Roma, 7 Novembre 2009. E' in discussione al Senato, la conversione del decreto legge del Governo (n.135/09) sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali. Il provvedimento prevede l'affidamento del servizio idrico a societa' private o a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40%. Si e' parlato di privatizzazione dell'acqua ma non e' proprio cosi'. Si avranno, quindi, societa' private o a partecipazione mista, che gestiranno il servizio idrico, non la proprieta' dell'acqua. Che l'acqua sia un "bene" e' evidente, occorre sovrapporre il "diritto". In Italia si svolge un'analoga discussione che parte dal "bene" alla gestione. Il principio di considerare l'acqua un bene comune e' ampiamente condiviso. Dobbiamo porci il problema se una gestione pubblica sia efficiente per gestire questo bene comune. La cosiddetta legge Galli (n.36/94) nasceva con l'obiettivo di smantellare una vecchia logica clientelare di gestione degli acquedotti che erano diventati carrozzoni partitocratrici clientelari. Negli anni e' stata applicata con modalita' che hanno tradito in parte l'obiettivo. La protesta, che nasce in alcune parti d'Italia, riguarda il fatto che dove c'e' stata una forte privatizzazione si e' avuto un aumento delle bollette e scarsi investimenti. In pratica c'e' stata una privatizzazione all'italiana. Il massimo vantaggio per il privato e il minimo per il consumatore e l'utenza. C'e' chi sostiene che l'acqua deve essere gestita solo da aziende totalmente pubbliche e che deve essere eliminata la possibilita' di ricorso anche alle Spa pubbliche. E' evidente che le liberalizzazioni fanno bene all'economia e aumentano il benessere dei cittadini-consumatori. Cio' e' confermato proprio dall'Antitrust che ha rilevato come nelle regioni piu' aperte alla concorrenza l'aumento dei prezzi e' stato inferiore a quelle che hanno una regolamentazione piu' rigida. Il modello della proprieta' pubblica della risorsa e della gestione
privata, che consenta di avere la priorita' del servizio sul profitto, non ha avuto grande successo. Dobbiamo quindi ripensare il modello di gestione e soprattutto dobbiamo ripensarne agli usi. L'81% viene utilizzata per usi irrigui (agricoltura), industriali ed energetici e solo la parte restante per usi civili, dei quali pochissimi per uso potabile. Anche i prezzi devono essere bassi per l'uso civile e piu' alti per le restanti attivita'. Posto che l'uso dell'acqua deve essere garantito, resta il problema del "come fare" e, contestualmente, assicurare efficienza. Abbiamo assistito a carrozzoni che hanno fatto la fortuna di alcuni e, guarda caso, il disastro dei bilanci della collettivita', che si pagano in termini di aumento della spesa pubblica. Per il decreto legge gli affidamenti "in house" dovranno terminare entro il 2011. A nostro parere doveva attivarsi il sistema concorrenziale dal quale ottenere il massimo dei servizi e il minimo dei costi. Pubblico, privato o misto dovrebbero concorrere in competizione. Purtroppo mancano nel nostro Paese le vere liberalizzazioni.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc
COMUNICATO STAMPA DELL'ADUC
Associazione per i diritti degli utenti e consumatori
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