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sabato 13 giugno 2009

STOP MOBBING: Sentenza Cassazione Penale n. 23923 del 10 giugno 2009

Stretta sul mobbing. Le testimonianze dei colleghi possono inchiodare il capo che, con le sue intemperanze, stressa a tal punto il dipendente da fargli venire la depressione e l'ansia, e che per questo rischia, oltre al carcere, di dover risarcire il sottoposto. Il componente del Dipartimento Tematico "tutela del Consumatore di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA segnala l'importante sentenza della Cassazione Penale in materia di mobbing.

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 23923 del 10 giugno 2009. La questione portata innanzi alla Giustizia, trae origine da una storia che ha visto condannare definitivamente un dirigente di un ufficio giudiziario della Liguria a risarcire gli stati ansiosi e depressivi provocati dal suo comportamento aggressivo nei confronti di una cancelliera. Al dirigente è stato contestato di aver offeso l'onore e il decoro dell'impiegata, pronunciando contro di lei espressioni come "è una falsa, non finisce qui, gliela farò pagare, è una irresponsabile". Durante il processo i colleghi di lavoro avevano testimoniato che il dirigente aveva un "atteggiamento quotidiano violento, aggressivo, alimentato da intemperanze, gesti di violenza e prevaricazione". Questi comportamenti avevano provocato nella donna "uno stato ansioso depressivo, con tachicardia in stress emotivo", malattia che valse alla donna circa 20 giorni di riposo. Ad avviso dei giudici della Cassazione non c'è dubbio che si tratta di mobbing e al dirigente prepotente spiegano che la sua colpa consiste nel fatto di non aver azionato i "conseguenti poteri inibitori" per tenere a bada le sue intemperanze, una precauzione che ogni "uomo medio, dotato di comuni poteri percettivi e valutativi avrebbe dovuto fare per evitare le conseguenze dannose.

Il mobbing, la parola più inflazionata negli uffici italiani, ha trovato, in attesa di una legge, una tutela sul piano civilistico e su quello penalistico nei principi generali del nostro ordinamento: anche se non esiste un reato chiamato mobbing gli atteggiamenti prevaricatori tipici di questa fattispecie possono essere puniti con altri reati come le lesioni o addirittura i maltrattamenti in famiglia. Ma c'è sempre un problema: il mobbing è difficilissimo da provare. Questo caso giudiziario spiana però la strada per una dimostrazione delle prevaricazioni in ufficio che sia meno impossibile.

Pertanto, il componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA, impegnato in prima persona da anni nella lotta contro il mobbing sui luoghi di lavoro, esprime sincera soddisfazione per il riconoscimento da parte della Suprema Corte, di un principio importante che rafforza le tutele e le garanzie dei lavoratori contro le ingiustizie ed i soprusi sui luoghi di lavoro.

Lecce, 13 giugno 2009

Giovanni D'AGATA

Componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore"



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Sede Provinciale "Italia dei Valori" di Lecce – V. le Lo Re n. 22 – 73100 - LECCE tel. 388/9411240 - e mail: dagatagiovanni@virgilio.it

1 commento:

  1. Personalmente sono soddisfatto di questa sentenza della cassazione.Ancora piu'soddisfatto se dopo la sentenza ai Mobber li rinchiudessero per un periodo di 6 Mesi(Tanto quanto basta per poter Mobbizzare una vittima)nel penitenziario di ALCATRAZ.I Mafiosi incutono Terrore ai Commercianti per farsi pagare il Pizzo,alcune Multinazionali utilizzano i loro Manager del Terrore per fare in modo che il dipendente Terrorizzato dai BOOSS(Bossing) dell'Azienda dia le Dimissioni.AI Mobber"VERGONATEVI"

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