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venerdì 19 dicembre 2008
Sette enti italiani autorizzati alle adozioni in Bielorussia pronti a rimettere il loro mandato
E la ripercussione sul piano umano è che 600 famiglie italiane, mille e duecento coniugi, le cui pratiche giacciono da almeno 4 anni e senza successo sulle scrivanie degli enti di mediazione vedono allontanarsi ancora di più il desiderio di dare stabilità affettiva ed educativa ad altrettanti bambini e adolescenti che affollano i molti istituti dello Stato bielorusso.
E il dramma è se possibile ancor più pesante se si pensa che le due parti che non riescono a ricongiungersi si conoscono da tempo e sono impotenti, disilluse, fiaccate da attese snervanti, ma intenzionate a tener viva la fiammella della speranza. L’Italia è, tra i Paesi europei e non, al primo posto in una gara di solidarietà verso i cosiddetti bambini di Chernobyl. Sono 25mila i nuclei familiari che attraverso associazioni di volontariato offrono ospitalità temporanea a minorenni bielorussi. Normale che chi apre le porte di casa e del cuore, in maniera casuale, a giovani senza padre né madre sviluppi il desiderio di coprirne il ruolo, magari attraverso l’adozione. Ma non si pensi ad una premeditazione, ad una scorciatoia per avere figli in adozione: a fronte di migliaia di famiglie accoglienti (a carico delle quali e delle associazioni di volontariato referenti sono tutti gli oneri: viaggio aereo, mantenimento, cure..), “solo” 600, negli ultimi 4 anni hanno avanzato domanda di adozione verso ragazzini grandicelli, poiché al loro primo ingresso in Italia devono aver compiuto i 7 anni.
Le motivazioni addotte dalla Russia Bianca ai dinieghi all’adozione, spesso appaiono immotivate, pretestuose. “Nella nostra banca dati - fa sapere il loro Ministero dell’Istruzione - non compaiono minorenni adottabili”. Eppure, sono 30mila gli orfani, compresi quei 600, diversi dei quali hanno raggiunto la maggior età, che continuano a vivere negli istituti.
Una nuova politica sociale della Russia Bianca si orienta, entro i prossimi 5 anni, alla chiusura degli “internat” e alla costituzione di case famiglia, all’incentivazione da parte di cittadini bielorussi all’affido e all’adozione interna. Intendimenti condivisibili, ma secondo le coppie italiane adottanti, (che insieme al conferimento dell’incarico agli enti hanno pure versato quote di iscrizione, pagato traduzioni e prodotto una complicata documentazione sul proprio stato di salute e patrimoniale), il pregresso va sanato e soprattutto va rispettato un accordo bilaterale sulle adozioni “mirate”, ovvero nominative, datato marzo 2007, l’unico che la Bielorussia abbia stipulato, al pari delle accoglienze “a tempo”, con un paese straniero. Investito della questione, l’onorevole Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e presidente dalla Commissione adozioni internazionali ha dichiarato il caso di spettanza del Ministero degli Esteri. Ma se il Coordinamento famiglie adottanti nonostante gli innumerevoli, quanto inconcludenti, fino ad oggi, contatti con politici ed esponenti di governo, continua a tenere un comportamento di estrema correttezza e uno spiraglio di speranza, c’è anche chi (è il caso di 16 famiglie iscritte all’ente La Cicogna di Lanciano), ha deciso autonomamente e in maniera provocatoria, di dare incarico ad un legale di promuovere contro la Bielorussia una causa di risarcimento per danni morali alle famiglie e agli adottandi per aver disatteso le loro aspettative.
Per approfondimenti e maggiori informazioni: Raffaella Candoli (Cesena) tel. 338 8536817
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