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giovedì 27 marzo 2008

O mio Dio, mio figlio è un raver!!

scritto da Daniele Memola
O mio Dio, mio figlio è un raver!

Come spesso accade in Italia, oramai non è un mistero ai più , si grida allo “scandalo” a tragedia già consumata. Succede per la guida in stato di ebbrezza e le relative “stragi del sabato sera ( o di tutti i giorni? n.d.r), per l’emergenza rumeni di oggi, ex albanesi, ex sudafricani di ieri, per il bullismo, per le baby squillo etc etc..In generale, è sempre la solita dinamica; scappa il morto, i riflettori dell’informazione si accendono e la politica, sull’onda emotiva che i “casi” scatenano o meno nella società civile, si attiva con le controproposte per arginare il fenomeno. Soprattutto in una fase così delicata come quella elettorale. In questi giorni sull’overdose di Nunzio Mattia Lo Castro, Tia per gli amici, diciannovenne stroncato dalle pasticche il giorno di Pasqua in un rave party a Segrate si è sollevato l’ennesimo teatrino politico–informativo. Sgomento, grida d’allarme, balletti di cifre sui consumi di droga tra i giovani e un improvviso interesse sul fenomeno rave, queste “feste” misteriose, dove tutti si drogano restando a ballare “sospesi” in mondi paralleli come tanti zombi per giorni e giorni senza mai fermarsi. Facciamo un po’ di chiarezza o almeno un tentativo. A partire dal significato del termine “rave party” che in inglese significa letteralmente “delirio” in senso più ampio. Il free party (tanto per dare una definizione meno ostica) indica la voglia comune di svincolarsi da qualsiasi regola, sociale e non, ricercare attraverso una musica altrettanto libera o comunque “non convenzionale” (la techno) perchè priva di strumenti o spartiti ma fatta di suoni elettronici provenienti dalla realtà urbana campionati e mixati al computer, una sorta di libertà fisica e mentale. Ballando certo, drogandosi pure. Andare a un rave, significa non solo andare a manifestazioni il cui accesso è gratuito, (contrariamente alle discoteche tradizionali dove occorrono soldoni per entrarci, altri per consumare un cocktail e fondamentalmente trovare lo stesso schifo che si trova a una “festa”, con la differenza dei lustrini e delle cubiste) ma evadere in todo. Dimenticare per una attimo la dura realtà: del lavoro, della situazione familiare, di un amore finito, delle piccole e grandi delusioni che ognuno può avere, specie quelle particolarmente dure che non si riesce a comprendere da non adulti.. Certo “articiale” è il metodo, sintetica come le droghe con cui si accompagna, la non realtà che si “vive” nelle feste illegali. Già illegali ma perché? Prima negli Usa, poi in Gran Bretagna e nel resto d’Europa, la nascita del fenomeno rave legato al consumo di droghe e la conseguente repressione che ne è seguita, ha fatto sì che le “feste” fossero organizzate fuori città, nei boschi, in mezzo alle campagne, o in capannoni industriali dimessi (come per recuperare quello spazio che nessuno si sentirebbe di darti). Illegali perché non autorizzate ufficialmente quindi, non perché diverse da una ordinaria serata sballo nelle discoteche “ufficiali” dove si accalcano ogni week end centinaia di ragazzini con tacito consento di mamma e papà. Gli stessi che a frittata fatta scendono dalle nuvole chiedendosi com’è possibile? “Mio figlio…era un bravo ragazzo che non faceva male ad una mosca”. Beh, cari genitori, insegnanti, educatori, psicologi, sociologi, politici. Basta vedere le file interminabili che si creano nei bagni di quest’ultime per capirci un po’ di più su cosa accada realmente al loro interno ( a meno che si tratti di un’epidemia viscerale improvvisa che coglie tutti all’improvviso). Chetamina, (anestetico usato dai veterinari per addormentare i cavalli), popper, acidi e mdma, speed, cocaina e chi più ne ha più ne metta girano ovunque, non soltanto tra gli zombi dei rave. E poi al rave, udite udite non vanno solo tossici o disagiati mentali: c’è quello di sinistra, di destra, di centro, c’è l’operaio che si spacca la schiena per pochi euro a settimana come il figlio del professionista, del poliziotto; lo studente dell’università pubblica e quello che fa il master da 40mila euro; il ragazzo “ribelle” e la ragazza della porta accanto. Insomma tutti, senza distinzione di alcun genere. Probabilmente gli stessi che vanno alle Street Parade, quelle sì rave istituzionalizzati, autorizzati da questo e quel Comune, perché magari promotori di un messaggio “politico” o molto più semplicemente mezzo di “sensibilizzazione” su un particolare tema del momento. Ma allora, come si può fare a fermare “la rave generation” prima che il problema venga sommerso di nuovo dalla polvere, o fino a quando non ci sarà un'altra madre che piange ripetendo la stessa domanda? Alla politica l’ardua sentenza. Di sicuro parlare di autorizzazioni non ha senso, visto che i rave sono assembramenti clandestini (dove e quando ci sarà la festa si sa anche mezz’ora prima tramite tam tam di sms o con l’infoline, magia di libertà creata da Internet, anch’essa realtà virtuale e incontrollabile per ironia della sorte). Di conseguenza anche intervenire preventivamente sui luoghi prescelti ( a meno che non si possa mobiliate centinaia di pattuglie delle forze dell’ordine spargendole per le campagne, i boschi e i capannoni di mezza Italia) diventa difficile se non improponibile. E poi anche quando Polizia, Carabinieri o Guardia di Finanza dovessero imbattersi in 10mila persone collassate in una “festa” che già dura da giorni che possono fare? Spegnere i muri di casse che sparano la musica a tutto volume? Deportarne tutti e 10mila, completamente strafatti? Fino a prova contraria i luoghi scelti per i rave (“Taz” che sta per Temporary autonomous zone), sono “zone temporanee autonome”, cioè di nessuno ma “mie” per la durata del rave. Del resto non c’è da dimenticare che in Italia c’è il diritto di riunione. E non è vietato l’uso della droga per sé, ma è punito lo spaccio. Nemmeno li si può stringere, come ormai avviene per tutto, nelle ganasce fiscali o dei balzelli che già soffocano altre attività legali, perché dietro ai rave non c’è impresa, non esiste chi si arricchisce e chi si impoverisce. E’ cultura dello sballo allo stato puro. Fuga dalla realtà e dai suoi problemi, a cui,che ci piaccia, prima o poi si torna. Almeno fino a quando il “down” dell’ennesimo acido non ti permette di ritornarci più.

