LA PRINCIPALE RAGIONE DELLA DEBACLE SOMALA:
NON AVER VOLUTO ASCOLTARE LE "RAGIONI DELL'ALTRO".
CRITICA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO
Di Nino Sergi, segretario generale INTERSOS
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Centinaia di migliaia le persone in fuga dai combattimenti o perché non hanno cibo né acqua né accesso alle cure mediche. Una questione di conflitto interno che sta assumendo una preoccupante dimensione internazionale. Esistono le condizioni per una soluzione che metta fine all'instabilita e al conflitto che imperversano dal 1991?
Il 9 e 10 giugno si riunirà a Roma il Gruppo internazionale di Contatto per la Somalia (GIC) sotto la presidenza del rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite Ahmedou Ould Abdallah e che vedrà la partecipazione di rappresentanti dell'Unione europea, dell'Unione Africana e, oltre all'Italia, dei principali paesi attivi sulla scena internazionale.
Nel rileggerne le dichiarazioni delle precedenti riunioni de GIC si rimane colpiti dal divario tra la visione e l'azione internazionale e gli sviluppi della situazione in Somala. Alla vigilia del nuovo incontro ci si chiede se non siano stati proprio gli errori, le lentezze e omissioni della comunità internazionale ad avere contribuito al prolungamento della crisi somala.
Spettava alle Nazioni Unite guidare e sostenere il processo di transizione e di rafforzamento a livello centrale, regionale e distrettuale delle istituzioni. I due responsabili Onu che si sono succeduti, pur essendo funzionari di valore e con un ottimo curriculum, non sono riusciti a adempiere al loro mandato.
Anche la nomina del presidente Sharif Sheikh Ahmed, attraverso un percorso "unitario" guidato dall'Onu, ha portato alla formazione di un governo nato forte all'esterno ma con deboli possibilità di crescita in patria.
Non aver consolidato le istituzioni, specie a livello regionale, ha favorito l'espansione sul territorio degli Shabab, i giovani mujahidin. E' stata sottovalutata sistematicamente la loro forza. Eppure dal primo maggio 2008, quando un improvvido missile statunitense uccise il loro capo militare, Aden Hashi Ayro, arrivò chiaro il segnale dell'inizio di una campagna in grande stile. Si sono susseguiti rapimenti, uccisioni, attacchi alle Agenzie e alle ong internazionali, vi e stata una progressione impressionante di conquiste dei territori: tutto in una generale sottovalutazione del problema che e stato a lungo circoscritto a "criminalita sociale".
Intanto questi "giovani" mujahidin sono cresciuti. Si sono divisi in gruppi territoriali e tribali autonomi. Si è discusso a lungo delle divisioni interne degli shabab e degli altri oppositori. Ma il collante del fanatismo ha posto rapidamente in secondo piano ogni elemento dialettico interno, facendo evolvere un iniziale processo di alleanza tattica (dal febbraio 2009 circa) in un'unione strategica che si è manifestata con un'offensiva risoluta dal 7 maggio.
Non è ancora capito che si sta combattendo una guerra per l'anima stessa della Somalia: da un lato i "veri stranieri" armati di una ideologia nazi-islamica che sostituirebbe i valori fondanti dei somali con un'organizzazione politica e religiosa che non ha alcuna radice nella società somala; dall'altra un governo che dovrebbe difendere i valori identificanti della tradizione clanica e religiosa, ma che e erede degli errori fatti dai suoi predecessori ed e identificato con i partner internazionali che questi errori li hanno spesso decisi e difesi. Non è una questione destinata a rimanere entro i confini somali: ciò che sara la Somalia e le modalita con cui il suo futuro sara definito avranno ripercussioni sull'intera area e altrove.
Quali potrebbero essere i punti chiave su cui puntare?
Si dovrebbe ripartire dal pieno coinvolgimento di tutta l'opposizione, escludendo solo chi manifestamente si richiama a pratiche qaediste o terroristiche. Ascoltare e capire le loro ragioni, per quanto politicamente arduo possa sembrare.
Un rinnovato e deciso impegno per la fine del conflitto etiopico-eritreo dovrebbe divenire una delle priorita di tutto il GIC per la Somalia, premendo in ogni sede con risolutezza e, se necessario, mettendo in discussione strategie e giochi geopolitici consolidati. Sarebbe importante inserire il tema nell'agenda del prossimo G8. tale conflitto si sta combattendo infatti anche atraverso la Somalia e, finché non cessera, i due paesi continueranno ad essere parte del problema somalo e delle sue divisioni.
Le posizioni più politiche, con una prevalente visione nazionalistica, ancora presenti sia in alcuni gruppi shabab che nell'Hisbul Islam, dovrebbero essere maggiormente ascoltate, prima che scompaiano del tutto con l'incalzare degli eventi, per cercare di capirne le ragioni e cogliere indicazioni utili. A meno di volere puntare innanzitutto, ancora una volta, sull'uso della forza e creare un altro Afghanistan, con il risultato di radicalizzare il conflitto e prolungare le sofferenze della popolazione.
Una di queste posizioni puntava su una soluzione politica, tutta somala e non guidata o imposta dall'esterno. Anche se può apparire utopica o nascondere la volonta di ribaltare le influenze esterne, andrebbe presa in considerazione. In Somalia non puo più essere esclusa alcuna opzione politica, anche quando potrebbe portare a soluzioni impensate e ritenute impossibili.
Il processo di transizione dovrebbe avere l'obiettivo di far nascere le nuove istituzioni che includano quanti ne sono finora rimasti estranei, accettate da tutti i somali e definitive, isolando ed escludendo solo i gruppi realmente estremistici e legati al terrorismo. Questa distinzione è stata spesso errata e ideologica.
La comunita internazionale dovra fare di più, ma lasciare l'iniziativa politica ai somali, dando loro fiducia, limitandosi ad appoggiarli fortemente e decisamente nella loro ricerca di unita.
L'Italia è ancora considerata in Somalia e a livello internazionale come Paese di riferimento.
Anche se negli ultimi anni il ministero degli Esteri ha cercato di sostenere il difficile processo di transizione, e mancata sia un'azione coordinata a livello ministeriale sia la traduzione in regolari impegni da realizzare attraverso azioni di aiuto e di cooperazione, per rafforzare le istituzioni nel loro compito primario di dare sicure risposte ai bisogni della popolazione. Il progressivo taglio degli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo ha reso in seguito ancora più difficile ogni programmazione.
L'Italia ha agito in coordinamento con l'Unione europea e questo va a suo merito. L'Europa avrebbe potuto avere un ruolo significativo per favorire decisioni sulla situazione somala, dati anche i fondi messi a disposizione per aiuti umanitari, servizi di base, ricostruzione e sicurezza. Avrebbe dovuto porsi con una sola voce. Un inviato speciale plenipotenziario avrebbe potuto far parlare l'Ue con una sola voce e sarebbe opportuna, in proposito, una correzione di rotta.
Occorre far di tutto affinché non siano solo le armi e il fanatismo a determinare il futuro della Somalia. Occorre volerlo, fino in fondo e agire di conseguenza, anche percorrendo strade nuove e impensate rispetto al passato carico di tanti insuccessi.
Per ulteriori informazioni:Ufficio Stampa Intersos – Paola Amicucci 328.0003609
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