La ricerca Roland Berger è basata su dati pubblici e su studi specifici e due approfondimenti del 2015 su Google e Facebook. Si parte da un'analisi di quel che succede con i distributori autorizzati come Netflix e Spotify. Entrambe spendono il 70 per cento dei ricavi per i contenuti con una differenza nei ricavi netti annuali per utente: su Netflix ogni abbonato vale 62 euro all'anno, su Spotify 17. Dopo il pagamento dei contenuti, il ricavo per utente medio scende a 16 euro all'anno per Netflix e a 5 per Spotify.
Per quanto riguarda gli intermediari tecnici, in Europa i ricavi sono di 22 miliardi l'anno, di cui 16 per Google e 3 per Facebook con un impatto diretto dei contenuti culturali sui ricavi pari a 5 miliardi, il 23 per cento del totale. In Italia, invece il 27% sul business di social, motori di ricerca, piattaforme, servizi cloud che pesa 369 milioni di euro è il "value gap" dei contenuti culturali e che riguarda cinema, musica, radio, tv, fotografia, stampa, libri, videogames, esibizioni live, tutte a disposizione nell'era del digitale.
"Per la prima volta abbiamo calcolato questo value gap, cioè il beneficio economico che arriva dai contenuti culturali non riconosciuto ai produttori degli stessi contenuti -spiega Sugar- Come SIAE siamo i primi e in prima linea a fare questa battaglia nella consapevolezza dell'importanza dell'argomento anche a livello di Commissione europea, dove si sta lavorando al Mercato unico del digitale".
"L'industria della creatività -prosegue Sugar- è il terzo settore per occupazione in Europa dopo le costruzioni e il food and beverage. La musica è stato il primo settore economico ad essere violentemente impattato dalla rivoluzione digitale e l'impatto è stato devastante. L'industria del disco valeva 35 miliardi, oggi ne vale 14: siamo stati costretti a cambiare ma il problema era ed è tuttora quello delle regole. Noi abbiamo vissuto all'interno delle regole poi è arrivato qualcuno che ha giocato e gioca con regole completamente diverse. C'è una cultura che mette in dubbio che bisogna remunerare chi crea o chi produce contenuto creativo. Siamo stati inondati per anni da una serie di studi farlocchi che dicevano che la condivisione aiuta a far crescere l'industria discografica, sono stati studi che hanno annebbiato la nostra coscienza. L'idea che il frutto della creatività debba essere gratuito è sbagliata. C'è qualcun altro che sta prosperando sui contenuti creati e prodotti dagli artisti. Questo e' semplicemente ingiusto. Quello che è accaduto al comparto musicale succederà a catena anche agli altri comparti: tv, cinema, editoria, etc. Perderemo posti di lavoro e anche la nostra identità culturale. Vivremo di grandi opere del passato ma non avremo quelle di oggi e domani, perché i grandi intermediari della rete che generano ricavi enormi sui contenuti culturali non redistribuiscono questo valore ai creatori e spesso pagano poche imposte e in altri paesi. Non è assolutamente una guerra santa contro qualcuno -conclude Sugar-, la tecnologia è una straordinaria opportunità. Ma un problema di riequilibrio. E su questo chiediamo il supporto delle istituzioni".
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