di Giuseppe Rocca. Infatti, durante questi anni, possiamo notare che, pur restando evidente l'influenza del lavoro di Pressenda, questo viene elaborato in modo personale: sono evidenti tutta la voglia di chi vuole scrollarsi di dosso il ruolo di "allievo", soprattutto nei confronti di una figura così carismatica come quella di Pressenda, ma anche la grinta di chi, consapevole del proprio talento, vuole uscire dall'anonimato per presentarsi al pubblico di musicisti colti e raffinati, allora rappresentato dalla piazza torinese.
Ho avuto modo di studiare con attenzione diversi violini datati tra il 1839 e il 1842 ed è interessante evidenziare che, pur rimanendo legato ad un'idea di modello che ricorda quello del suo maestro, Rocca sperimenta in continuazione, variandolo leggermente nelle dimensioni, nelle arcature, negli spessori e nel tipo di vernice. Addirittura, paragonando tra loro tre violini del 1839, si notano sottili differenze che ribadiscono questa incessante ricerca volta a migliorare non solo il lato estetico dei suoi strumenti, ma soprattutto quello acustico. Mettendo poi a confronto questi strumenti con alcuni violini di Pressenda datati 1838, ma palesemente costruiti dal suo allievo, possiamo affermare senza più riserve che proprio in quell'anno Rocca ideò un proprio modello; modello che si può considerare a tutti gli effetti l'unico veramente originale da lui creato, per quanto comunque influenzato dal lavoro del suo maestro.
Prendendo ora in considerazione il violino costruito a Torino nel 1848, si nota con evidenza che in un secondo tempo l'evoluzione stilistica di Rocca si riferì, con stretta attinenza, a modelli classici cremonesi. Infatti, dal 1842 circa, Rocca ebbe l'opportunità di vedere - e probabilmente anche assimilare - le caratteristiche salienti di due eccezionali strumenti che diedero una svolta alla sua produzione: si trattava del violino Antonio Stradivari del 1716, più noto al grande pubblico con l'appellativo di "Messia", oggi conservato all'"Ashmolean Museum" di Oxford, e del violino Giuseppe Guarneri "del Gesù" conservato al "Musée de la Musique" di Parigi, denominato "Alard" dal cognome del suo ultimo proprietario, il virtuoso parigino Delphin Alard.
Probabilmente fu Luigi Tarisio, noto mercante piemontese di strumenti ad arco, originario di Fontaneto d'Agogna in provincia di Novara, a dare l'opportunità al promettente liutaio di avere tra le mani questi due capolavori: da quel momento Rocca non solo rielaborò tutto il loro classicismo con grande forza espressiva, personalità e carattere ma li interpretò in modo estremamente moderno, creando opere di altissimo livello artistico.
Questo violino ne è un esempio strepitoso per la qualità del lavoro: preciso ma senza rigidità e freddezza, raffinato ma senza esasperanti eccessi, armonioso ed equilibrato in una visione d'insieme "classicamente" moderna; il tutto è ricoperto da una splendida vernice di colore arancio, stesa su un sottofondo dorato.
E' interessante evidenziare che durante i primi anni del secolo scorso questo strumento fu acquistato dal grande liutaio torinese Annibale Fagnola, un seguace di Pressenda, Rocca e Guadagnini: questo violino rappresentò per tutta la sua vita la fonte d'ispirazione per gli strumenti costruiti su modello Rocca. Fagnola non volle mai separarsi da questo capolavoro perché ne aveva colto, oltre alle qualità acustiche, anche la bellezza estetica, messa ancor più in risalto da quella patina di "vissuto" dovuto all'utilizzo negli anni. Il nipote di Fagnola, ricordando le visite di alcuni importanti commercianti inglesi ed americani presso il laboratorio dello zio, mi confidò che più volte tentarono di acquistare lo strumento, che chiamavano scherzosamente "Little Messia", con offerte molto alte, sopratutto se rapportate al prezzo di mercato di un violino Rocca in quel periodo.
Con grande gioia da parte nostra e dei proprietari, che sentitamente ringrazio, lo strumento viene oggi esposto per la prima volta al pubblico.
Una rara viola del 1855 ben si inserisce in questa breve ma qualitativamente sostanziosa rassegna di opere. Anche questo strumento, che fino a pochi anni fa portava ancora il suo manico originale, si trova in uno stato di conservazione invidiabile. Costruita a Torino, e non a Genova come erroneamente asserito in precedenti pubblicazioni, la viola ricalca inconfondibilmente il lavoro più genuino e spontaneo di Rocca, frutto di un'esperienza ormai consolidata negli anni.
