Se un’amicizia sincera può darci conforto, se appena “svegli” da un sogno speciale, possiamo gustare ancora l’aroma di un buon caffè, allora voglio morire. Non è un sondino, non c’è “alimentazione” che possa dirmi se accettare o meno la sfida. Quella che giorno dopo giorno, la vita, quella vera (vissuta),ha destinato per me. La stessa cioè di chi è ancora capace di assaporarne le infinite sfumature. Piangendo o ridendo, stando i pace con sé stessi o infuriandosi all’improvviso, magari accettando poi umilmente l’idea di aver sbagliato. E chiedere scusa. Per tornare sui propri passi.
Non c’è nessuna legge, nessuna “istituzione”, nessuno che dall’alto di uno scranno in legno o di una balconata in marmo può dirmi quando e come “devo” rinunciare a tutto ciò. Perché quando il nostro momento arriva, non deve esserci nessuno a scegliere per noi. E’ la vita stessa, quella di ogni individuo, che fa il suo corso. Il termine di un “viaggio” non può essere prestabilito. Né indotto, né “forzato”. Quando si arriva alla fine, non si può pretendere di tornare indietro come se quel viaggio, non l’avessimo mai intrapreso.
La bugia più grossa, è che amare il vissuto significa per forza non volersene distaccare. Anche quando non siamo in grado di decidere per noi, cosa peraltro impossibile a dirsi.
Quella tazza fumante, il ceffone di chi ci è nemico, l’abbraccio di chi ci ama e il sorriso di chi continuerà dopo di noi non possono essere decisi da altri.
Per tutto questo, per la continua sorpresa che la vita comporta, voglio morire.
Perché quando non posso più esserne parte, allora preferisco lasciare il posto ad altri.
Se così fosse, Vorrei morire, perché amo troppo la vita.
Daniele Memola
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