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lunedì 22 gennaio 2007

Le meraviglie del multi touch screen

NEW YORK - E' l'interfaccia del futuro e sarà quella che annullerà le distanze tra uomo e macchina. Niente tastiere, nessuno strumento da scovare nel menù dei programmi per intervenire sulle immagini, inviare comandi.
"Vedere un oggetto e desiderare di toccarlo, è una delle reazioni più spontanee e immediate che un essere umano possa avere. E riuscire ad interagire con un computer senza tastiere o altro, ma usando semplicemente le mani, credo che sia il mezzo migliore per abbattere il muro tecnologico che si separa".

Jeff Han, ricercatore della New York University ne è certo, e se riusciremo nell'impresa, sarà solo merito suo. Perché ha inventato l'"interface free", una nuova interfaccia che permette di gestire le attività dello schermo semplicemente toccandolo.

Il touch screen naturalmente esiste da tempo: un salto in aeroporto per il check in, per l'emissione di un biglietto o anche solo un semplice prelievo al bancomat, e lo schermo del terminale che porta avanti l'operazione ci chiede di toccarlo per selezionare le opzioni scelte.

La Microsoft sta sviluppando il "TouchLight", un software che dovrebbe rassomigliare a quello che usava Tom Cruise in Minority report, e circola voce che dopo l'iPhone, la Apple sia pronta a lanciare anche un nuovo iPod provvisto solo di schermo senza rotellina selezionatrice.

Ed esiste anche un programma che consente ai chirurghi di intervenire su immagini del cervello scattate durante la risonanza magnetica, esplorando sinapsi e quant'altro sempre con il touch screen.

L'idea di Chan somiglia a queste, ma pare molto più strutturata. Perché consente anche di intervenire sulle immagini ritagliandone delle porzioni, o di disegnarne delle nuove istruendo il computer, sempre con l'aiuto dei soli polpastrelli, a svilupparle dandole anche un'animazione come se si trattasse di un cartone animato.

In una delle sue più famose dimostrazioni pubbliche, questo coreano di trent'anni, figlio di una famiglia di immigrati approdati in America un anno prima della sua nascita, ha disegnato un omino sul grande schermo che aveva approntato per la conferenza, riuscendo a farlo muovere in pochi secondi, e con poche pressioni, come se fosse appena uscito da un cartoon della Pixar.

Un'ovazione e una decina di minuti di applausi dopo, Han ha lasciato la sala con un sorriso indelebile stampato sul viso. A ragione. Perché la sua è la classica storia del self made man, di uno che si è fatto da solo sfruttando talento e curiosità. Coadiuvato da una famiglia che ne ha riconosciuto la precoce genialità.

Trattenendo la rabbia. Perché la leggenda vuole che dall'età di cinque anni il piccolo Han rimanesse incantato da tutto quello che in casa sprigionava una qualsiasi luce. Crescendo, la curiosità era aumentata. E allora perché non cercare di capire come funzionava quell'oggetto meraviglioso che emetteva raggi luminosi?

E così televisori e videoregistratori casalinghi venivano diligentemente smontati dal bambino con gli occhi a mandorla che voleva carpirne i segreti. Esercizio fruttuoso: a soli 12 anni, il piccolo manipolatore di tubi catodici aveva costruito il suo primo laser.

Papà Han, emigrante coreano che per mantenersi gestiva un alimentari nel Queens, messa da parte l'irritazione per i televisori sventrati dal figlio, lo aveva iscritto prima ad un liceo privato d'elite, e poi, risparmiando ancora, alla Cornell University per il corso di ingegneria elettronica. Corso che Jeff non ha mai concluso per aiutare il padre malato.

Un lavoro in una società informatica, poi l'idea della svolta. In un pomeriggio d'ozio Han jr. si accorge che l'acqua del bicchiere che c'è sul suo tavolo riflette la luce in un modo diverso nel punto in cui la sua mano entra in contatto col vetro.

E questo gli ricorda che all'interno dei cavi che contengono le fibre ottiche, la luce rimbalza come impazzita fino ad arrivare a destinazione, anche a centinaia di chilometri di distanza. Ma se il cavo fosse fatto di vetro, e le stesse dita che prima tenevano il bicchiere, lo stringessero, la luce interromperebbe la sua corsa diffondendosi all'interno del tubo, oppure urterebbero la superficie per poi, come dice Han "cadere giù".

Ed ecco che l'idea prende forma quando il ricercatore, arso dal sacro fuoco della scienza, entra in un laboratorio e assembla un pezzo di fibra acrilica con una serie di led che cuce lungo i bordi, appoggiando una macchina a raggi infrarossi dietro il quadrante appena costruito.

Una sorta di schermo elementare che, se veniva toccato, faceva "precipitare" la luce come era successo col bicchiere di vetro, mentre la macchina a raggi infrarossi registrava tutto.

E più forte era la pressione, più informazioni - e pixel - catturava la macchina. Quel prototipo ora si è trasformato in realtà permettendo ad Han di curare il padre e rendersi finanziariamente autonomo creando una società tutta sua. Il sogno nel cassetto? "Chiudermi in laboratorio, e avere il tempo per studiare e sviluppare nuove idee fino a farle diventare realtà.

C'è di meglio nella vita?". Sostituire i polpastrelli ai manuali dei pc.


di Gaia Giuliani


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