La misura dello strumento, con una cassa armonica di 40 centimetri, si inserisce in un segmento di buona fruibilità per i musicisti moderni, se si tiene conto che la maggior parte delle viole di quell'epoca erano di misura inferiore alla presente. Da evidenziare la fornitura di legname impiegato per la costruzione, di ottima qualità, soprattutto per l'acero della tavola di fondo realizzata in un sol pezzo. La vernice di colore arancio bruno su fondo giallo è più sottile rispetto ai precedenti lavori, ma in ogni caso esteticamente piacevole. La scultura risulta, nel complesso, un poco tagliente, ma ciò non toglie armoniosità ed equilibrio all'insieme, facendo di questo strumento un magnifico esempio del lavoro di questo grande maestro piemontese.
Il violino datato 1856 fu costruito utilizzando lo stesso modello del precedente: Rocca in quel periodo viaggiava frequentemente tra Torino e Genova, dove si era trasferito intorno al 1851.
Non si conoscono le ragioni per le quali Rocca si fosse stabilito a Genova, ma è probabile che il bisogno di lavoro - e di conseguenza di nuova clientela - lo spinse a spostarsi nella città ligure senza però abbandonare l'attività nella città piemontese. Infatti, nel 1857 lo troviamo citato sulle guide commerciali di Torino "…. sotto i portici del Teatro Nazionale.".
Lo stato di conservazione di questo strumento è incredibile: si tratta di uno dei rari esemplari che oggi potrebbe essere usato come fonte di studio completa , poiché si trova nelle originali condizioni in cui lo stesso Rocca lo consegnò al fortunato committente, nel lontano 1856.
Non solo è apprezzabile l'integrità del violino, la cui vernice conserva ancora elementi come spessore, colore e luminosità degni di nota, ma sono da evidenziare anche tutti gli accessori che, ad esclusione del ponticello e delle corde, sono totalmente originali: la tastiera, scollatasi durante gli anni, ha rivelato al di sotto della stessa, sul manico dello strumento, la firma autografa di Giuseppe Rocca. Il violino è stato ultimamente apprezzato nel corso di numerosi concerti sia per la generosa emissione sonora sia per le raffinate qualità acustiche.
Per sottolineare ancor più l'importanza dello stato di conservazione di questo strumento riporto lo stralcio di una lettera che l'esperto londinese Charles Beare volle scrivere, unitamente ad un certificato di autenticità, in occasione della visione del violino:
"Questo strumento appare oggi ai nostri occhi come il " Messia" Stradivari deve essere apparso agli occhi di Vuillaume quando lo acquistò da Tarisio nel 1855! Non solo la cassa armonica dello strumento con il suo manico e la sua testa sono conservati nelle condizioni originali, come usciti dalle mani dell'autore ma è probabile che anche i piroli, la tastiera, la cordiera con il suo bottone siano tali. Ha destato particolare interesse tra noi la fotografia che ci è stata mostrata riguardante la firma di Giuseppe Rocca posta sul manico, al di sotto della tastiera: anche questa è per noi assolutamente autentica. Io spero che questo violino rimanga, in futuro, nello stesso eccellente stato di conservazione come, noi oggi, lo abbiamo potuto fortunatamente ammirare.
Chiude l'insieme espositivo un eccellente violino dell'ultimo periodo di Giuseppe Rocca, costruito a Torino nell'anno 1860 su modello Guarneri "del Gesù" e conservato nella collezione di strumenti musicali del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino: per questo strumento ha scritto la dottoressa Francesca Odling, curatrice della collezione ed insegnante al Conservatorio Giuseppe Verdi.
Prima di concludere vorrei ancora soffermarmi sulla considerazione di partenza, ovvero quanto sia importante assimilare il vero valore del nostro patrimonio artistico, soprattutto se questo ci riguarda da vicino, come nel caso delle opere di Giuseppe Rocca e di altri grandi maestri piemontesi.
Se da una parte ci sono storie di fantastici oggetti artistici, di grande pregio, che in un primo tempo hanno fatto il giro del mondo in nome, ad esempio, di una moda, salvo poi venire malinconicamente rifiutati quando il gusto ha virato in direzione diametralmente opposta, dall'altra esistono saggi processi di recupero su oggetti il cui valore è assoluto e indipendente dai cambiamenti repentini di mode e gusti.
Il nostro compito è di recuperare, tutelare e valorizzare queste opere d'arte nell'ambito del nostro patrimonio artistico musicale, cercando di farlo non soltanto nella forma ma anche nella sostanza.
Per spiegare meglio da dove nascono e dove vorrebbero portare queste mie considerazioni vorrei concludere citando Maurice Rheims, decano dei "Commissaires-priseurs" francesi, che ha scritto: " Certi oggetti, come i profeti, spesso non sono molto ben accolti nel paese d'origine; per avere successo devono espatriare e soltanto in un secondo tempo il paese che li ha veduti nascere li accoglie a prezzo d'oro, rimpiangendo d'aver lasciato partire testimonianze del proprio genio ".
Non lasciamo che questa amara considerazione continui a rimanere una triste verità.
Giovanni Accornero
Alba Music Festival < promozione@albamusicfestival.com>
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