“Nei vuoti un orlo di pensiero/ Ai
margini una fuga gialla/ L’attimo che zampilla/ sottile/ un fuscello che
affiora/ dalla memoria/ e il vento/ il vento/ il verde/ sono i miei amanti/ Mi
piovono dentro.”
Seconda raccolta poetica di
Nadia Alberici, edita nel 2018 da Negretto Editore in collaborazione con
Gilgamesh Edizioni, Mi prende d’amore una forma gode di una premessa iniziale,
quanto mai completa e accurata, del professor Claudio Borghi.
In finale,
invece, una nota dell’editore Silvano
Negretto che si è occupato di editare la miscellanea della Alberici.
Voce fuori dal coro, la
poetessa Nadia Alberici regala al suo pubblico una silloge intensa e dai
contenuti importanti, la quale contempla
in sé una visione d’insieme che poggia su elementi che fanno parte
dell’universo emotivo dell’autrice.
È un felice connubio quello che
compie la Alberici nella sua raccolta poetica Mi prende d’amore una forma.
Fra immagini evocative, dovute a uno sguardo curioso, volto a cercare
nella natura un altrove, e la parola, intesa come ricerca della verità. Connubio che attraversa le liriche con
forza e al contempo con singolare delicatezza.
“Cospargo di limoni la tua
distanza/ Come fosse un cammino di premure/ La fragranza risuona fine/ Lungo il
setto del senso/ Il tempo ha dislocato sul ciglio…”
Filo conduttore della raccolta
è la percezione di un accadimento, un evento inteso come misterioso, e nascosto
fra le parole; un qualcosa che, per concretizzarsi, deve assumere una forma.
Si tratta forse di una realtà sconosciuta in cui l’anima vorrebbe
rifugiarsi, ma nel timore, forse reale o
forse no, di essere inghiottita dall’oscurità di un pericolo prossimo, scappa?
“Lo sfarfallio di certe promesse/
Sul rosario sommesso della sveglia/ Gli occhi chiusi dell’armadio/ E
l’insensato sostare del comò…”
Sono diversi i temi che
emergono vigorosi dall’intrecciarsi delle parole che, strette le une alle
altre, formano un unicum quanto mai efficace e un importante momento espressivo
dell’autrice.
È attraverso le parole che si crea una fusione in un continuo scambio di pensieri ed emozioni tra il sé della
scrittrice e la realtà cui partecipano i diversi elementi cosmici. Un obbligo sentimentale nei confronti
della natura, fin quasi a fondersi in essa.
Collocate in una dimensione al
di fuori del tempo e dello spazio le liriche si fanno mezzo perché l’io si
identifichi con la natura, in un uso ripetuto e attraverso richiami ricorrenti,
sibilati in un apparente silenzio.
Il silenzio è, infatti, altro motivo
di cui si serve la Nadia Alberici per esprimere il suo sentire.
Un sentire che sposa il
pensiero facendosi parola atta a manifestare il momento creativo, in un
approfondimento che prende forma nei versi.
Il concetto di silenzio si
svela come detentore di verità, condizione essenziale per esprimersi, e
preparare a un luogo colmo di rimpianto per ciò che poteva essere e non è
stato.
I versi in cui l’elemento
silenzio è vigoroso sono quelli che si apprestano a un divenire, dalle
quali si sprigiona un sentimento di malinconia del tempo che fu e torna a farsi
presente.
“A ben pensare i silenzi
aleggiano e odorano/ nella quiete che si stende sulle cose inanimate…”
A seguire, strettamente
connesso al silenzio, è il tempo, inteso come momento che scandisce la provvisorietà
della vita; a volte, invece, si fa dimensione parallela che scorre accanto a
quella reale.
Da qui la dicotomia
tempo-natura che, al confine con l’infinito, volge uno sguardo in un
altrove, in un futuro che pare provenire da un luogo remoto.
È tempo interiore attraverso
cui l’autrice raccoglie frammenti di realtà, per ricomporli in un mosaico
temporale che corrisponde al suo mondo emozionale, parte più autentica del
proprio sé.
“Il tempo/ il tempo/ una crosta
terrestre che aveva l’urgenza di essere percorsa…”
Il mistero. Altro elemento che
aleggia imperioso sulle parole della Alberici, messe al servizio del
pensiero che si fa inchiostro sulla carta, onde sviscerare un istinto primordiale
che offre spazio all’immaginazione. Un mistero che in sé contempla la raffigurazione
della notte che tutto inghiotte.
“… Essere corpo/ essere tutto/ prima
del lutto/ della notte.”
