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giovedì 12 luglio 2007

Amato alle imprese. Perchè cacciate i cinquantenni ?.

di Antonio Ferrara


utti i quotidiani di oggi giovedì 12 luglio 2007 sono pieni di commenti sulla gaffe del ministro Giuliano Amato. Si discute con interesse e animatamente di orgoglio siculo offeso o se il maschilismo “siculo-pachistano” degli anni 70 è stato sconfitto dalla nuova “egemonia amazzone “ delle donne o se invece lo strapotere del maschio italico governa ancora sovrano.
Quella che potrebbe essere solo una battuta sfuggita all’illustre personaggio ha scatenato una querelle che ha lasciato sfumare un aspetto estremamente molto più interessante che conteneva l’intervento del Ministro.
Amato ha sollevato un problema o meglio posto una domanda alle organizzazione degli industriali italiani sulla questione della riforma previdenziale. Perché, chiede Amato alle imprese, “insistete presso il Governo per prolungare l’età lavorativa dei dipendenti se poi appena essi superano l’età dei cinquanta anni nelle vostre imprese non fate altro che chiedere loro di lasciare il lavoro? “.
E’ una domanda che si direbbe pertinente e che merita una riflessione perché chi lavora nella grande impresa sa che Amato ha toccato un nervo scoperto.Nella gran parte delle grandi aziende nazionali e multinazionali del nostro Paese è normale prassi quella che vede i lavoratori che superano i cinquanta anni di età, sentire la pressione delle direzioni che li sollecitano a lasciare in anticipo l’azienda.
Accompagnano le sollecitazioni con blocchi delle carriere e proposte d’ incentivi in danaro utilizzando per questo possibilità previste nei vari provvedimenti legislativi assunti per fare fronte alle difficoltà delle imprese.
Le aziende in genere spingono per l’uscita di quelle figure professionali più deboli, quelle più facilmente sostituibili con giovani con contratti atipici che costano meno.
Il sistema è diffuso anche tra le figure professionali intermedie nelle imprese che negli anni recenti hanno avuto ristrutturazioni tecnologiche e quindi oggi hanno la necessità di professionalità nuove.
Nel nostro Paese l’uscita dal mondo del lavoro non comporta facilmente uno spostamento ad altra occupazione meno che mai nel Mezzogiorno e comunque è veramente drammatico trovare lavoro quando a cercarlo è un ultracinquantenne.
Nessuno contesta all’impresa lo spreco di competenze ed esperienze che tale pratica porta con se ne si parla della poca e scarsa formazione che fanno le aziende che rende poi critiche figure professionali che non stanno al passo con i processi d’innovazione del sistema produttivo.
Chi porrà mai il problema della mancanza di lavoro per i cinquantenni se la disoccupazione giovanile è il problema dei problemi. Anche se la precarietà è diventata una piaga profonda che pesa sulle queste nuove generazioni.
Allora se il fenomeno è talmente diffuso mi pare lecito chiedersi, e Amato fa bene a chiederlo, perché le imprese spingono il Governo ad una soluzione che prolunghi la vita lavorativa?
Aspettiamo insieme al ministro Amato una risposta dal Montezemolo che negli ultimi tempi pare avere una soluzione per ogni quesito.
Oppure, non sarà che sulla partita della previdenza stiamo assistendo come cittadini ad un gioco delle parti ?.

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