Daniele Memola, giornalista freelance

4 commenti:

  1. Bell'articolo. Hai uno stile crudo e dalle parole trapela la stessa energetica rabbia e ironia di chi conosce, di chi sa e di chi capisce. Questo tipo di eventi sono il risultato tutto sommato abbastanza logico della vita umana dell'oggi. Forse è scandaloso quello che ho scritto, ma credo tu abbia ragione; non ha senso la spettacolarizzazione, il grido llo scandalo. Questo è semplicemente il lato B dell'essereumano che è imperfetto. Questo è il vero tabù che forse è il caso di cominciare ad affrontare e ad accettare.

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  2. Ciao Daniele, qui Stefano.
    Sono qui a farti i complimenti, ed il brutto è proprio questo.
    Non è emblematico che un ragazzo qualunque debba sentirsi in dovere d ringraziare un giornalista CHE FA IL SUO LAVORO?
    Ovvero che racconta le cose per quelle che sono e nn per uno scopo preciso dato dall'editore.
    difatti noto che sei un freelance, e come porebbe essere altrimenti, lavorare fisso per qualcuno, per un giornalista coerente, in Italia, la vedo molto dura.
    Fossero tutti come te la mozzarella l'avrebbero mangiata anche in queste settimane, è veramente frustrante vedere che troppe persone non crescono di un come mentale manco in 50 anni di vita, non dico esperienze, perchè quelle ti formano, mi vien da pensare che troppa gente si fossilizza, ognuno a modo suo, o dinamicamente o mentalmente.
    Potrei continuare per mesi, prendi questa mail come un ringraziamento ufficiale di tutti quelli come me che vanno alle feste con un'ideale di fondo di pura aggregazione sociale tra differenti stati sociali.
    Tralascio i vari dettagli di scuola-lavoro-viaggi e movimenti giovanili (l'attitidune punk la trovo la migliore per avvicinarsi al mondo dei rave) per risultare più credibile, son sicuro che le parole spiegano più di tutte le referenze.
    Buon lavoro e buona giornata

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  3. Frequento i rave da oltre 10 anni e prima di internet c'erano solo i flyer e i passaparola... complimenti per la chiarezza, il realismo e il coraggio del tuo articolo. Se tutti i girnalisti scrivessero come te sarebbe un mondo migliore! Sensibilizzare, NON reprimere!

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  4. Ciao Daniele,

    Articolo interessante e lucido.

    Le cose però ormai non stanno più così: le feste che racconti ci sono state ma non ci saranno più. Lo spirito della TAZ, il senso di ribellione, il piacere di stare assieme sono spariti quasi del tutto. Rimangono solo in pochi sparuti parties. La nuova generazione di tribe che stanno comparendo come funghi sull'onda di quello che è dicvantato una moda hanno scordato completamente il perché. Hanno fatto del mezzo, il fine.
    Papale papale: la droga c’è sempre stata. È una parte essenziale della festa. Ma è un mezzo, solo un mezzo che ci permette di sostenere quel nomadismo psichico che ci rende illocalizabili e sfuggenti, di non poter essere inquadrati e inschemati.
    Ma ora la droga è diventata il fine, lo scopo. Le feste sono una fiera: vengono organizzate col preciso scopo di creare un’occasione di consumo per poter vendere droga a tutti indiscriminatamente.
    Infatti commetti un grave errore quando dici:
    "perché dietro ai rave non c’è impresa, non esiste chi si arricchisce e chi si impoverisce."
    Non è assolutamente così! C’è gente che si sta arricchendo e parecchio! C’è gente che sta assumendo il controllo del traffico di stupefacenti. Ci sono infiltrazioni della criminalità organizzata.

    Io personalmente dopo anni di feste abbandono, schifato e un po’ deluso.
    Cercheremo di canalizzare le nostre energie, le nostre smanie verso qualcosa d’altro. Qualcosa di più positivo. Qualcosa in cui continuare a credere.


    You can stop the party but you can’t stop the future!

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