Poi, metafore e similitudini
che vestono di un senso di profondo la raccolta, e si fanno pensieri
annodati da mani nodose ma dall’insostituibile leggerezza dell’anima, che si
apre a palpiti, a volte anche inquieti.
“Amore che sei parola/ in divenire/
che sei slargo/ inatteso di fiume…”
Amore quindi, da definirsi sentimento
per eccellenza. Verso le cose terrene, ma anche per quelle immateriali
animate da istinti ancestrali.
Perché l’amore è capace di
capovolgere gli spazi, le cui reminiscenze sono parole dai contorni appena
sfumati. Essenziale è andare oltre l’eloquenza delle parole che si elevano in un
continuo fluire.
Anche in questo caso si fa evidente
il connubio amore-natura, inscindibile; in un dualismo che attraversa le
liriche offrendo alla silloge compiutezza che, grazie alla costante presenza di
elementi cosmici, accostati all’amore, si manifestano con un operare preciso e
puntuale.
“E ti ho visto/ bello/ con la
mia bocca che ti aspettava…”
I temi che la poetessa prende
in considerazione paiono interrogativi, non certezze, ma proposte
attraverso cui recuperare la percezione dell’io nascosta fra le pieghe delle parole.
Interrogativi che a volte si
fanno fantasmi, perché preda di un senso di smarrimento che si percepisce in
alcuni dei versi di Mi prende d’amore una
forma.
“… Ho smarrito tante cose di me/
e mi sto disfacendo/ ferma sulla strada e la nebbia…”
Versi che si fanno espressione
di un sentimento alloggiato in fondo all’anima dell’autrice, e che hanno la
funzione non solo di esprimere il suo mondo interiore, ma anche di veicolare
riflessioni profonde che riguardano la realtà partecipata da ciascuno. Sulla paura, per esempio, motivo di
turbamento che spesso inibisce il completo esternare dei sentimenti,
proprio come quello dell’amore, a volte nascosto da una sorta di pudore. Paura,
però, intesa anche come moti dell’anima che, scompaginati dal succedersi delle emozioni,
cercano risposte nella natura da cui sono circondati.
“Ma tu aspettami/ che non sono
ancora conclusa/ lasciata qui confusa e alla rinfusa…”
Sono quindi molteplici le considerazioni
sollecitate dall’autrice, le quali prospettano al lettore una chiave di lettura
riconducibile a una dimensione del tutto nuova, a volte poco conosciuta, ma da apprezzarsi
grazie all’universo poetico di cui l’autrice si fa interprete preziosa.
Il suo sguardo, non solo si sofferma su ciò che fa parte della propria
interiorità, ma va oltre, fino a scandagliare con le parole, che si fanno tramite,
sentimenti ed emozioni appartenenti all’universo emotivo di ciascuno.
E, alla poesia è affidato il
compito di esprimere la dissoluzione della parola, nell’istante in cui tenta
di disegnare le trame e i percorsi seguiti dalla memoria. Parole virtuose
attraverso cui s’infila il dubbio, che non ha connotazione negativa, semmai è parola
consapevole della bellezza della natura cui l’autrice partecipa.
“Mi svegliai tra il vento
scompiglio/ e anima/ di erba e capelli/ il volo e la fronte…”
La raccolta, che ha il pregio
di essere originalissima, è sviluppata con linguaggio asciutto, scarno ed
essenziale, nonostante la ricchezza espressiva custodita nei versi, colmi di suggerimenti
evocativi. Di dettagli, anche sensoriali, pronti a valorizzare una silloge, già
di per sé ricca di contenuti che si fanno spunti di importanti argomentazioni; sulla vita, sull’amore, sul rapporto
uomo-natura, sulla caducità del tempo che in una mutazione continua si
porta via frammenti di vita, in una dimensione spazio-temporale di ineffabile
cattura.
Il percorso poetico intrapreso
dall’autrice, per dare forma alla silloge non è facile, anzi, piuttosto
sinuoso.
Ma trova la sua ragion d’essere nei ricordi non inquinati dalla
passione, perché osservati oggettivamente.
“Mi ricordo, sedemmo sotto un
buio fresco/ per gli anni a venire./ Qualche parola non necessaria/ e poi
nell’aria così aperta…”
Capace di sciogliere in versi il proprio universo emotivo con
particolari costrutti e virtuosismi, la
poetessa Nadia Alberici confeziona con voce sincera un prodotto di elevata
qualità culturale. Il tutto, espressione di una penna raffinata che si
consuma in un’apoteosi poetica di ingente caratura.
“Per quella poesia che ancora
non esiste/ che strappa le pagine/ che si fa troppo seria o romantica/ che
insiste con la sua idea/ sfornando verbi e versi, sparando a casaccio…“
Written by Carolina Colombi
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