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venerdì 8 ottobre 2010

Una nuova razza comunicativa: i “Public Relator”

Una nuova razza comunicativa: i “Public Relator”

Anche il mondo del giornalismo ha dovuto fare i conti con le trasformazioni profonde che negli ultimi decenni hanno riguardato un po’ tutti i mezzi di comunicazione. La “mediamorfosi” inarrestabile ha mutato i prodotti, i contenuti, le professionalità e gli stessi giornalisti si sono trovati più volte nella situazione di doversi “reinventare” il mestiere. Le notizie sono in tempo reale per tutti e chiunque può diventarne una fonte, i media sono molti ma la comunicazione non può assorbire tempi spropositati. In questa babele da overload di informazione, una nuova razza comunicativa è venuta in soccorso ai poveri giornalisti sull’orlo di una crisi di nervi: i “Public Relator” o molto più semplicemente PR.
Il settore delle relazioni pubbliche ha imparato bene l’arte di mettere le parole in bocca ai giornalisti, un rapporto di reciproca influenza fatta di comunicati stampa e allegati mandati via email. Da una parte c’è il giornalista che sgomita per avere l’intervista esclusiva e dall’altra il PR che diventa insolitamente loquace o reticente a seconda delle circostanze. Ma fino a che punto le agenzie di pubbliche relazioni riescono ad influenzare il giornalismo? Per fortuna buona parte della produzione dei referenti della stampa viene cestinata, gli annunci che quotidianamente invadono la redazione vengono molto spesso accorciati, indeboliti o integrati con ulteriori informazioni. Segno questo che l’attività delle PR non paralizza automaticamente l’autoricerca da parte dei giornalisti. I problemi iniziano quando si scende al livello delle informazioni commerciali, finanziarie, pubblicitarie e la notizia, nel senso di novità informativa, si stempera in un più ampio concetto di informazione dove giornalismo e pubblicità tendono a confondersi. E’ questa la vera rivoluzione introdotta dai PR. nei loro rapporti con i mezzi di comunicazione: aver messo in crisi il primato della notizia. Stampa, radio e tv sono diventate un naturale obiettivo proprio per la loro capacità di raggiungere milioni di persone. Ogni notizia pubblicata crea valore aggiunto all’argomento cui si riferisce, sia esso un prodotto, una persona o un evento e catturare l’attenzione dell’informazione su di sè il diventa fondamentale. I PR si preoccupano di comunicare nel modo più limpido possibile rendendo il lavoro dei giornalisti più semplice; questi ultimi poi decideranno come e se far filtrare il messaggio. Un patto tacito che però ha anche le sue controindicazioni. Non mancano i PR spesso arroganti e invasivi a cui sembra che tutto sia dovuto, uffici stampa completamente privi di professionalità che incombono sui limiti temporali della giornata lavorativa in redazione, o aziende che si sentono al di sopra del mercato per il solo fatto di esistere e che sfruttano ogni occasione per comparire gratuitamente in eventi magari sponsorizzati da altri. Preghiere che pretendono di poter leggere l’articolo di turno immediatamente dopo il rilascio del comunicato ne arrivano tutti i giorni così come è forte la tentazione di alcuni pr di telecomandare i pezzi giornalistici. E’ questo il prezzo da pagare quando si confonde il mezzo con il fine e gli aspetti sostanziali con quelli di immagine. Sarebbe tempo che i pr in questione (comunque una minoranza rispetto a una categoria che vanta nella maggior parte dei casi veri professionisti) imparassero a chiedere le cose con maggiore delicatezza, a non essere assillanti, a non disturbare sempre il direttore, a rispettare almeno la forma dei rapporti all’interno del grande calderone della comunicazione. Sulla stampa leggeranno poi gli approfondimenti, le analisi, le ricostruzioni, ma questa pretesa di attenzione continua è diventata antipatica. Il “patto”con i giornalisti ci può anche stare, l’importante e non confonderci come una semplice cassa di risonanza cui affidarsi gratuitamente.


Daniele
Memola

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